di Paola D’Amico
L’Italia ha 8.300 km di litorale, ma negli ultimi 30 anni ha perso molto terreno. Il 50 per cento delle coste sabbiose è in fase di erosione: già spariti 1.700 chilometri. Troppi insediamenti urbani vicino alla costa
Sono un limite labile tra mare e terra. Le abbiamo sempre lasciate a se stesse, spesso dimenticate. Parliamo delle coste del Belpaese, così intensamente vissute e sfruttate. E, forse, date per scontato. Il litorale italiano è il quattordicesimo più lungo del mondo (8.300 km), il quinto più lungo in Europa ma detiene – con quasi 5 km- il 40% di tutte le coste balneabili del vecchio continente. Eppure, negli ultimi 30 anni quel fenomeno naturale che si chiama erosione è divenuto drammatico. Oggi il 50% delle spiagge sabbiose è in fase di erosione e l’Italia ha già perso circa 1.700 km di litorale. Mentre le coste alte (poco più di un terzo del totale delle coste) sono soggette a crolli, come insegna il disastro del cimitero di Camogli del marzo 2021. Ma l’erosione ai piedi aggredisce anche le meravigliose grotte costiere del Salento. Mettendo a rischio le strutture urbanizzate sovrastanti. Tutte.
Perché è un dato di fatto: la aree costiere sono i territori maggiormente occupati da insediamenti urbani, porti e porticcioli, attività economiche e produttive e la densità di popolazione sulle coste, senza tenere conto dei flussi stagionali, è in misura più che doppia rispetto alla media nazionale, come precisa Ispra. Il fenomeno di una erosione eccessiva era già ben presente alla fine degli anni Novanta. «Dal 1950 al 1999 – si legge nel rapporto di Ispra – il 46% delle coste basse ha subito modifiche superiori a 25 metri» e pur calcolando le aree sottratte al mare con opere di ripascimento o colmamento «i tratti in erosione (1.170 km) sono superiori a quelli in avanzamento». Nonostante un impegno di spesa per interventi spesso deludenti che superano i 100 milioni di euro l’anno, come riferisce il Rapporto Spiagge di Legambiente 2021.
L’attenzione sul tema è alta da tempo nella comunità scientifica che ora però ha deciso di scendere in campo per sensibilizzare chi vive sulle coste. Lo ha fatto la scorsa settimana lanciando il «Geological Day Coste», coinvolgendo cioè i cittadini in un monitoraggio attivo dello stato di salute del fragile territorio:4 giorni di escursioni a documentare e monitorare lo stato degli ambienti naturali, secondo i modelli della Citizen Science. «È solo l’inizio», spiega il presidente della Società italiana di geologia ambientale Antonello Fiore. «Con l’aiuto di tanti volontari, abbiamo scattato una istantanea delle nostre coste e i dati – gli fa eco Francesco Stragapede, referente Sigea e coordinatore del progetto – saranno raccolti in un database e poi implementati. La situazione è drammatica ma molto si può fare per evitare il peggio. Il primo passo è intervenire con una pianificazione attenta sì alle necessità socio economiche delle comunità locali, ma che si armonizzi alla naturale evoluzione geomorfologica del territorio».
L’erosione è un fenomeno naturale. I problemi nascono, è noto, quando l’uomo altera gli equilibri della natura. «Da sempre ogni singolo tratto di costa viene trattato per interventi emergenziali, immediati e temporalmente limitati al periodo di fruizione – prosegue il geologo – e senza tenere conto degli effetti che possono produrre sulla spiaggia/costa adiacente». Un esempio arriva dalla spiaggia del parco di Migliarino in Toscana o dalla spiaggia di Fregene nel Lazio, dove «l’erosione costiera è stata innescata dalla messa in opera dei pennelli a Focene – spiega Ilaria Falconi, consigliere nazionale Sigea e tecnologo di ricerca del Crea (www.crea.gov.it). Un emblematico effetto domino innescato dalle stesse opere di difesa. Sarebbe quindi opportuno evitare di progettare o realizzare nuove opere di difesa rigide sui litorali (pennelli, frangiflutti, ecc), in quanto sono dei (dannosi) pagliativi, come indicato nelle linee guida redatte dal Mattm-Regioni-Ispra, che però forniscono solamente delle indicazioni che dovrebbero essere tradotte in norme cogenti al fine di evitare il posizionamento sui litorali di opere antieconomiche, anti-ambientali e dannose.
Sarebbe anche utile redigere il codice delle buone pratiche per la pulizia degli arenili al fine di evitare le perdite di sedimento. L’uso di mezzi meccanici che giungono in profondità provoca la rottura degli aggregati di sabbia e delle singole particelle di sedimento, innescando l’erosione costiera. E tali mezzi determinano una usura dell’arenile tale da modificarne la granulometria e l’alterazione del naturale profilo morfologico della spiaggia, rendendola più vulnerabile alle mareggiate. Le spiagge – continua Falconi – non vanno viste come monadi poiché sono inserite in “unità fisiografiche”. L’intervento per mitigare due metri di erosione si ripercuoterà su tutte le spiagge che appartengono alla stessa unità come fosse un unico organismo vivente, un’entità in continuo movimento». Infine, è utile adottare «un codice di comportamento idoneo – conclude la ricercatrice – e cioè osservare gli animali nel loro habitat naturale». Evitare di catturare nei secchielli granchi e molluschi. Non rimuovere dal proprio ambiente le stelle marine. Ma anche tollerare la poseidonia e il materiale naturale spiaggiato, tutti elementi di contrasto all’erosione in quanto trattengono il sedimento. E poi, non seminare rifiuti (sigarette, plastica, avanzi di cibo, ecc) né prelevare i granelli di sabbia dalla spiaggia. Banalmente, basta anche solo posizionare sotto l’asciugamano una stuoietta.
2 giugno 2022 (modifica il 3 giugno 2022 | 00:01)
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, 2022-06-03 03:18:00, L’Italia ha 8.300 km di litorale, ma negli ultimi 30 anni ha perso molto terreno. Il 50 per cento delle coste sabbiose è in fase di erosione: già spariti 1.700 chilometri. Troppi insediamenti urbani vicino alla costa, Paola D’Amico