Crisi di governo, programma blindato e senza il leader 5 Stelle: spunta una strada alternativa alle urne

di Roberto GressiNon è escluso che si formi un’altra componente (l’ennesima): per poter dire a Draghi che il M5S non esiste più C’è ancora un margine per trovare un’intesa sulle cose essenziali da fare prima di andare alle elezioni? C’è un percorso, leale e dignitoso, perché la maggioranza e lo stesso presidente del Consiglio possano portarci al voto solo dopo aver messo l’Italia in sicurezza, sul Piano nazionale di ripresa e resilienza, sulla legge di Bilancio, su una visione internazionale unitaria per spingere a una pace giusta in Ucraina? Oppure si rotola verso le elezioni anticipate alla fine di settembre? Le pressioni perché il premier resti, quando ormai mancano appena 48 ore al suo discorso alle Camere, sono di tutti i tipi: i sindaci, gli imprenditori, la petizione di Italia viva, che ha superato le ottantamila firme, l’attesa internazionale. Fino all’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, che lo invita al sacrificio, come gli hanno insegnato i gesuiti. E fino alle battute che circolano tra i parlamentari: manca solo Gregorio De Falco che gli dica «resti a bordo!». Certo, la volontà finale di Mario Draghi è assolutamente dirimente, ma molto dipende da che cosa faranno i partiti, dalle loro vere intenzioni, al di là degli interessi e delle furbizie. Lo scoglio continua a essere Giuseppe Conte, non solo perché tanti non lo vogliono più in maggioranza, non solo Lega e Forza Italia, ma perché lui stesso si è convinto di essersi spinto così avanti da non poter più tornare indietro. Non è nemmeno questione di aperture su questo o quel tema: l’avvocato vuole andare all’opposizione, o al voto, la possibilità della permanenza al governo al momento gli allibratori non la quotano nemmeno. Del resto, si ragiona tra chi ha lasciato il Movimento, in Aula i 5 Stelle o quel che ne resta perderanno altri parlamentari, da un minimo di venti a molti di più. Non pare che Luigi Di Maio li voglia per ora accogliere sotto la sua ala, è più probabile che si formi un’altra componente, l’ennesima. Tanto da poter dire a Draghi che il M5S, la corazzata che aveva stravinto le elezioni, non esiste più. Al massimo c’è un partitino personale di Conte, dalle incerte prospettive, che può restare fuori senza problema per nessuno. Italia viva (e non solo) crede che non esista nemmeno un problema di rimpasto. Nei palazzi della politica si pensa che Federico D’Incà (Rapporti con il Parlamento) e Fabiana Dadone (Politiche giovanili) non abbiano alcuna intenzione di lasciare il governo, e che il solo Stefano Patuanelli (Politiche agricole) potrebbe seguire Conte. Ma anche se non fosse così, vuoi perché se ne vanno, vuoi perché li cacciano, non ci sarebbero problemi. Il ministero della Dadone potrebbe essere accorpato allo Sport di Valentina Vezzali, quello di D’Incà potrebbe andare a un tecnico e nessuno obietterebbe se fosse la Lega a prendere l’Agricoltura. Temi da tempo supplementare, perché il primo nodo è decidere come andare avanti, con un programma solido e libero da giochi di logoramento, che Draghi non potrebbe mai accettare. E non è un mistero per nessuno che il Quirinale sia il primo sostenitore di una soluzione con una maggioranza larga che porti il Paese fuori dalle secche. Enrico Letta è esplicito nel ritenere che la strada sia quella di usare al meglio la fine della legislatura per aiutare l’Italia a reggere l’urto della possibile recessione in arrivo. E pensa che la priorità sia l’agenda economica e sociale che Draghi ha presentato a sindacati e imprenditori. Con l’aggiunta che il Pd non esclude più di farlo senza Giuseppe Conte, del quale non capisce e non approva la deriva. Ma è uno schieramento che nulla può senza la convergenza di Lega e Forza Italia, che finora hanno fatto parte della maggioranza di governo. La nota congiunta di Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, al termine dell’incontro a Villa Certosa, non lascia che un piccolo margine per il proseguimento della legislatura. Eccolo: «I leader di Forza Italia e Lega, con il consueto senso di responsabilità, hanno concordato di attendere l’evoluzione della situazione politica». Basterà? Perché la spinta per le elezioni nei due partiti è molto forte, e con il sistema maggioritario, unito alla frammentazione del campo progressista, si prospetta una vittoria a mani basse. Certo, nell’ala governativa di Forza Italia la si pensa in tutt’altro modo, anche per i buoni uffici di Gianni Letta, ma la partita è complicata. Anche per il pressing di Giorgia Meloni, che ovviamente vuole le elezioni e pare disposta a qualche sacrificio nelle candidature, più ora che se si arrivasse a scadenza naturale. Sul fronte Lega si lamenta anche il fatto che i richiami alla responsabilità, oltre che ai 5 Stelle, vengano rivolti solo a loro. Mentre, osservano, per esempio il Pd ha votato contro il governo sull’ex Ilva e nessuno ha detto niente. Però l’ipotesi che resta in piedi, quella cioè di un governo che arrivi almeno al varo della Finanziaria e senza più le fibrillazioni di Conte, potrebbe avere un’attrattiva. Certamente per Forza Italia, ma anche per la Lega, che avverte il vento del Nord favorevole a che il governo vada avanti. Resta la contrarietà di Draghi al cambio di maggioranza, il rifiuto di fare a meno dei 5 Stelle. Ma, si argomenta in Parlamento, se i 5 Stelle non ci sono più… 17 luglio 2022 (modifica il 17 luglio 2022 | 23:22) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-07-17 21:25:00, Non è escluso che si formi un’altra componente (l’ennesima): per poter dire a Draghi che il M5S non esiste più, Roberto Gressi

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