Professione Docente
Insegnare nella Scuola Italiana
Sono quei piccoli bocconi che i ristoranti stellati si sentono in dovere di distribuire prima di pranzo o cena. Ma se sono sempre uguali che uno sia a Torino o a Parigi, a Singapore o ad Alba, va nen bin
Che noia che barba, che barba che noia. Uso il celebre mantra di Sandra a proposito di quella che ormai è diventata una consuetudine nei ristoranti di alto livello: i cosiddetti «amuse-bouche». Con «diverti-bocca» si indicano quei piccoli bocconi che i ristoranti stellati a qualsiasi latitudine si sentono in dovere di distribuire a inizio pasto.
Capisco l’idea, e pure mi piace: intrattenere gli ospiti durante l’attesa; dare il tempo alla cucina di partire; dimostrare che nel conto sono comprese le coccole. Benissimo. Il fatto è che quando un’idea è buona si diffonde, e a forza di diffondersi si banalizza, perde di significato, di identità. Dunque, il primo motivo per cui di «amuse-bouche» non ne posso più è che sono sempre uguali, che uno sia a Torino o a Parigi, a Singapore o ad Alba.
Scommettete? Vi arriveranno sul tavolo cialde di riso variopinte, un cannolo farcito, certamente un gambero, una decorazione floreale, con ogni probabilità un finto pomodoro/oliva/melanzana/tartufo, un rigatone fritto, una tartelletta, magari un conetto farcito di una spuma, negli ultimi due anni quasi sicuramente un’ombra di ‘nduja.
Sempre questi, sempre con la stessa liturgia, col cameriere che dice «dovrebbe partire da sinistra, poi procedere in senso…» come fosse un vigile in mezzo a Piazza Baldissera. Capisco che il codice degli «amuse bouche» abbia vinto, ma non ne posso più del loro imperialismo culturale: se ne può fare tranquillamente a meno! Il secondo motivo per cui non sopporto gli «amuse-bouche» è che il 90% delle volte non sono buoni. Gli «amuse-bouche» devono essere come le tapas: non semplicemente cose piccole, ma morsi di gusto, ognuno deve essere preciso al palato, avere una dominante, altrimenti è solo bolo che mi allontana dall’obiettivo.
Il fatto è che ormai tutti se li aspettano. Se li aspettano i clienti, come in pizzeria si aspettano l’amaro offerto «e allora? I miei assaggini?»; se li aspettano le guide, la Michelin soprattutto, che ha codificato questa nuovo atto nel pranzo, l’ouverture prima dell’ouverture: mi immagino un ispettore che segna sul suo taccuino «niente amuse-bouche; ahi ahi ahi». Invece io dico: stop.
La rivoluzione parta da Torino. Ribelliamoci. Vogliamo dare un benvenuto? Benissimo, facciamolo à la piemontese. Servendo assaggi essenziali e che non si potrebbero trovare mai a Dubai. Una fetta di salame speciale, un roll di peperone e acciuga, una frittatina di erbette di campo, un fagottino di vitello tonnato… È facile capire quelli giusti. Basta chiedersi: «Lo fanno uguale a Londra?». Se la risposta è sì, va nen bin.
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19 febbraio 2022 (modifica il 20 febbraio 2022 | 13:55)
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Le tensioni durante la protesta contro il sistema dell’alternanza scuola-lavoro
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