De Gregorio: Giovani distruggono statua per farsi un selfie. Decerebrati assoluti, un tempo sarebbero stati nelle classi differenziali. Scoppia la polemica, poi arrivano le scuse

Divampa la polemica riguardo le parole della giornalista Concita De Gregorio apparse su La Repubblica di venerdì 4 agosto. 

La giornalista scrive: “Sarebbero da definire decerebrati assoluti che in un tempo non così remoto sarebbero stati alle differenziali, seguiti da un insegnante di sostegno che diceva loro vieni tesoro, sillabiamo insieme, pulisciti però prima la bocca. Ecco ci sono questi deficienti, nel senso che letteralmente hanno un deficit cognitivo — non è mica colpa loro, ce l’hanno — e che però pur essendo idioti hanno probabilmente centinaia o migliaia di follower, non ho controllato ma non importa, è assolutamente possibile che siano idoli della comunità”.

E ancora: Come si fa a riavvolgere il nastro di questo delirio: questo sì che è un tema epocale, altro che Pnrr. Genitori: puniteli. Toglietegli le chiavi di casa, negategli la ricarica della prepagata e se guadagnano più di voi e per questo vi intimidiscono, suscitano il vostro rispetto: riprendetevi, toglietegli il sorriso. Io non lo so come si fa, ma si deve”.

Divampa la polemica e intervengono anche le associazioni. Antonella Falugani, presidente di CoorDown, commenta così l’articolo: “L’editoriale di Concita De Gregorio, pubblicato oggi su Repubblica, ci ha lasciati stupiti e amareggiati. Stupiti perché non ci aspettavamo parole discriminatorie, insultanti e che rievocano un passato dolorosissimo da parte di una giornalista e scrittrice che ha spesso avuto attenzione e sensibilità per le battaglie per l’inclusione portate avanti da genitori e persone con disabilità fisica e intellettiva. Amareggiati perché ancora una volta ci troviamo a denunciare l’uso violento della disabilità come stigma, pietra di paragone da usare come offesa e insulto massimo. Le parole “decerebrati assoluti”, “deficit cognitivo”, “idioti”, il richiamo a classi differenziali con ironia beffarda e l’immagine dell’insegnante di sostegno che dice “pulisciti la bocca” al suo alunno disabile, sono frasi vergognose che eravamo abituati a condannare quando venivano dette incautamente e con grande ignoranza dentro certa TV spazzatura”.

Arrivano anche diversi pareri dei lettori. Su Facebook, ad esempio, si registra il commento di Francesco Cannadoro: “Dobbiamo sentire o leggere qualcuno che usa la disabilità come metro per misurare l’inettitudine. Solo che oggi non si tratta di un quindicenne che commenta un meme sui social o che sfotte un amico durante l’intervallo a scuola, ma di una giornalista, scrittrice, conduttrice radiofonica, televisiva e opinionista di un certo spessore. Posso dire che mi sono rotto le palle?! Lo dico: mi sono rotto le palle”.

E ancora: “Ora, non voglio far passare la De Gregorio per un mostro, perché gli scivoloni che ti fanno cadere sulle chiappe capitano a tutti (sapeste quanti lividi ho io sul fondoschiena), ma le persone serie si differenziano dai cretini integrali per la loro capacità di ammettere un errore, imparare da esso e ricominciare migliori di prima. De Gregorio fa parte della prima categoria, ne sono certo. Fino a prova contraria”.

La giornalista, però, si difende, in un altro articolo apparso oggi su La Repubblica: “Alcuni lettori — soprattutto familiari di persone con handicap e anche associazioni — si sono sentiti offesi. Hanno ragione. Cerebrolesi non è un insulto ma una condizione, mi hanno scritto. Completamente d’accordo. Chiedo sommessamente scusa. Avrei dovuto fare appello a un altro vocabolario perché di sicuro c’è una parola che ben definisce chi per fotografarsi davanti a un capolavoro (statue, quadri, bellezze naturali) provoca danni irreversibili. Ma non è una di quelle che ho usato. Chiedo dunque scusa, sinceramente, e convengo: i cerebrolesi sono persone meravigliose afflitte da un danno. I normodotati che distruggono statue per postare una foto su Instagram non hanno nessun danno, invece. Naturalmente il mondo è pieno di molestatori e nessuno — figuriamoci se io — nega il pericolo. Dipende dal contesto. Qui era molto scivoloso”.

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