di Francesco VerderamiProprio l’ex premier e leader del M5S a un vertice Nato nel 2019 sottoscrisse l’accordo per l’aumento al 2 per cento. La preoccupazione degli altri Paesi della Nato Sostiene Di Maio che la contrarietà di Conte all’aumento del budget per la Difesa «è una posizione inaccettabile». Secondo il ministro degli Esteri, il Movimento è «una forza di governo che deve saper rispettare gli impegni, in linea con la sua collocazione. Che per me è chiara». Il tema non è il solito, stucchevole scontro tra grillini, politicamente marginale. Se Di Maio prende le distanze dal leader 5S — che minaccia di votare contro l’accordo sancito in sede Nato — è perché la questione ha dimensioni sovranazionali. Rischia di minare «l’affidabilità dell’Italia agli occhi degli alleati», come ha sottolineato il titolare della Difesa Guerini durante un colloquio tra colleghi dell’esecutivo: «L’impegno di arrivare gradualmente a investire il 2% del Pil, per i nostri partner ha un valore più rilevante delle operazioni a cui partecipiamo. A meno di non voler apparire quello che non siamo», cioè un Paese che ammicca ai russi e ai cinesi. Perciò Draghi tiene il punto: visto che il suo governo è fondato sulla fedeltà alla linea «atlantista ed europeista», intende far chiarezza sulle ambiguità emerse nella maggioranza dallo scoppio della guerra. Quanto sia strumentale la posizione di Conte, lo testimonia la firma che appose da presidente del Consiglio nel dicembre del 2019 a Londra, al vertice Nato organizzato per il Settantesimo anniversario del Patto. Nella dichiarazione sottoscritta con gli altri capi di stato e di governo, si legge che «siamo determinati a condividere i costi e le responsabilità della nostra indivisibile sicurezza. E attraverso il Defence Investment Pledge stiamo aumentando i nostri investimenti nella Difesa in linea con le linee guida del 2%». Fu così che un anno dopo il suo gabinetto decise in Finanziaria l’aumento delle spese militari e soprattutto varò il Fondo per gli investimenti pluriennali, storico spartiacque per il settore. Strano l’abbia dimenticato. Ma sono molte le stranezze che si succedono in Italia da quando Putin ha attaccato Kiev. E nel governo s’interrogano sull’attivismo dei russi: la lettera minatoria inviata ai parlamentari che hanno votato l’invio di armi all’Ucraina; le dichiarazioni minacciose verso il ministro della Difesa; l’esposto alla procura per un articolo della Stampa. Strano, «perché Mosca non si comporta così in altri Paesi», dice un rappresentante dell’esecutivo. Che ovviamente lì si ferma, mentre il senatore Quagliariello va oltre e spiega a Radio Radicale che «se il Parlamento italiano è particolarmente attenzionato dalla diplomazia russa, evidentemente c’è tra noi qualcuno che ha degli scheletri nell’armadio. La lettera ai parlamentari è un atto d’ingerenza. I pizzini sono invece un modo per tenere sotto pressione le figure istituzionali che tengono l’Italia ancorata al fronte pro-ucraino». Se questo è il contesto, appare scontato il fatto che da Roma i diplomatici dei Paesi alleati trasmettano da giorni alle loro cancellerie dispacci preoccupati. Nei quali si evidenzia come il pacifismo si sia trasformato in uno strumento popolare per stare dalla parte di Putin: sulla falsariga di quanto accadde in Italia ai tempi delle proteste per l’installazione degli Euromissili, mentre l’Unione Sovietica aveva già puntato gli SS 20 contro l’Europa. Ecco perché il dibattito su un ordine del giorno parlamentare per le risorse alla Difesa finisce per avere riflessi internazionali. C’è un conflitto in atto. E sebbene i governi di unità nazionale siano caratteristici dei tempi di guerra, proprio la guerra sta mostrando le crepe nella larga maggioranza. Ieri il capogruppo della Lega, Romeo, si è affrettato a far sapere che «se al Senato si discutesse un odg sull’aumento della spesa militare al 2% del Pil, voteremmo a favore come abbiamo fatto alla Camera». Ma è evidente che Salvini e Conte si sono politicamente posizionati, scommettendo su un cambio di clima, su un crescente malumore dell’opinione pubblica per le difficoltà economiche che vengono addebitate alle sanzioni contro la Russia. Da un mese Draghi si rivolge al Paese attraverso il Parlamento, senza nascondere i rischi di «razionamenti energetici», l’impegno a tutelare «quanto più possibile» la condizione economica delle famiglie e la «sopravvivenza» delle aziende. Che sia Putin a bombardare lo considera un dato di fatto. Perciò è sobbalzato quando al Senato gli hanno consigliato «toni meno belligeranti»: «Ma cosa stanno dicendo? Mi considerano un guerrafondaio? Questa è nuova». In effetti un tempo, per attaccarlo, gli davano del banchiere. 25 marzo 2022 (modifica il 25 marzo 2022 | 23:22) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-03-25 22:22:00, Proprio l’ex premier e leader del M5S a un vertice Nato nel 2019 sottoscrisse l’accordo per l’aumento al 2 per cento. La preoccupazione degli altri Paesi della Nato, Francesco Verderami