Abatantuono: «Salvatores mi dà del pigro? Sta con la mia ex e una figlia gliel’ho fatta io. L’inferno? Essere interista»

di Renato Franco

L’attore protagonista del film «Il mammone», basato sul successo francese «Tanguy»

«La mia è stata un’esperienza anomala. Appena ho potuto ho iniziato a fare la mia vita, mia mamma lavorava al Derby di Milano, da adolescente facevo il tecnico delle luci per I Gatti di Vicolo Miracoli e ho iniziato a girare per l’Italia. Ho fatto il primo film a 20 anni, vivevo a Roma e quando tornavo a Milano stavo al Giambellino dai miei, ero fortunato, avevo la mia stanza. Di fianco a me nelle case popolari uguali alla nostra c’erano famiglie con sei figli». Diego Abatantuono non ha niente del bamboccione, altro che esigente, nient’affatto mammone, come il titolo del film di cui è protagonista. Basato sul successo francese Tanguy, Il mammone racconta di un «ragazzo» 35 enne (Andrea Pisani) che non vuole sloggiare dalla casa dei genitori (il papà è Abatantuono, la mamma è interpretata da Angela Finocchiaro). Loro esasperati, lui che non ne vuole sapere (il film, regia di Giovanni Bognetti, arriva da lunedì 7 su Sky Cinema Uno e in streaming su Now).

Il tema è attuale, fin dal tempo in cui l’allora ministro Fornero dichiarò che i giovani «non devono essere troppo choosy», esigenti…
«Le commedie classiche dove si ride non sono tante, ma in questo film si ride, ci si diverte, è una commedia costruita sull’interpretazione degli attori con un tema molto preciso: si affronta la questione dei “mammoni” in maniera esasperata; al cinema bisogna raccontare storie dove succede qualcosa, perché se racconti la vita di uno a cui non capita nulla il film diventa lentino. È nell’essenza del cinema raccontare il clamoroso».

Il suo punto di vista?
«Tanti si concentrano sulla mancanza del lavoro, sull’impossibilità economica, ma credo anche che la nostra generazione nel dopoguerra si sia focalizzata troppo sul foglio di carta, sul fatto che i figli non dovevano fare la fatica che hanno fatto i genitori. Si sono messi tutti a studiare, anche chi non era portato… Questa fissa di far studiare i figli ha prolungato il percorso scolastico e così nel frattempo abbiamo anche perso grandi falegnami, grandi idraulici…».

Una figlia quasi quarantenne dalla prima moglie, due maschi che hanno superato i 25 dalla seconda compagna: lei come si è comportato con i suoi figli?
«Anche in questo caso ho avuto una vita anomala, fatta di possibilità economiche che mi permettevano di prendere determinate decisioni. Ai ragazzi ho preso una casa quando avevano 18/19 anni, ma egoisticamente sono contento se stanno da me, anche adesso. Ci vediamo molto, vediamo le partite insieme».

Con Gabriele Salvatores avete lavorato tantissimo insieme, è un suo grande amico, il fatto che è diventato il compagno della sua ex moglie ha addirittura cementato ancor di più la vostra amicizia. Gabriele dice che lei è pigro, che avrebbe potuto ottenere di più nella sua carriera.
«Perché lui no? Ha fatto la stessa carriera che ho fatto io, non mi sembra sia a Los Angeles a fare i 100 metri… Per altro io ho fatto 100 film e lui ne ha fatti 10; io ho fatto tre figli e lui ne ha ereditata una da me; io ho tre nipoti che chiamano nonno lui… e il pigro sono io?».

Però magari avrebbe potuto fare di più. No?
«Tutti possono fare di più. Io per carattere non sono competitivo, non ho mai avuto nessuna intenzione di andare in America a imparare l’inglese, anche perché ho un linguaggio che mi rende abbastanza interessante qua. E poi ho iniziato ad aver successo molto giovane, ogni volta che pensavo: se non succede niente me ne vado, succedeva qualcosa. Al contrario del mio meno pigro amico Gabriele, che a 30 anni era ancora al teatro dell’Elfo, io a 30 anni avevo già recitato in un sacco di film che incassavano parecchio, avevo comprato una casa e fatto smettere di lavorare i miei genitori, e mi ero già fatto fregare un po’ di soldi. Per questo siamo perfetti per stare insieme: io sono quello pigro che fa le cose. E poi se ci sono io i suoi film vengono meglio».

«Marrakech Express», «Turné», «Mediterraneo», «Puerto Escondido»: la vostra non è solo una storia di cinema, ma anche una storia di un’amicizia con un cast fisso di attori…
«Eravamo una grande compagnia di giro, era bello stare insieme, eravamo tutti affiatati e siamo tutti amici ancora oggi. Il nostro cinema partiva da una bella idea, da un telaio su cui lavorare e improvvisare, non era tutto scritto su un copione immutabile. Come è successo con Marrakech, man mano che andavamo verso il Marocco il film cresceva; la grande intelligenza di Gabriele faceva sì che tutte le proposte fatte da noi venissero vagliate, non accettate, ma vagliate. Con Gabriele c’è grande feeling, grande fiducia reciproca: ci capiamo al volo».

Ha 67 anni e il traguardo dei 70 non è lontano. L’età che passa fa girare le scatole?
«No no, fa proprio girare i coglioni; invecchio con allegria, sparo cazzate, mi rassegno a fare il nonno; siamo immersi nella cultura del non invecchiamento, della giovinezza eterna che crea mostri ridicoli, io invece invecchio come viene. Certo, quando sei circondato da tante persone a cui vuoi bene ti scoccia morire, perché hai voglia di vedere cosa succede. E poi c’è il Milan: voglio sempre sapere come va a finire…».

L’inferno come lo immagina?
«Essere juventino e non vincere mai la Champions oppure essere interista e dovermi inventare il triplete per fregiarmi di una coppa interessante che di per sé non esiste».

5 novembre 2022 (modifica il 5 novembre 2022 | 07:13)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-11-05 07:10:00, L’attore protagonista del film «Il mammone», basato sul successo francese «Tanguy» , Renato Franco

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Exit mobile version