«Dio patria e famiglia»  contro ateismo e libero amore

VENERDÌ 2 SETTEMBRE 2022

risponde Aldo Cazzullo

Caro Aldo,
di recente un lettore le ha scritto definendosi «progressista». Ma ha ancora un qualche significato? Perché progressista, nel tempo, è divenuto sinonimo di sinistra? Davvero è contrapponibile al tipico regressista di destra tutto «Dio patria e famiglia»? E se fosse solo una delle tante solite presunzioni dello schieramento politico che sembrerebbe destinato a perdere le prossime elezioni?
Mario Taliani, Noceto

Caro Mario,
La questione è interessante, al di là della schermaglia tra Monica Cirinnà, per cui «Dio patria famiglia» implica una «vita de m.», e Beatrice Venezi, ribattezzata da Dagospia «Bacchetta nera», che ha risposto: «Dio patria e famiglia sono i miei valori». Il motto, a mio avviso, non può dirsi tecnicamente fascista. «Dio patria famiglia» è uno slogan della destra conservatrice, se non reazionaria, in molte culture, dalla Serbia alla Russia. In Italia lo si fa risalire a Giovanni Giuriati, che fu segretario del partito tra il 1930 e il 1931. Ma a parte il fatto che i segretari del partito erano marionette in mano al vero capo, Mussolini, Giuriati e il suo predecessore Augusto Turati segnano una fase «normalizzatrice» del regime, quella della Conciliazione con il Papa. Prima di loro il segretario era Roberto Farinacci, estremista dalle mani sporche di sangue. Per dire il tipo, quando i suoi bravacci massacrarono a bastonate Attilio Boldori, socialista, invalido di guerra, Farinacci li difese così: «Non è colpa loro se le ossa del cranio di Boldori si sono rivelate troppo deboli». Mussolini aveva chiamato al suo fianco Farinacci nella fase della costruzione della dittatura, dopo la crisi seguita all’omicidio di Matteotti, ma se ne era liberato in fretta perché aveva capito che non si poteva governare solo con il terrore; non a caso Farinacci sarebbe tornato alla ribalta con l’occupazione nazista, lo sterminio degli ebrei, le bande di torturatori. «Dio patria famiglia» appartiene a un altro momento e un’altra variante del fascismo, sia pure provvisoria, come ogni cosa nella mente di un uomo pronto a tutto come Mussolini. Lui stesso da giovane era stato ateo dichiarato: celebre il comizio in cui diede a Dio cinque minuti per fulminarlo e provare così di esistere. Di famiglie ne aveva due, parallele, e risolse la questione facendone chiudere una in manicomio, dove morirono sia Ida Dalser sia il loro figlio Benito Albino. Quanto a Giuriati, era stato capo di gabinetto di d’Annunzio a Fiume — non proprio una culla della morale tradizionale —, e da segretario del partito si scontrò con l’Azione cattolica, che contestava l’egemonia fascista sulla gioventù. Insomma, tranne in qualche caso — tra cui certo quello di Beatrice Venezi —, i sostenitori di «Dio patria famiglia» ne combinano spesso di tutti i colori.

LE ALTRE LETTERE DI OGGI

L’ingiustizia

«Salviamo i nostri boschi attaccati dal coleottero»

A fine luglio sono passato per Agordo, Alleghe, Livinallongo, Val Badia e Pusteria, rivedendo la triste e ben nota situazione dovuta alla tempesta Vaia. Sono ripassato a tre settimane di distanza e sono rimasto impressionato: in così poco tempo lo stato dei boschi è enormemente peggiorato: siamo in piena epidemia «bostrico», il coleottero che uccide gli alberi interrompendo il flusso della linfa. La stima è che moriranno 5 volte le piante abbattute da Vaia. Oltre ai numerosi boschi abbattuti, ci sono pendii con tantissimi abeti rinsecchiti e, anche nelle rare zone «verdi», si vedono le prime macchie di alberi senza vita. Mi è capitato di camminare su sentieri coperti da uno spesso strato di aghi di pino e di sostare sotto la loro triste pioggia. Rientrato a casa con la morte nel cuore, dal dolore provato mi sono ripromesso di non passare più per quelle tanto amate montagne e, mentre mi documentavo sull’epidemia del coleottero, pensavo che milioni di italiani in ferie in montagna avrebbero visto lo scempio dei boschi e si sarebbero interessati del problema, e che i mezzi di comunicazione ne avrebbero parlato, e così si sarebbe capito che il problema è di tutti, ambientale, economico, politico, … Vorrei dare voce a questo grido d’allarme, il fenomeno è così grave e diffuso da richiedere interventi straordinari per evitare di perdere la naturale cornice delle nostre montagne, subendo il peggioramento del clima e della qualità dell’aria, frane, valanghe, esodo dalle comunità montane.
Alessandro Montesi

INVIATECI LE VOSTRE LETTERE

Vi proponiamo di mettere in comune esperienze e riflessioni. Condividere uno spazio in cui discutere senza che sia necessario alzare la voce per essere ascoltati. Continuare ad approfondire le grandi questioni del nostro tempo, e contaminarle con la vita. Raccontare come la storia e la cronaca incidano sulla nostra quotidianità. Ditelo al Corriere.

MARTEDI – IL CURRICULUM

Pubblichiamo la lettera con cui un giovane o un lavoratore già formato presenta le proprie competenze: le lingue straniere, l’innovazione tecnologica, il gusto del lavoro ben fatto, i mestieri d’arte; parlare cinese, inventare un’app, possedere una tecnica, suonare o aggiustare il violino

Invia il CV

MERCOLEDI – L’OFFERTA DI LAVORO

Diamo spazio a un’azienda, di qualsiasi campo, che fatica a trovare personale: interpreti, start-upper, saldatori, liutai. 

Invia l’offerta

GIOVEDI – L’INGIUSTIZIA

Chiediamo di raccontare un’ingiustizia subita: un caso di malasanità, un problema in banca; ma anche un ristorante in cui si è mangiato male, o un ufficio pubblico in cui si è stati trattati peggio. Sarà garantito ovviamente il diritto di replica

Segnala il caso

VENERDI -L’AMORE

Chiediamo di raccontarci una storia d’amore, o di mandare attraverso il Corriere una lettera alla persona che amate. Non la posta del cuore; una finestra aperta sulla vita. 

Racconta la storia

SABATO -L’ADDIO

Vi proponiamo di fissare la memoria di una persona che per voi è stata fondamentale. Una figlia potrà raccontare un padre, un marito la moglie, un allievo il maestro. Ogni sabato scegliamo così il profilo di un italiano che ci ha lasciati. Ma li leggiamo tutti, e tutti ci arricchiranno. 

Invia la lettera

DOMENICA – LA STORIA

Ospitiamo il racconto di un lettore. Una storia vera o di fantasia. 

Invia il racconto

LA FOTO DEL LETTORE

Ogni giorno scegliamo un’immagine che vi ha fatto arrabbiare o vi ha emozionati. La testimonianza del degrado delle nostre città, o della loro bellezza.

Inviateci le vostre foto su Instagram all’account @corriere

, 2022-09-02 04:54:00,

VENERDÌ 2 SETTEMBRE 2022

risponde Aldo Cazzullo

Caro Aldo,
di recente un lettore le ha scritto definendosi «progressista». Ma ha ancora un qualche significato? Perché progressista, nel tempo, è divenuto sinonimo di sinistra? Davvero è contrapponibile al tipico regressista di destra tutto «Dio patria e famiglia»? E se fosse solo una delle tante solite presunzioni dello schieramento politico che sembrerebbe destinato a perdere le prossime elezioni?
Mario Taliani, Noceto

Caro Mario,
La questione è interessante, al di là della schermaglia tra Monica Cirinnà, per cui «Dio patria famiglia» implica una «vita de m.», e Beatrice Venezi, ribattezzata da Dagospia «Bacchetta nera», che ha risposto: «Dio patria e famiglia sono i miei valori». Il motto, a mio avviso, non può dirsi tecnicamente fascista. «Dio patria famiglia» è uno slogan della destra conservatrice, se non reazionaria, in molte culture, dalla Serbia alla Russia. In Italia lo si fa risalire a Giovanni Giuriati, che fu segretario del partito tra il 1930 e il 1931. Ma a parte il fatto che i segretari del partito erano marionette in mano al vero capo, Mussolini, Giuriati e il suo predecessore Augusto Turati segnano una fase «normalizzatrice» del regime, quella della Conciliazione con il Papa. Prima di loro il segretario era Roberto Farinacci, estremista dalle mani sporche di sangue. Per dire il tipo, quando i suoi bravacci massacrarono a bastonate Attilio Boldori, socialista, invalido di guerra, Farinacci li difese così: «Non è colpa loro se le ossa del cranio di Boldori si sono rivelate troppo deboli». Mussolini aveva chiamato al suo fianco Farinacci nella fase della costruzione della dittatura, dopo la crisi seguita all’omicidio di Matteotti, ma se ne era liberato in fretta perché aveva capito che non si poteva governare solo con il terrore; non a caso Farinacci sarebbe tornato alla ribalta con l’occupazione nazista, lo sterminio degli ebrei, le bande di torturatori. «Dio patria famiglia» appartiene a un altro momento e un’altra variante del fascismo, sia pure provvisoria, come ogni cosa nella mente di un uomo pronto a tutto come Mussolini. Lui stesso da giovane era stato ateo dichiarato: celebre il comizio in cui diede a Dio cinque minuti per fulminarlo e provare così di esistere. Di famiglie ne aveva due, parallele, e risolse la questione facendone chiudere una in manicomio, dove morirono sia Ida Dalser sia il loro figlio Benito Albino. Quanto a Giuriati, era stato capo di gabinetto di d’Annunzio a Fiume — non proprio una culla della morale tradizionale —, e da segretario del partito si scontrò con l’Azione cattolica, che contestava l’egemonia fascista sulla gioventù. Insomma, tranne in qualche caso — tra cui certo quello di Beatrice Venezi —, i sostenitori di «Dio patria famiglia» ne combinano spesso di tutti i colori.

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L’ingiustizia

«Salviamo i nostri boschi attaccati dal coleottero»

A fine luglio sono passato per Agordo, Alleghe, Livinallongo, Val Badia e Pusteria, rivedendo la triste e ben nota situazione dovuta alla tempesta Vaia. Sono ripassato a tre settimane di distanza e sono rimasto impressionato: in così poco tempo lo stato dei boschi è enormemente peggiorato: siamo in piena epidemia «bostrico», il coleottero che uccide gli alberi interrompendo il flusso della linfa. La stima è che moriranno 5 volte le piante abbattute da Vaia. Oltre ai numerosi boschi abbattuti, ci sono pendii con tantissimi abeti rinsecchiti e, anche nelle rare zone «verdi», si vedono le prime macchie di alberi senza vita. Mi è capitato di camminare su sentieri coperti da uno spesso strato di aghi di pino e di sostare sotto la loro triste pioggia. Rientrato a casa con la morte nel cuore, dal dolore provato mi sono ripromesso di non passare più per quelle tanto amate montagne e, mentre mi documentavo sull’epidemia del coleottero, pensavo che milioni di italiani in ferie in montagna avrebbero visto lo scempio dei boschi e si sarebbero interessati del problema, e che i mezzi di comunicazione ne avrebbero parlato, e così si sarebbe capito che il problema è di tutti, ambientale, economico, politico, … Vorrei dare voce a questo grido d’allarme, il fenomeno è così grave e diffuso da richiedere interventi straordinari per evitare di perdere la naturale cornice delle nostre montagne, subendo il peggioramento del clima e della qualità dell’aria, frane, valanghe, esodo dalle comunità montane.
Alessandro Montesi

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Vi proponiamo di mettere in comune esperienze e riflessioni. Condividere uno spazio in cui discutere senza che sia necessario alzare la voce per essere ascoltati. Continuare ad approfondire le grandi questioni del nostro tempo, e contaminarle con la vita. Raccontare come la storia e la cronaca incidano sulla nostra quotidianità. Ditelo al Corriere.

MARTEDI – IL CURRICULUM

Pubblichiamo la lettera con cui un giovane o un lavoratore già formato presenta le proprie competenze: le lingue straniere, l’innovazione tecnologica, il gusto del lavoro ben fatto, i mestieri d’arte; parlare cinese, inventare un’app, possedere una tecnica, suonare o aggiustare il violino

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Vi proponiamo di fissare la memoria di una persona che per voi è stata fondamentale. Una figlia potrà raccontare un padre, un marito la moglie, un allievo il maestro. Ogni sabato scegliamo così il profilo di un italiano che ci ha lasciati. Ma li leggiamo tutti, e tutti ci arricchiranno. 

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Ogni giorno scegliamo un’immagine che vi ha fatto arrabbiare o vi ha emozionati. La testimonianza del degrado delle nostre città, o della loro bellezza.

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