Donne e giovani, quelli costretti a fare il part time

di Paolo Riva

Crescono in Italia e in Europa i lavoratori con contratti ridotti. Per il rapporto Eurofound la nuova realtà è collegata alla crisi. Il calo occupazionale «oscura» i lati positivi della flessibilità

C’è chi lavora troppo. Ma c’è anche chi vorrebbe lavorare di più. In Europa e in Italia, negli ultimi anni, sono cresciuti i lavoratori e soprattutto le lavoratrici che hanno un contratto a tempo parziale, ma che vorrebbero essere impegnati per un numero maggiore di ore. Sono i cosiddetti part time involontari. «Il tempo parziale è una delle poche forme di flessibilità che può incontrare le esigenze del lavoratore, ma può anche diventare un boomerang», spiega Ivana Fellini, sociologa del lavoro dell’Università degli studi di Milano Bicocca. Non essere occupati a tempo pieno può essere un bene, se aiuta a conciliare vita e lavoro. Ma diventa un problema, se si tratta di un ripiego. Il fenomeno ha assunto una dimensione notevole soprattutto con la crisi iniziata nel 2008. E ha riguardato sia il part time in generale sia quello involontario più nello specifico.

La grande recessione

«Uno degli sviluppi più evidenti nei mercati del lavoro europei degli ultimi decenni, accentuato dalla crisi finanziaria globale, è stata la crescente quota di occupazione a tempo parziale», si legge in un rapporto di Eurofound. Da un lato, prosegue il documento, «i settori dei servizi in crescita tendono ad avere esigenze di orario di lavoro più diversificate e a impiegare più lavoratori part time» e, dall’altro, «i datori di lavoro assumono o mantengono il personale a tempo parziale in un contesto di riduzione della domanda di lavoro».

Il risultato, conclude l’agenzia Ue, è che «con l’aumento della quota di part time, è cresciuta anche quella dei part time involontari». Per la professoressa Fellini, il part time involontario è «il prodotto avvelenato della grande r ecessione», «molto più diffuso tra le donne e i giovani». Secondo un’elaborazione di Openpolis fatta su dati Eurostat, in Italia, nel 2009, i part time involontari rappresentavano l’1,6 per cento della forza lavoro, il 2,4 per cento dieci anni dopo e il 3 nel 2021.

Differenze di genere

La media nasconde le differenze di genere indicate da Fellini, con i part time involontari che tra le donne superano il quattro per cento. E, per quanto tra 2020 e 2021 il dato sia calato di 0,2 punti percentuali, neanche la crescita post Covid sembra essere in grado di cambiare la situazione. «La ripresa dell’occupazione in Italia rischia di non essere strutturale perché sta puntando troppo sulla riduzione dei costi tramite la riduzione delle ore lavorate», ha dichiarato nel novembre 2021 Sebastiano Fadda, presidente di Inapp.

L’istituto, in quell’occasione, aveva presentato uno studio sui contratti firmati nel primo semestre dell’anno, rivelando come oltre il 35 per cento di essi fosse part time. Non solo. «Quasi la metà (il 49,6 per cento) delle nuove assunzioni di donne è a tempo parziale, contro il 26,6 per cento degli uomini. E il 42 per cento dei nuovi contratti di donne associa al regime orario a tempo parziale anche una forma contrattuale a termine o discontinua. L’essere under 30 e vivere al Sud continua a rappresentare una condizione di svantaggio ulteriore», spiegava Inapp in una nota.

I «working poor»

Come è facile intuire, dati come questi rischiano di incrementare ulteriormente le differenze di partecipazione e redditi che già esistono tra uomini e donne. Ma anche di aumentare il numero di lavoratori poveri, i cosiddetti working poor, persone che pur avendo un’occupazione si trovano sotto la soglia di povertà, a volte proprio perché non lavorano un numero sufficiente di ore. «Dietro all’aumento della povertà lavorativa degli ultimi quindici anni si nascondono, oltre a salari stagnanti, l’aumentata instabilità delle carriere e l’esplosione del tempo parziale involontario», si legge in una relazione sulla povertà lavorativa pubblicata dal ministero del Lavoro a fine 2021. Le conseguenze dei part time non voluti sono quindi di diversa natura e e negative.

I meno qualificati

Che fare, quindi, per migliorare la situazione? Sempre il documento di Eurofound, spiegava che il punto non è limitare tutto il part time, precisando che «nei Paesi in cui il lavoro a tempo parziale è diffuso, ed è un elemento comune del mercato del lavoro da alcuni decenni, il part-time sembra essere più accettato e più probabile che sia volontario». Al contrario, prosegue il rapporto dell’agenzia, «dove il tasso di disoccupazione è aumentato maggiormente, è molto probabile che anche la quota di part time involontario sia cresciuta fortemente». Per la professoressa Fellini, il fenomeno è molto legato «alle occupazioni meno qualificate». «Certi lavori – conclude – non spariranno, ma per migliorarne le condizioni bisogna rinforzare tutta la struttura occupazionale».

9 ottobre 2022 (modifica il 9 ottobre 2022 | 06:16)

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