Damiano Tommasi è il nuovo sindaco di Verona. Il trionfo dell’ex mediano dallo scudetto con la Roma

di Riccardo BrunoDopo il successo al primo turno ha girato tutti i quartieri a piedi per battere la destra, senza mai attaccarla. Sei figli, toni bassi e aperto al dialogo: la lunga marcia per la vittoria Dopo il successo al primo turno, inatteso con quei numeri , ha deciso di girare casa per casa in tutti gli otto quartieri in cui è divisa la città. Uno ogni giorno, a piedi. La scelta fatta da Damiano Tommasi prima del ballottaggio dà il segno del suo modo di intendere la politica. Una marcia lenta ma inesorabile che, a mezzanotte di ieri, l’ha portato alla guida di Verona. «Ora si volta pagina» ha ripetuto lui negli ultimi giorni, mostrando sicurezza». Solo chi non conosce Tommasi e la sua storia può restare sorpreso. Dicono che nella Roma dello scudetto del 2001, che schierava gente come Totti, De Rossi e Batistuta, era lui il vero perno del gioco. Gli è sempre piaciuto dettare tempi e regole, ma a modo suo. «Centrocampista atipico» lo definì l’allenatore Fabio Capello, e anche adesso si fa fatica a incasellarlo. Già cinque anni fa gli proposero di correre per diventare sindaco, lui rispose cordialmente di no perché era impegnato alla guida dell’Associazione italiana calciatori. Un sindacalista, ancora una volta atipico, rappresentante di una categoria privilegiata, a volte più forte degli stessi datori di lavoro. Un ruolo complicato, in cui ha imparato l’arte della diplomazia e la capacità di offrire un punto di vista insolito. Come fa adesso: «Abbiamo provato a proporre un modello di politica diverso: civico, autentico, partecipato». Tommasi ha sempre avuto visione di campo e la consapevolezza che il gol non nasce dall’improvvisazione. Ha chiamato la coalizione che l’ha sostenuto «Rete!», nome che gioca con il suo passato e mostra la volontà di unire a dispetto dei distinguo: sei liste, la sua personale (la più votata al primo turno), e poi il Pd, i partiti di sinistra e il centro di Calenda, più esponenti del M5S senza simbolo. «Abbiamo superato gli steccati» spiega con orgoglio. È partito da lontano, da un anno organizza tavoli tematici, incontri e dibattiti. «Ascolto», «giovani» e «futuro» sono le parole che ha ripetuto più spesso. Anche tra i suoi c’era chi, prima del voto, era perplesso. «L’è mollo!» si diceva sottovoce in un veronese facilmente comprensibile. Evidentemente non era debolezza, ma forza tranquilla. Gli avversari gli hanno rimproverato scarsa esperienza, eppure oltre all’Associazione calciatori da vent’anni guida un istituto scolastico ispirato a don Milani, che ha fondato con la moglie Chiara, conosciuta a quindici anni, e una coppia di amici. Un polo d’eccellenza, che adesso conta 400 studenti e prestigio internazionale. Padre di sei figli, durante tutta la campagna elettorale ha preferito parlare di sostenibilità, ambiente e dialogo con il territorio. Ha detto che in questi anni «la città è rimasta ferma», che deve «riconquistare un ruolo europeo», che deve «diventare attrattiva per i ragazzi». Non ha mai attaccato personalmente i rivali, ha assistito alla lite fratricida nel centrodestra senza infierire. Si è invece concentrato sul proprio cammino che lo ha portato ad essere primo cittadino. E che l’ha già lanciato come un protagonista della politica italiana. Un leader, come quando giocava, ma a modo suo. 27 giugno 2022 (modifica il 27 giugno 2022 | 07:15) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-06-27 05:42:00, Dopo il successo al primo turno ha girato tutti i quartieri a piedi per battere la destra, senza mai attaccarla. Sei figli, toni bassi e aperto al dialogo: la lunga marcia per la vittoria, Riccardo Bruno

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