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Scena politica italiana fotografata all’oggi dell’8 marzo 2023, la prima fila: una donna , per la prima volta alla guida del governo, Giorgia Meloni, un’altra donna Elly Schlein la leader del principale partito di opposizione.
C’ di che rallegrarsi: il soffitto di cristallo delle Istituzioni si rotto
Ma aver messo la bandierina sulla cima del monte non risolve ancora il problema che c’ sotto, ovvero, quello della scarsa e mal distribuita presenza delle donne nei luoghi della decisione politica. E nei ruoli in cui questa si esercita: gli scranni del Parlamento, il Governo, i consigli regionali, i sindaci, i consigli comunali.
Perch se la societ composta in egual misura da uomini e donne ci si aspetta che le istituzioni, in quanto specchio di quella societ, siano composte in maniera analoga. Non ancora cos, ma ci stiamo lavorando.
Lo racconta con numeri e grafici il nuovo dossier del l’Ufficio Valutazione Impatto del Senato Parit vo cercando in cui si analizza la presenza delle donne nelle istituzioni dal 1948 ad oggi, tra periodi di stagnazione, salti in avanti e clamorosi stop.
Parlamento: dal 5% al 35% in 70 anni
Nell’aprile 1948, le donne entrano per la prima volta in Parlamento: sono 4 senatrici e 45 deputate, appena il 5% di tutti gli eletti. Un gruppetto. E restano esigua minoranza per parecchi anni: bisogna arrivare al 1976 per superare quota 50 (su 660) e poi al 2006 per superare quota 150. Ed solo nel 1976 che la prima donna, Tina Anselmi (Dc) diventa titolare di un ministero. Il primo vero salto in avanti per la presenza femminile a Montecitorio e a Palazzo Madama avviene per nel 2013 (XVII legislatura): con un Parlamento composto da 206 deputate e 97 senatrici e con una media complessiva del 29,9 per cento per la prima volta stata superata la media dei Parlamenti Ue (29 per cento). Con le elezioni del 2018 (XVII legislatura) stato superato, per la prima volta, il numero delle 300 elette, un terzo dei parlamentari: sono passati esattamente 70 anni dall’avvio della prima legislatura e da quell’esiguo 5% .
La percentuale storica del 35,9% ottenuto nel 2018 con la XVII legislatura (governi Conte I, Conte II e Draghi) resta il dato pi alto perch con le politiche del 2022, purtroppo, registriamo una leggera flessione che porta la presenza femminile al Parlamento al 33%.
Va detto che il salto in avanti ottenuto nel 2018 stato reso possibile dall’introduzioni delle regole sul riequilibrio di genere presenti dentro la nuova legge elettorale (varata nel 2017) un triplice che toccavano tre aspetti: l’ordine di lista; il numero di candidature uninominali per genere; le posizioni di capolista. Ma se da una parte le regole su quote e preferenze sono servite a ridurre lo squilibrio di genere, dall’altra sembrano non bastare (ancora) per innescare una tendenza in positivo, come dimostrano le ultime elezioni politiche.
Il governo pi paritario? Quello di Draghi
Le cariche del potere esecutivo in Italia sono sempre state a schiacciante maggioranza maschile: ben 13 governi della storia repubblicana erano composti esclusivamente da uomini. Bisogna aspettare il governo Prodi del 1996 per avere 10 donne titolari di ministero. Ma il record di presenze femminili al governo (tra ministri, vice e sottosegretari) spetta all’esecutivo guidato da Mario Draghi: 27 su 65, il 41,2%. Giorgia Meloni, prima premier italiana donna, conta nel suo governo solo il 30,8% di donne. In controtendenza non solo rispetto a Draghi, ma anche rispetto al Conte II (34%). Da notare poi, che solo 3 sono ministre con portafoglio (Bernini, Caltagirone, Santanch). E nessuna titolare di dicasteri considerati strategici: economia e bilancio, esteri. infrastrutture, difesa. Ma questo purtroppo un limite di quasi tutti i nostri governi (mai c’ stata una donna alla guida dei ministeri economici) e, a cascata, anche dei consigli regionali. Pi facile trovare donne con deleghe al sociale, alle pari opportunit, all’istruzione. Entrare nella stanza dei bottoni, insomma, non significa, avere accesso ai bottoni che contano.
Una sola regione a guida femminile
Poche ancora le donne alla guida di Regioni e provincie autonome. Come rileva il dossier del Senato, soltanto la regione Umbria al momento retta da una governatrice, dopo che la scomparsa di Jole Santelli, eletta presidente della regione Calabria nel gennaio 2020, ha determinato lo svolgimento anticipato di nuove elezioni regionali. Su 20 regioni, 11 non sono mai state guidate da una donna. Uffici di presidenza e consigli regionali sono ancora tutti a maggioranza maschile (con la sola eccezione della Regione Veneto nel cui Ufficio di presidenza composto al 60% da donne). Molte le flessioni dal 2018 a oggi.
Fra gli assessori (e vicepresidenti con deleghe) le donne rappresentano in media il 28 per cento (rispetto al 33 per cento del 2018).
Nonostante il gap ai vertici un maggiore equilibrio arriva nelle composizioni dei consigli regionali. Questo per merito dell’introduzione delle quote di genere in lista e della preferenza di genere: introdotta nel 2009, per la prima volta, dalla legge elettorale campana – stata posta dalla legge statale n. 20 del 2016 quale principio fondamentale, al cui rispetto sono tenute le leggi elettorali regionali che prevedano l’espressione di preferenze.
Le sindache in carica: 15,8% del totale
Nel 1946 le donne sindaco in Italia erano 10 e circa duemila erano elette nei consigli comunali. Quarant’anni dopo, nel 1986 erano 145. Oggi? In base ai dati del Ministero dell’Interno, le sindache in carica al 13 febbraio 2023, sono 1.180 ovvero appena il 15,18% dei totale dei sindaci italiani. Ma attenzione: la stragrande maggioranza delle sindache (1.083) alla guida di comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti. La regione con il maggior numero di sindache in carica il Friuli Venezia Giulia dove il 21% dei comuni sono guidati da donne. Fanalino di coda la Campania dove la percentuale appena del 5%.
A guardare la composizione dei consigli comunali e il numero degli assessori le percentuali salgono considerevolmente: sono donne il 29,09 dei presidenti di consiglio comunale: 322 su 1.107. Pi equilibrato ancora il gap tra assessore e assessori comunali: il 43,36 sono donne : 8.961 donne su 20.665 assessori comunali. Le norme sulle quote di lista e sulle preferenze di genere (come l’introduzione della doppia prefenza da assegnare a candidati di genere diverso) hanno contribuito a ridurre la maggioranza maschile.
Quote e prerenze: le regole da seguire
Il cammino verso la parit nella distribuzione delle cariche politiche, a qualsiasi livello, locale o nazionale, lo abbiamo visto, sostenuto dall’introduzione di norme che introducono quote di lista e regolano la preferenza di genere. Regole, insomma che vincolano la preparazione delle liste ma anche guidano l’elettore verso scelte paritarie.
Difese e perfezionate nel tempo, ma anche odiate e contrastate, le quote di genere si sono rivelate fondamentali – e i numeri lo dimostrano – per rendere possibile il rispetto dell’articolo 3 della nostra Costituzione: Tutti i cittadini hanno pari dignit sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libert e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese
Quando la Consulta bocci le Quote
Non stato un cammino facile quello delle leggi sulle quote di genere e le resistenze sono arrivate anche dall’interno. Basti ricordare la sentenza della Corte Costituzionale del 1995 che cancellava le quote alle elezioni nazionali, regionali e comunali, definendole incostituzionali: per superare una discriminazione se ne introduce un altra, diceva, semplificando, la Corte, quindi, si va contro il principio formale di uguaglianza in base al quale il sesso non pu essere rilevante ai fini della candidabilit. Bisogner aspettare il 2003 e poi il 2010 per ribaltare il quadro.
Le Quote non c’entrano con il merito
I detrattori delle leggi sulle quote ci sono stati e ci sono. Spesso mescolando e confondendo il tema della quote con quello del merito. E sostenendo che le prime siano un ostacolo per il secondo.
Ma come spiega Chiara Martuscelli nella rivista Ingenere: Nel campo della politica, il problema non tanto quello della capacit, del merito, della competenza, ma pi semplicemente quello della rappresentanza: un’insufficiente rappresentanza di donne all’interno delle istituzioni rappresentative impoverisce il confronto dialettico che all’interno di quelle istituzioni deve svolgersi, limita lo spettro di risposte che quelle istituzioni sono tenute a fornire alle istanze che provengono dal Paese (…) Nel campo della politica pi che negli altri, pu essere sostenuta l’idea che equality = quality, cio che la parit sinonimo di qualit..
Dopodich l’obiettivo della parit non riguarda solo la politica (anche se ne un pilastro fondamentale) e non si persegue solo con le quote di legge, ma con un lavoro culturale della societ intera di cui le stesse istituzioni devono farsi carico.
Come conclude il report del Senato: Riguardo al riequilibrio di genere della rappresentanza, quindi evidente che le norme contano, ma pi ancora contano fattori sociali e culturali: il grado di sviluppo civile raggiunto da un Paese nel progredire della sua storia.
Su questo, a che punto stiamo?
8 marzo 2023 (modifica il 8 marzo 2023 | 16:35)
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, https://27esimaora.corriere.it/23_marzo_08/donne-potere-perche-c-bisogno-ancora-quote-143b1dea-bda1-11ed-b743-21e74a13bd9b.shtml, Corriere,