Dispersione scolastica, Italia tra i peggiori del Vecchio Continente

La spiccata e organica analisi proposta dalla testata on-line TrueNumbers relativa al tasso di abbandono prematuro del mondo della formazione e della scuola da parte degli studenti e delle studentesse italiani offre un panorama coeso della problematica a livello comunitario. I dati sono forniti, in tal caso, da Eurostat, ente statistico che osserva da decenni tali fenomeni. L’incidenza di una formazione tenuta in modalità mista, o del tutto a distanza, ha inciso pesantemente ed ha contribuito a desertificare l’interesse, la predisposizione e limitare le opportunità di scambio, dialogo e dibattito degli studenti, che naturalmente avviene in classe; tale limitazione ha contribuito a rendere esponenziale, purtroppo, i tassi di abbandono e dispersione scolastica, specie nel Mezzogiorno, pesantemente colpito.
Sono poche (5) le realtà europee e del SEE ad avere dati meno incoraggianti dei nostri, nonostante si possano trattare di paesi ricchi e avanzati, tra cui figura, ad esempio, l’Islanda, Spagna e Malta, per via delle pesanti restrizioni anticontagio abbattutesi su giovani e studenti. Numerosi piani di natura comunitaria e dedicati al Belpaese prevedono, almeno dal 2010, la riduzione stabile della dispersione scolastica al 10 %: l’Italia, per via delle discrete migliorie apportate al sistema, non risulta così distante dal dato sopracitato, piazzandosi al 13,1 %.
Ad incentivare e favorire il fenomeno sono le condizioni socio-economiche e familiari dell’individuo, e il relativo inserimento nel gruppo familiare stesso, fatto di dialogo, appoggio reciproco e comprensione. Gli abbandoni precoci, come sottolinea il quotidiano, sono più presenti in famiglie in cui i genitori presentano un basso grado d’istruzione e vedono la formazione scolastica come un elemento, un’opportunità non perfettamente funzionale all’inserimento della prole nel mondo del lavoro.
L’ISTAT sostiene e conferma, a tal proposito, che il fenomeno è causato “da una serie di fattori, tra cui la situazione socio-economica della persona, il background formativo della famiglia, i fattori di attrazione del mercato del lavoro, il rapporto con la scuola e i con i programmi educativi offerti, le caratteristiche individuali e caratteriali della persona”. L’abbandono della formazione scolastica, specie quella secondaria di secondo grado, riguarda almeno il 22,7 % degli studenti e delle studentesse con genitori che hanno ottenuto esclusivamente la licenza media.
Se questi ultimi svolgono, inoltre, una professione non qualificata, siano in difficoltà economiche evidenti o non lavorino il fenomeno vede un incremento medio del +22 %, mentre se costoro conducono una professione specialistica gli abbandoni sono infrequenti (+ 3 %).
Le discrepanze a livello statistico, in particolare, si esprimono anche valutando in separata sede il Mezzogiorno, il Centro Italia e il Settentrione: nel 2020, l’abbandono degli studi prima di terminare il percorso di scuola secondaria è stato del 16,3% al Sud, 11,0% nel Nord e 11,5% nel Centro. Le differenze da regione a regione sono notevoli: molte di queste hanno valori nettamente inferiori al 10% mentre Sicilia, Campania, Calabria e Puglia contano maggiori abbandoni (19,4%, 17,3%, 16,6% e 15,6% rispettivamente). 
Per offrire un confronto con le altre realtà europee occorre ottenere i dati relativi alla dispersione scolastica emessi dall’Eurostat del 2019, secondo i quali la percentuale di giovani europei tra 18 e 24 anni che ha lasciato gli studi prima di completare gli studi secondari di secondo grado al fine di ottenere il diploma di maturità è stata dell’10,2%. L’obiettivo è stato quasi raggiunto in ogni caso, ma i dati italiani sono, ancora una volta, superiori alla media europea; il Belpaese presenta un tasso di abbandono scolastico del 13,5 %, ma sono da riconoscere ed apprezzare alcuni miglioramenti che hanno interessato la gestione del fenomeno.

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Pietro Guerra

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