Effetti didattici e sociali della digitalizzazione

Tra gli assi del programma del governo Meloni c’è un ulteriore rafforzamento della digitalizzazione dell’insegnamento. La destra prosegue il piano di innovazione digitale del governo Draghi con un finanziamento di due miliardi per la creazione di centomila aule e centinaia di laboratori nelle scuole di ogni ordine e grado. Ma l’introduzione del digitale non offre strumenti utilizzabili liberamente dall’insegnante, bensì punta ad una sua mutazione “antropologica”, già prevista nel Piano scuola dell’ex ministro Bianchi del 2020, che prevedeva il subappalto al Terzo settore di una fetta consistente dell’istruzione e la trasformazione dei docenti in facilitatori al servizio delle piattaforme digitali. Si perseguiva la destrutturazione del percorso pedagogico con una serie di “innovazioni”: Blended Learning, didattica in presenza e a distanza; Flipped Classroom (classe “rovesciata”), sostituendo le lezioni in presenza con contenuti multimediali e autonoma preparazione a casa dello studente); articolazione modulare della didattica, sovvertendo la sequenzialità del sapere in favore di un approccio per blocchi o moduli.

Il modulo è il fulcro della formazione aziendale, in cui l’apprendista deve acquisire velocemente segmenti di sapere, perdendo di vista la visione di insieme. La scuola così smette di essere luogo centrale della formazione e diventa funzionale alla costruzione di “capitale umano”: le persone vengono educate come futuri lavoratori o imprenditori di sé stessi. Tali metodologie spostano l’apprendimento dallo sviluppo degli strumenti cognitivi alle “competenze”: a scuola si va per imparare a fare, non per acquisire sapere. Già con i quiz Invalsi si è attuata la standardizzazione della didattica, trasformando il docente in “addestratore” con il teaching to text, subordinando l’istruzione alla produzione di un sapere utile. La “competenza” sfratta la gioia della lettura e della conoscenza, la creatività e la criticità vengono sacrificate ad un arido funzionalismo.

Le tecnologie digitali operano una simbiosi tra modi di apprendimento e di produzione. La DAD ha potenziato le attività asincrone, in cui i ragazzi usano da soli materiale selezionato dai docenti, frantumando il gruppo classe: per cui, anziché sviluppare un lavoro comune con la classe, ogni studente ha propri percorsi e obiettivi, in nome della logica meritocratica. Non più un piano di lavoro uguale per tutti, ma tanti pacchetti o step per i quali uno studente potrà essere, ad esempio, al modulo 3 di italiano e a quello 2 di matematica, ognuno con i suoi tempi e il suo percorso. E’una idea inversa rispetto alla scuola della Costituzione, dove tutti seguono lo stesso percorso in una idea paritaria di classe. La didattica digitale favorisce l’atomismo dei percorsi individuali, potenzia le “punte alte” prematuramente e offre il minimo sindacale agli altri. Opponendoci alla dittatura del digitale, contrastiamo, quindi, un’idea classista di scuola e di società.

La dequalificazione della scuola pubblica spalanca un enorme mercato per i privati. Il rovesciamento operato da decenni di modello liberista è evidente nella relazione tra scuola e lavoro. Negli anni ’70 operai e studenti conquistavano per il diritto allo studio dei lavoratori le 150 ore, retribuite e contrattualizzate per corsi di formazione e un titolo di studio: i lavoratori si appropriavano della scuola. Dal 2015 il rapporto si è rovesciato: con l’introduzione dell’Alternanza scuola-lavoro (ora PCTO) sono gli studenti ad entrare e morire in azienda, di cui assimilano regole, gerarchie e disciplinamento, fornendo manodopera gratuita. Un rovesciamento di valori che nella morte da stage di Lorenzo, Giuseppe, Giuliano rivela cinismo e rapporti di potere evidenziati dalle cariche della polizia alle manifestazioni studentesche di gennaio e febbraio 2022. Gli studenti devono adattarsi al just in time, alla fluttuazione del mercato del lavoro e a compiti decontestualizzati e sempre diversi.

La relazione tra scuola e lavoro sta per peggiorare ulteriormente con i nuovi licei TED (Transizione Ecologica Digitale), corsi sperimentali in 28 scuole, che nel corso dell’anno dovrebbero diventare più di mille. I TED, gestiti dal Consorzio ELIS (Leonardo, Snam, Eni, Acea, Tim, Vodafone, Microsoft, Toyota e Atlantia), propongono una formazione quadriennale, ridimensionando la tradizione umanistico-scientifica, con l’intenzione di dare ai giovani gli strumenti “per vivere da protagonisti la transizione digitale ed ecologica”. La “sostenibilità” e la transizione ecologica e le discipline STEM (science, technology, engineering, mathematics) sono il core business del PNRR. Con un salto di qualità in negativo, l’azienda non entra solo più nella scuola, ma la progetta e realizza in base a tre principi: a) il benessere della società deriva da quello dell’impresa, quindi la scuola deve porsi al suo servizio; b) la crisi climatica è problema tecnico, no a considerazioni che mettano in discussione il capitalismo; c) l’innovazione digitale è la soluzione, per cui serve una generazione specializzata ma formata all’intoccabilità degli interessi delle imprese.

La meritocrazia (vedi Leggi 79/2022 e 142/2022) è la misera filosofia che permea il modello di scuola del governo di destra, in continuità con Draghi. La scuola, invece, deve offrire un modello universalistico non conforme e inclusivo, garantendo pluralismo culturale e non modelli standardizzati. La libertà di insegnamento è un valore indissolubile e costituzionalmente garantito. Vi è bisogno di cooperazione, collegialità e non di competizione sfrenata.

Massimo Montella Esecutivo provinciale COBAS Scuola Napoli

I CONTENUTI DELL’ARTICOLO SOPRA RIPORTATO SONO DI CARATTERE PUBBLICITARIO

, , https://www.tecnicadellascuola.it/feed,

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Exit mobile version