Crimini di guerra in Ucraina: «Genocidio». Sono già arrivate dai cittadini oltre duemila denunce

di Marta Serafini

Oggi si pronuncia la Corte internazionale di giustizia dell’Aia. Un’indagine separata è stata avviata anche alla Corte penale internazionale

«Genocidio». Usa questa parola Denys Monastyrskyi, ministro dell’Interno di Kiev per descrivere le violazioni commesse dai militari russi nei confronti del popolo ucraino. Oltre agli attacchi sui civili che evacuano attraverso i corridoi umanitari, Monastyrskyi denuncia: «Gli aggressori hanno l’ordine diretto di saccheggiare case e palazzi governativi. Inoltre, stanno rubando denaro dalle banche e dai bancomat nei territori temporaneamente occupati».

La procuratrice generale e il database con le testimonianze

Torna alla carica anche la procuratrice generale Iryna Venediktova, che ribadisce la creazione di una task force. «Il mio obiettivo è che tutti gli ucraini che hanno perso i loro cari o i loro beni ricevano un risarcimento». A questo scopo è stato creato un database per raccogliere le testimonianze. E sul portale warcrimes.gov.ua sono già arrivate duemila denunce. Tra i crimini indicati: danni alle infrastrutture civili; raid contro personale medico o religioso, ospedali e chiese, sequestro di proprietà, saccheggio, rifiuto dell’accesso alle cure mediche. Nessuna menzione, per ora, viene fatta sulle armi non convenzionali, come le bombe a grappolo, proibite dalle convenzioni internazionali, il cui uso da parte dei russi viene denunciato tra gli altri da Human Rights Watch e Amnesty International.

Le denunce da Kharkiv e Kiev

Al lavoro, nelle retrovie di Leopoli, ci sono anche gli avvocati di Opora, ong creata ai tempi di piazza Maidan, che opera grazie al sostegno statunitense. «Fino a due settimane fa lavoravamo per monitorare le elezioni, ora serviamo su questo fronte». Olga Kotsiuruba, 42 anni, è avvocato penalista specializzata in diritti umani. Insieme a lei, altri tre colleghi. Apre il laptop. «Queste sono le denunce che abbiamo raccolto: per lo più provengono da Kharkiv e Kiev», dice. Scorre il database. Venti questionari, compilati online. «A ciascuno viene garantita la protezione della privacy». Poi nel form viene richiesto di descrivere brevemente i fatti, geolocalizzare la posizione in cui sono avvenuti e, possibilmente, allegare foto, video e indicare i testimoni. Chi vuole può lasciare anche un contatto telefonico. «Le denunce vanno poi verificate e controllate con l’ausilio delle immagini satellitari e successivamente vanno poi raccolte in modo da essere inserite nei rapporti davanti alle corti». Tra quelle arrivate: case danneggiate dai raid. Ma anche minacce online. «Non è raro che la popolazione civile riceva intimidazioni attraverso i social». C’è poi chi riporta di messaggi nei quali vengono chieste informazioni sull’esatta ubicazione con il pretesto di sapere «com’è la situazione». «Ad alcuni è stato sequestrato il telefono dai militari russi ed è stato imposto di cancellare le immagini di siti bombardati».

Il ricorso all’Aia

Passi iniziali. Per cercare di stabilire la verità. «Sappiamo molto bene quanto sia lungo il processo che porta davanti a una corte internazionale. Ma cerchiamo di dare il nostro contributo», spiega Olga. Poi il telefono inizia a suonare. E un amico a Kyv, come chiamano qui la capitale: sta cercando un modo per uscire. «Anche io fino a due settimane fa vivevo lì. Ho paura che gli succeda qualcosa».
Intanto per oggi pomeriggio, all’Aia, è atteso il pronunciamento della Corte internazionale di giustizia sul ricorso presentato dall’Ucraina contro la Russia, subito dopo l’invasione di Mosca, il 24 febbraio. Accusa la Russia di utilizzare, come pretesto per l’attacco, la denuncia di atti di genocidio nelle aree controllate dai separatisti del Donbass. Un’indagine separata è stata avviata anche dalla Corte penale internazionale, la cui giurisdizione però non è riconosciuta né da Kiev né da Mosca. Mentre si allunga l’elenco dei Paesi che hanno aperto indagini al loro interno. Il più importante di tutti? «La Polonia, perché lì si trova già la maggior parte dei rifugiati ed è solo da un luogo sicuro che i testimoni possono raccontare senza rischiare, di nuovo, la loro vita».

15 marzo 2022 (modifica il 15 marzo 2022 | 21:00)

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, 2022-03-16 00:19:00, Oggi si pronuncia la Corte internazionale di giustizia dell’Aia. Un’indagine separata è stata avviata anche alla Corte penale internazionale , Marta Serafini

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