di Gianni Santucci
Ai tornelli i ragazzini sfuggono ai controlli. In curva ci sono 13 mila persone, il 97% uomini e tanti bambini
Nessuno ha intenzione di fare a botte. Ma si scende al fiume «pe’ fasse ’na botta». (Pillola di romanesco: «farsi una botta», tirare una riga di cocaina). Un tizio urla all’amico che s’attarda: «Ahoooo». Mano destra in alto, mano sinistra ad accarezzarsi la narice. Sorrisone. Non serve il fumetto per interpretare l’invito. Alle sue spalle, dietro un’auto grigia, quattro ragazzi accalcati intorno a un motorino. Hanno girato lo specchietto verso l’alto. Ne hanno ricavato un piano d’appoggio. Uno acchitta le righe (sminuzza e dispone la sostanza), con una tessera da supermercato. Poi, a turno, come un balletto, tutt’e quattro si chinano sullo specchietto. Si rialzano su con uno scatto. Si strofinano rapidi il naso. Nessuno ha il raffreddore.
Domenica scorsa, 6 novembre, giorno di derby romano; ore 14.20, quasi quattro ore all’inizio della partita, sponda romanista. Popolo di curva Sud. Preparazione al match. Lungotevere maresciallo Diaz è una distesa d’asfalto larga come una piazza d’armi e già militarizzata. Una dozzina di camionette della polizia, due mezzi spara-acqua, quattro jeep, otto cavalli con poliziotti cavalieri. È l’unico punto di possibile contatto con i laziali che sciamano da Tor di Quinto verso la curva Nord. Da una parte, verso lo stadio, gli uffici del Comitato olimpico, viale del Foro italico, l’obelisco Mussolini. Dall’altra, verso il Tevere, i bar ritrovo dei romanisti. Sono qualche centinaio. Ne arrivano sempre più. «Ciao ci». Aumentano. «Abbello». Si radunano. «Oh frate’». Si trovano. «Anvedi chi cce sta». Molti vanno giù, a pippare tra i bambù.
Dietro i bar c’è una scarpata. Una scaletta di ferro con 25 gradini conduce in via Capoprati: più bassa e riparata (si fa per dire) rispetto al lungotevere stracolmo di polizia; una pista ciclabile, l’asfalto, una fitta corona di vegetazione (fogliame e canne di bambù, appunto). Al di là delle piante scorre l’acqua del fiume. Sopra, davanti ai bar, si tracanna birra da bicchieroni di plastica. Sulla scaletta è un processione. I quattro del motorino risalgono. Uno rolla subito una canna. L’accende. La passa all’amico in maglietta nera con scritta gialla sulla schiena: «Quando la rabbia diventa azione/Ultras Roma Casal Bertone» (quartiere tra il cimitero del Verano e il Collatino). Il terzo rifiuta di fumare: «Lascia perde’, io botta e canna nun je la faccio più». Due metri più in là, un uomo sulla cinquantina scende da uno scooter. Si sta togliendo il casco. Un amico lo invita giù. Risposta: «Aspetta, nun ce l’ho, c’è ito l’amichetto mio a pjalla» (prenderla). Davanti ai bar ormai è folla fitta. Qualche fumogeno. Alle 14.55 tre ragazzini scendono a farsi la botta; altri quattro pippano là vicino, appena nascosti tra le piante. Due che non hanno neanche voglia di scendere, il pezzo (sassolino di cocaina) se lo scambiano sulla scaletta. Il primo, occhiali Ray-Ban neri a goccia, si ri-infila la bustina di cellophane azzurro nelle mutande, sotto i testicoli: là dove non arriverà mai alcuna mano in caso di perquisizione (l’hashish negli stadi entra da sempre così). Esplodono due petardoni. Urla di olé. Risate. «Dajeee». Non si scompone chi sta intento a urinare all’ombra dei bambù: la birra alimenta fiotti giallastri sempre più consistenti che luccicano al sole. Partono i cori: «Noi odiamo la Lazio, noi odiamo la Lazio. Uccidiamoli». Il canto sulla mamma del laziale che intreccia pratiche sodomite e sesso orale non serve ripeterlo, perché a Roma lo conoscono pure i bambini. Alle 16 (cancelli dello stadio aperti), giù al fiume si continua a pippare sugli gli schermi degli iPhone. Unica differenza da prima: ormai nessuna remora. Si pippa en plein air, in mezzo alla strada, inondati dalla meravigliosa luce del sole calante su Roma, che resta struggente qualsiasi spettacolo umano scenda ad accarezzare.
Domanda: cosa ha a che fare questo consumo di cocaina indegno e smodato con il calcio? È uno specifico delle vituperate curve? Risposta onesta: no. Chi pippa prima della partita, pippa anche prima della discoteca, della serata, dell’uscita con gli amici. La droga arriva allo stadio perché inonda le città. E così anche per le derive d’estrema destra. Sui marmi ingrigiti del Foro italico campeggiano ancora centinaia di manifesti che commemorano il recente centenario della marcia su Roma. Niente a che fare col derby. È la città. Solo un po’ più visibile, più concentrata qua all’Olimpico: dove s’addensano tutti questi ragazzini che al posto di giallo e rosso sfoggiano sempre più nero nelle felpe e nei giubbotti. Che fondano piccoli clan come «Rnp», ovvero «Roma non perdona» (emblema: un teschio con bavaglio giallorosso). Che s’atteggiano tutti a «sono cattivissimo». E che si mescolano ai quaranta/cinquantenni con gli abiti lisciati, le barbe lunghe, i cappelli da pescatore sulle facce abbronzate di chi porta storie di strada incavate nelle prime rughe, look e modi da vecchia borghesia romana nera e spietata. Stanno vicini, lupi e lupetti. A godersi il brivido da branco del famo paura: che è uguale in tutta Italia, ma a Roma si impasta con un caput mundi da accatto, uno spruzzo di mistica imperial/fascista, un pomposo ricorso al latino (sulle maglie dei «Boys», che hanno appena compiuto 50 anni, sta scritto «ab aeterno»). L’aggressività galleggia, ma non esplode neppure verso l’intrepido imbecille che alle 16.30 passa da solo accanto a questa massa e urla: «Ammerde!», poi scappa verso la curva laziale, incespica, cade, si rialza e viene infine preso in consegna dalla Digos. Tempo di entrare allo stadio. Cancelli 18 e 19. L’ingresso è una tonnara. Caos utile a qualcuno. Perché c’è ancora gente che prova a entrare senza biglietto.
Ressa asfissiante. Urla. Per soli due ingressi, una dozzina di steward, altrettanti poliziotti, sei agenti della digos. Buttarsi in due nel tornello è la norma. Vecchio andazzo delle spintarelle. Roba da anni Ottanta. Non debellata da biglietti nominali e leggi sulla sicurezza. Quando passano in due, vanno fermati per un ri-controllo. Il flusso s’intasa. La rabbia monta. Bilancio su soli 25 minuti (16.50-17.15:) trentasette persone buttate fuori (perché senza biglietto, o con tagliandi o abbonamenti di altri settori) e sei «saette», ragazzi che nel caos riescono a intrufolarsi e schizzano da centometristi verso lo stadio, dove sarà poi impossibile trovarli (chi scappa è dato per perso, impensabile rincorrere). Si sale. Due rampe di scale. Sbocco sui gradoni. Veduta del campo. Sguardo intorno. La curva Sud. Tredicimila persone, al 97-98 per cento uomini, migliaia di sciarpe e magliette della Roma, centinaia di bandiere; tanti bambini e bambine, tra cui una di tre anni che resterà per tutta la partita in braccio al padre: e la domanda più insulsa sarebbe chiedersi se la curva è un posto (solo) di gente che pippa, fuma e entra senza biglietto. La risposta sale dall’energia di questa catasta di esseri umani che urla, sorride, sbraita, inveisce, fischia, canta. Condivide emozioni: e ingloba il male di fuori che si ritrova vicino allo stadio senza averci nulla, ma proprio nulla a che spartire.
PS. Il ricorso a una pratica irrituale c’è stato anche per realizzare questo servizio. Lo stadio era sold out. Il biglietto «introvabile» l’abbiamo recuperato il 31 ottobre su viagogo.com, società svizzera, piattaforma mondiale del secondary ticketing. Il vecchio bagarinaggio. Settore 18 AD, fila 55. Costo: 247,93 euro (30,68 di commissioni e 6,75 di Iva), oltre cinque volte il prezzo nominale, 45 euro. Chi lucra sulla rivendita andrebbe perseguito: ma sguscia regolarmente via, come i ragazzi che sgattaiolano ai tornelli.
PS bis. Alla coreografia della curva laziale, la Sud ha risposto con un insistito: «Sembra Napoli». I cori antisemiti degli ultrà biancocelesti a fine partita, dall’altra parte dello stadio, non si sono sentiti.
9 novembre 2022 (modifica il 9 novembre 2022 | 08:31)
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, 2022-11-09 07:43:00, Ai tornelli i ragazzini sfuggono ai controlli. In curva ci sono 13 mila persone, il 97% uomini e tanti bambini, Gianni Santucci