L’allarme lanciato in occasione del rapporto Censis. Il Miur? È d’aiuto solo per il 23% Scuole allo stremo senza più personale amministrativo
Stretti tra molestie burocratiche e responsabilità, continue riforme e innovazioni, i presidi sono sottoposti a «un reiterato stress» che ha spinto il Censis a dedicarne un focus specifico nel suo «Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2017», chiedendosi se la dirigenza scolastica a rischio burn out (www.censis.it), anticipando i primi risultati di un’indagine ancora in corso che finora ha coinvolto 1.045 dirigenti scolastici. Oltre di affrontare con urgenza il nodo economico con un incremento delle retribuzioni (68,8%), i presidi richiedono di arrivare a un nuovo modello organizzativo.
Ben il 96,7% è d’accordo sulla necessità di ripensare, potenziare e adeguare le competenze del personale non docente, in particolare quello amministrativo, e l’88,9% ritiene che dovrebbe poter contare su un organico di middle management, selezionato tra il personale a disposizione, remunerato adeguatamente ed esonerato in tutto o in parte dalle attività didattiche, con compiti e responsabilità ben definiti, in quadrato contrattualmente, come progressione di carriera per i docenti o il personale amministrativo. Del resto, per i presidi negli ultimi anni sono stati particolarmente gravosi gli aspetti normativi e burocratici della professione.
In particolare, in un range che va da 1 (per niente gravoso) a 10 (molto gravoso) hanno assegnato un punteggio medio di 8,30 al nodo critico dell’applicazione e delle responsabilità relative a normative generali, quali privacy, trasparenza amministrativa e siti web, anticorruzione. Seguito dalle tempistiche di adempimenti di circolari e direttive del Miur o degli usr (7,79) e di quelle stringenti per la presentazione dei progetti Pon e di altri interventi nazionali (7,09).
E il 37,5% dei presidi richiede un supporto organizzativo e amministrativo per l’applicazione delle procedure per la dematerializzazione e del codice dell’amministrazione digitale. In aiuto dei dirigenti spicca il proprio staff per il 96,2% di loro. Al secondo posto il dirigente amministrativo e dunque Dsga (80,8%) e, a distanza, il personale Ata (69,5%). Per il 52,3% sono d’ausilio le proprie associazioni professionali, mentre una quota analoga trova di sostegno i corsi di aggiornamento (52%). Un 43,8% si appoggia ai contenuti delle riviste specializzate. C’è poi il 39,4% che fa riferimento alle comunità professionali informali come i gruppi sui social. Ultimi posti per le diverse istituzioni scolastiche e territoriali: al 36,7% gli usr, al 34,7% le istituzioni locali e solo al 23,6% il Miur.
Per la maggioranza dei presidi, il 54,6%, un valido supporto arriva dalle reti di scuole. Per quelle tra queste che hanno obiettivi di innovazione dell’organizzazione e delle metodologie didattiche i presidi ne percepiscono molto (51,6%) o abbastanza (39,8%) alto interesse e utilità. Elevato anche il giudizio sulle reti costruite intorno all’individualizzazione e la flessibilità dei curricola: molto utili e interessanti per il 42,8% e abbastanza per il 44,3%.
Del resto, su 1.048 scuole ben il 93,2% aderisce ad almeno una rete di scopo e il 56,1% è inserita in più di due reti.
La rete di ambito è vista soprattutto come un’opportunità per far circolare tra le scuole aderenti le buone pratiche in atto (48,3%), per il 36,7% dei dirigenti permette di fare economie di scala, per il 36,6% è un supporto al miglioramento di pratiche educative della scuola e il 33,3% che agevola l’accesso ai finanziamenti.
Il valore aggiunto delle reti di scopo è, invece, individuato nel loro supporto al miglioramento della didattica e delle pratiche educative (52,9%) e alla circolazione di buone pratiche (45,5%). Se una lefge, la 107, ha favorito le reti di scuole, nuove normative per il Censis hanno innescato un circolo virtuoso a supporto dell’inclusione a scuola e nell’università. Così, negli ultimi dieci anni, dal 2007 al 2017, nella materna e nel I ciclo gli alunni con disabilità sono aumentati del 26,8% arrivando a 168.708, e alle superiori del 59,4%, contando 65.950 studenti.
In forte aumento anche gli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa), che nel 2014/15 alle superiori ammontavano a quasi 68.000 ragazzi, con un +180,9% rispetto al 2011/12. Ma è all’università che si gioca la sfida dell’inclusione. Nel 65% dei 40 atenei indagati dal Censis, nel 2014/15, gli studenti iscritti con disabilità hanno raggiunto i 14.649 persone: +13,3% in tre anni.
La maggior parte è iscritta a corsi dell’area umanistica e della formazione (33,1%), seguita dall’area scientifica (29,3%) ed economico-giuridica (27,7%). Tutti soddisfatti della scelta. Tanto che l’82,1% si iscriverebbe di nuovo all’università che frequenta.
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Fonte dell’articolo: ItaliaOggi