Def, il pressing dei partiti (che il premier Draghi ha respinto)

di Monica Guerzoni ed Enrico Marro Da Patuanelli a Giorgetti: i soldi non bastano, bisogna premere sull’Europa per ottenere di più. Ma per ora è no allo scostamento di bilancio Alla fine lo «scostamento di bilancio» chiesto a gran voce da tutta la maggioranza non c’è stato, ma in fondo le forze politiche lo sapevano da giorni. Da quando Mario Draghi e Daniele Franco avevano chiarito che non sarebbe stato il Def la sede per aumentare il deficit, con i mercati già in fibrillazione per le conseguenze della guerra in Ucraina. «Rischieremmo di pagarlo in termini di spread», ha risposto il ministro dell’Economia a chi, al tavolo della cabina di regia, insisteva per far salire l’asticella: resterà al 5,6% del Pil, lasciando uno spazio di 5 miliardi per le prossime misure a sostegno di imprese e famiglie, che saranno varate con un decreto dopo Pasqua. Per i partiti la cifra è «insufficiente» e torneranno presto alla carica, con un occhio al voto amministrativo di giugno. Ci hanno provato ancora ieri, nella riunione ristretta presieduta da Draghi prima del Consiglio dei ministri che ha approvato il Def. L’assalto alla diligenza è un film che il premier ha visto già troppe volte e al quale, nel chiuso della cabina di regia, ha messo la parola fine. «Lo scostamento non può essere la prima scelta — ha ammonito Draghi — Sarebbe un segnale pessimo, per la Ue e per i mercati. Farebbe ripartire i tassi d’interesse». Parole che, in serata, il presidente ha ribadito in conferenza stampa nella formula dell’appello all’«unità d’intenti», contro la «riaffermazione dell’identità dei partiti». Il monito è a tutto campo. Draghi ha richiamato i capi delegazione al pragmatismo e alla coerenza e bacchettato le forze politiche anche su riforma della giustizia e delega fiscale. Ha ricordato come la ministra Cartabia e altri giuristi ritengano incostituzionale il sorteggio «temperato» dei membri del Csm vagheggiato da Lega, FI e Italia Viva e ha chiesto che la riforma sia approvata al più presto: «Vi inviterei a evitare battaglie di principio su questo tema». La stessa (pressante) preghiera Draghi ha scandito sulla delega fiscale, sui cui si litiga da mesi. Il centrodestra vuole che i pareri delle commissioni parlamentari siano vincolanti e il premier, di nuovo citando la Costituzione, ha alzato un muro: «A chi teme che qualche manina intervenga sui decreti attuativi, ricordo che questo governo non aumenterà le tasse…». Poi l’attenzione è tornata sul rallentamento della crescita innescato dalla guerra. «Cinque miliardi sono pochi, ci vuole molto di più», è stato il coro tra cabina di regia e Cdm, che si sono svolti in un clima di tregua (armata). Giorgetti si è soffermato sul rischio inflazione, che presenterà un «conto salatissimo» a imprese e famiglie: «È il prezzo delle scelte che abbiamo fatto sulle sanzioni alla Russia, ma il governo deve intervenire». Orlando ha chiesto «adeguate forme di sostegno» per lavoratori, famiglie e imprese. Speranza è partito in pressing per riaprire la partita degliextraprofitti a carico delle aziende che vendono energia elettrica. E Patuanelli ha rilanciato il leitmotiv di Conte: «Lo scostamento è inevitabile». Draghi, pur rinviando la soluzione del rebus, ha assicurato una «disponibilità totale» a intestarsi un nuovo whatever it takes («tutto quel che è necessario») per lenire la perdita di potere d’acquisto. Il presidente del Consiglio e il ministro Franco si muoveranno in tandem in Europa per rosicchiare altri «margini finanziari», altri miliardi con cui accontentare i partiti e soprattutto alleviare le ristrettezze che la guerra in Ucraina inevitabilmente imporrà. E oggi il premier incontra i sindacati. 6 aprile 2022 (modifica il 6 aprile 2022 | 22:59) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-04-06 20:59:00, Da Patuanelli a Giorgetti: i soldi non bastano, bisogna premere sull’Europa per ottenere di più. Ma per ora è no allo scostamento di bilancio, Monica Guerzoni ed Enrico Marro

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