Come tutti i dati di questo tipo anche quelli sulle competenze e sulla conoscenze in materia di educazione civica diffusi in queste ore vanno presi con dovute cautele, anzi con le “pinze”.
Quindi queste nostre considerazioni vanno prese con tutti i benefici del caso.
Intanto vediamo cosa dicono le rilevazioni internazionali riferite all’anno 2022.
Come abbiamo già scritto, secondo il rapporto “è possibile notare che dal 2016 al 2022 non c’è stato un aumento della conoscenza civica, forse come esito della pandemia. In Italia non c’è nessun cambiamento significativo: il punteggio fatto registrare nel 2016 era 524, quello del 2022 (523) non si discosta di molto. I dati non si discostano molto nemmeno da quelli del 2009”.
Il caso della educazione civica
E’ pur vero che neppure in altri Paesi si sono registrati miglioramenti, ma il caso italiano merita una riflessione.
Nel nostro Paese, infatti, nel 2019 venne approvata la legge 92 sull’insegnamento dell’educazione civica proprio con l’intento di dare una sterzata decisiva all’intero sistema scolastico.
Il primo anno le “33 ore” annuale furono lasciate alla decisione autonoma delle scuole, ma a partire dal 2020/21 si andò a regime in tutte le scuole, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado.
E basta fare una banale ricerca in rete per trovare decine di dichiarazioni rese all’epoca da ministri e politici, per scoprire che tutti quanti erano convinti che nelle scuole con questa legge sarebbe cambiato tutto. Quando la legge venne approvata il Ministro in carica in quel momento Marco Bussetti parlò addirittura di “giornata storica”.
La questione è molto interessante perché mette in evidenza un dato che molto spesso il decisore politico trascura (certamente in modo involontario): quando si ha a che fare con temi di natura educativa bisogna essere molto cauti, perché non è detto che una modifica delle leggi serva a cambiare paradigmi consolidati.
Non basta una legge sulla educazione civica per fare in modo che i docenti e le scuole si attrezzino immediatamente per far acquisire ai ragazzi nuove conoscenze e competenze.
In questo caso il problema è ancora più complesso perché se 33 ore annuali non bastano a far sì che gli studenti sappiano come si elegge il sindaco o come si approva una legge, è facile dedurre che, a maggior ragione, quegli stessi studenti non riusciranno ad acquisire i “comportamenti” che ci si attende da un buon cittadino.
Se gli studenti non sanno come funziona il nostro regime fiscale, come potranno, da adulti, capire che pagare le tasse è un dovere imprescindibile di ogni cittadino.
Le “educazioni”
A questo punto il pensiero corre a tante altre “educazioni” che nel corso degli anni sono state introdotte nei percorsi scolastici.
In ultimo l‘educazione alle relazioni che, molto ingenuamente, si pensa possa contribuire a risolvere problemi enormi come quelli della violenza sulla donne.
E che dire del bullismo? Sembra quasi che nessuno ricordi che ancora negli anni ’70 il “nonnismo” a cui erano sopposte le “reclute” che iniziavano il loro servizio militare era del tutto tollerato e forse, in qualche caso, persino apprezzato.
Vogliamo cioè dire che sradicare certi comportamenti che sono entrati a far parte del nostro patrimonio culturale e sociale è operazione difficilissima, forse persino impossibile.
Ciò non significa che la scuola debba arrendersi, tutt’altro, ma bisogna avere la consapevolezza che per affrontare questioni educative che vanno al di là del secondo teorema di Euclide o della storia delle guerre di indipendenza non bastano le “belle lezioni” e forse neppure le “discussioni di gruppo”.
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