Ci sono argomenti difficili da trattare. Sono argomenti ostici, irsuti, ardui da affrontare. Sono temi che in pochi coraggiosi prendono in esame, perché rischiano di risucchiare il temerario malcapitato in una spirale social fatta – se va bene – di insulti e sberleffi, di irrisione e di accuse di conservatorismo becero fuori dal tempo.
È questo il caso del dibattito che ogni anno, invariabilmente, anima studenti, docenti, dirigenti e opinione pubblica più in generale: come si va vestiti a scuola? Come ci pare o esiste un cosiddetto dress code da rispettare?
Ne abbiamo parlato anche noi in questi giorni e, certo, la questione è spinosa, ma un ragionamento va fatto.
Mettendoci nei panni degli studenti – ricordiamoli, ogni tanto, gli anni in cui eravamo noi gli studenti in conflitto con il mondo degli adulti – la scuola è il luogo in cui ogni giorno ci si incontra con i propri coetanei, uno spazio familiare in cui si trascorre la metà della giornata e che, dunque, non prevede particolari codici di abbigliamento.
D’accordo, ribattono gli adulti, ma la scuola è anche il luogo in cui si impara a rispettare le regole e a coabitare civilmente con gli altri.
Del resto, gli stessi giovani non hanno nulla da obiettare quando il personale all’esterno di una discoteca caccia via i ragazzi che non rispettano le regole di abbigliamento previste da quel luogo.
Non hanno nulla da eccepire se una sera, al teatro, i ragazzi indosseranno almeno pantaloni e camicia e le ragazze un abito, anche lungo se è il caso.
E non si stupiranno se, andando a fare una visita guidata in fabbrica, troveranno dappertutto operai in tuta da lavoro. E potremmo continuare.
Insomma, il luogo fa l’abito e nessuno ne fa un problema, tranne che per la scuola. In quel caso si rivendica il diritto di vestirsi come si ritiene più opportuno, anche in abiti che sarebbe più opportuno riservare alle località turistiche estive. Dove – sia detto tra parentesi – non pochi sindaci emanano ordinanze per garantire il decoro delle vie cittadine.
Bene, la scuola ha bisogno di un suo dress code e anche molti studenti se ne rendono conto. Il problema è che, spesso, i docenti e i dirigenti con le loro circolari perentorie e intimidatorie, scelgono una modalità comunicativa errata, buona soltanto ad acuire i contrasti e allargare la frattura con i ragazzi.
Un tema del genere andrebbe trattato coinvolgendo gli studenti e le famiglie, ascoltando il loro parere, discutendone insieme. Tempi lunghi e modalità partecipative: come ben sanno gli esperti di politiche sociali e aziendali, l’unica strada da percorrere in casi come questo è la cosiddetta progettazione partecipata, una modalità di collaborazione attiva e senza pregiudizi tra le varie componenti di una comunità (nel nostro caso, essenzialmente studenti e docenti) al fine di perseguire un obiettivo sociale e un vantaggio per tutti.
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