Cutro, l’omicidio Dragone nel racconto del pentito

Ci sono le quattro autoblindate comprate per l’omicidio del 61enne boss Totò Dragone. Così come il supporto logistico ed economico fornito da alcuni fiancheggiatori per portare a termine, il 10 maggio del 2004, il delitto di sangue che segnò l’ascesa del capo cosca Nicolino Grande Aracri a Cutro, oltre che ridisegnare gli equilibri criminali nel Crotonese. C’è tutto questo nella testimonianza che ieri il collaboratore di giustizia, Giuseppe Liperoti, ha reso davanti al Tribunale di Reggio Emilia dov’è in corso il processo di primo grado, a carico di 16 imputati, scaturito dall’inchiesta “Grimilde”. Si tratta del nome dato all’operazione con la quale, il 25 giugno del 2019, la Dda di Bologna ha reciso i “tentacoli” del clan cutrese attivo tra le province di Reggio Emilia, Parma, Modena e Piacenza. «Alfonso Diletto (ritenuto dagli inquirenti ai vertici dei Grande Aracri nel Reggiano, nda) e Salvatore Grande Aracri (nipote di Nicolino, condannato nell’abbreviato di “Grimilde” a 20 anni di carcere, nda) – ha spiegato il pentito rispondendo alle domande del pubblico ministero Beatrice Ronchi – erano scesi a Cutro da Brescello per provvedere all’acquisto delle auto blindate da impiegare nell’uccisione di Antonio Dragone».
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Pietro Guerra

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