Docenti di sostegno senza specializzazione si raccontano: È frustrante e ci si sente inadeguati. Ma tutti i docenti dovrebbero provare questa esperienza per gestire meglio la classe

Ogni anno, specialmente al Nord, moltissime cattedre sul sostegno sono assegnate a precari privi di specializzazione. Molti accettano per non restare disoccupati. Altri ne approfittano per intraprendere una sfida stimolante che però in molti casi può diventare frustrante.

Alcune considerazioni sul tema si leggono su Il Post, che raccoglie alcune esperienze di precari senza specializzazione e dunque una formazione specifica adeguata.

C’è ad esempio la storia di Andrea Sacchetti, che ha 37 anni e insegna filosofia alle superiori. Durante gli anni da precario ha avuto esperienze come docente di sostegno: “Per me come per altri è stato un modo per non restare disoccupato un anno, soprattutto se non trovi una supplenza nella tua disciplina”, dice.

L’insegnante racconta le difficoltà incontrate dato che si è trovato sprovvisto di una formazione specifica: “Anche mettendoci molto impegno, spesso a fine giornata ti rendi conto che sarebbe servito qualcuno con più formazione per fare bene quel lavoro“.

L’aspetto delicato è quando lo studente ha una patologia molto grave e quindi l’assenza di formazione può generare problemi non solo al docente, ovviamente, ma anche proprio allo studente. Il caso di Daniele Auditore ha 34 anni spiega al meglio questo aspetto, dato che ha avuto come alunno un ragazzo tetraplegico: “Era come interagire con una persona di 4 anni nel corpo di una di 18, senza sapere come fare“, racconta. “Mi sono sentito profondamente inadeguato, ho rischiato un burnout e poi pian piano sono entrato in sintonia con lui, facendo tentativi, collaborando con colleghi più esperti, ascoltando suggerimenti e cercando di applicarli”.

Erica Romano fa l’insegnante di sostegno da quattro anni e ritiene che ogni insegnante curricolare dovrebbe fare un’esperienza di sostegno, “per capire come gestire una classe in modo più inclusivo, lavorare con tipi di intelligenze diverse, cercare soluzioni alternative per raggiungere gli stessi obiettivi. E per capire che premiare un solo tipo di intelligenza, nell’insegnamento, è nocivo per tutta la classe”.

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