Dopo la Campania e la Toscana anche la Puglia, oggi 16 febbraio, ha deciso di impugnare alla Corte Costituzionale la norma sul dimensionamento che prevede l’accorpamento e la chiusura delle scuole con meno di 900 studenti iscritti. Lo riporta l’Ansa.
La Regione Puglia chiederà alla Consulta, come già proposto da altre Regioni, “che sia dichiarata incostituzionale la norma statale che costringerebbe tra l’altro l’accorpamento di istituti scolastici sul territorio, causando disagi sia all’utenza che ai docenti” e in Puglia l’accorpamento di circa 60 dirigenze.
A fare lo stesso sarà presto l’Emilia Romagna guidata dal candidato alla segreteria del Partito Democratico Stefano Bonaccini, come ha annunciato.
Regioni di centrosinistra compatte
Riparte così dall’istruzione l’opposizione del centrosinistra all’Autonomia e alle politiche del Governo. Sono proprio le Regioni rimaste in mano al centrosinistra, infatti, che hanno impugnato o deciso di impugnare il cosiddetto dimensionamento scolastico, concentrato nel Mezzogiorno, in particolare Campania, Sicilia, Calabria, Puglia, Sardegna, a causa del calo demografico e di una situazione preesistente più complessa ma che riguarda tutta l’Italia. Si sta così verificando ciò che si auspicava il Governatore della Campania Vincenzo De Luca, che aveva chiesto alle altre regioni del Mezzogiorno di seguire il suo esempio.
“In Toscana gli accorpamenti portano a una riduzione del personale di circa 40 unità tra le figure di vertice, oltre che il personale e funzionari di alto livello nelle segreterie. E’ evidente che con 40 direttori in meno si vanno ad accorpare istituti”, ha spiegato il presidente della Toscana, Eugenio Giani.
Nel Lazio l’opposizione in Consiglio regionale, capeggiata dal candidato di centrosinistra appena sconfitto alle regionali, Alessio D’Amato, annuncia che chiederà “di rivedere il provvedimento che penalizza la scuola pubblica e chiediamo che anche la Regione Lazio, con la nuova amministrazione, impugni il provvedimento del dimensionamento”.
“Le prime scelte del governo in materia di istruzione sono gravi e prefigurano un vero e proprio attacco alla scuola pubblica. In particolare, la norma sul dimensionamento scolastico determinerà, di fatto, la riduzione, non solo delle sedi, che verranno inevitabilmente accorpate, ma anche del contingente dei dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi generali e amministrativi, che saranno quasi dimezzati rispetto ad oggi”, hanno detto la capogruppo del Pd alla Camera Debora Serracchiani e la capogruppo in commissione Cultura Irene Manzi. Nettamente contrari pure i sindacati. “Si scrive dimensionamento scolastico ma si chiamano tagli”, ha sintetizzato il segretario Flc Cgil, Francesco Sinopoli.
Nessun cambiamento per gli studenti
Il provvedimento è contenuto nella legge di bilancio, all’articolo 99. Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha risposto alle critiche parlando di una riduzione graduale nei prossimi dieci anni. “Si interverrà solo sulle strutture giuridiche, cioè sulle dirigenze scolastiche, non sulle strutture fisiche. I plessi attuali sono 40.466 e rimarranno 40.466. Gli studenti continueranno ad andare negli stessi luoghi fisici con gli stessi laboratori, le stesse aule, le stesse strutture”, ha spiegato il leghista.
Niente cambiamenti riguardanti gli edifici, quindi. A variare sarà il numero di scuole in quanto istituti giuridici. A diminuire invece, sarà il numero dei dirigenti “reggenti”, che si occupano di più scuole, con tutte le complessità del caso, che attualmente sono 957. Questo, a detta di Valditara, è un beneficio che porterà il dimensionamento. Il ministro, a quanto pare, punta a eliminare le reggenze.
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