Elon Musk su Twitter in lotta con star e inserzionisti per le spunte blu a pagamento

di Massimo Gaggi

Il nuovo padrone del popolare social tenta di incrementarne gli introiti: ma gli utenti si infuriano (e le concessionarie di pubblicità, che finora ne rappresentano il 90%, si allontanano)

Esodo di manager operativi (oltre ai capi licenziati in tronco il giorno stesso del cambio di proprietà); esodo (temporaneo) di inserzionisti pubblicitari (come General Motors); esodo di utenti che non vogliono restare nella rete sociale dell’uomo più ricco del mondo o contestano la sua decisione di far pagare (8 dollari al mese negli Usa, ma la quota sarà diversa da Paese a Paese) il «blue tick», la spunta blu che certifica l’identità dei titolari degli account.

Partenza a razzo ma in salita quella di Elon Musk nel suo nuovo ruolo di padrone e amministratore unico di Twitter, ormai non più quotata in Borsa. I nuovi uomini che ha portato con sé e i pochi vecchi dei quali si fida stanno cercando di tamponare l’assalto dei troll che approfittano della fase di transizione e della revisione del sistema di moderazione per gettare nella piattaforma falsità, calunnie, odio. Problema assai serio in questi giorni di vigilia elettorale americana.

Proprio in attesa di capire come cambieranno i filtri che eliminano dalla piattaforma i messaggi inaccettabili ora che ai comandi c’è il sedicente «assolutista del free speech», la Ipg, una delle maggiori agenzie pubblicitarie del mondo, ha suggerito ai suoi clienti di sospendere le inserzioni su Twitter. Musk, che oggi ottiene dalla pubblicità il 90 per cento dei ricavi della rete sociale, corteggia le aziende, ma al tempo stesso cerca di incrementare altri introiti, soprattutto con le subscription.

Dopo la prima ondata di personaggi dello spettacolo come Shonda Rhimes, creatrice di serie televisive come Grey’s Anatomy o la cantante Sara Bareilles (3 milioni di follower) che se ne sono andati sbattendo la porta per motivi ideologici, ora Musk è alle prese con altri focolai insurrezionali. Oltre che con le proteste di personaggi come il giocatore di basket LeBron James o Alexandria Ocasio-Cortez , star della sinistra radicale americana, deve vedersela con la rivolta degli utenti più o meno celebri che non vogliono pagare un abbonamento mensile per la certificazione della loro identità, ritenendo di essere in credito, non in debito, con Twitter. Casi come quelli dello scrittore Stephen King (6,9 milioni di follower) o del sondaggista Nate Silver (3,5 milioni): convinti che dovrebbe essere Twitter a pagarli per il traffico da loro prodotto che alimenta le entrate pubblicitarie della rete sociale, affermano che, se la società non ci ripensa, loro se ne andranno.

Musk tiene duro, spiega che ha bisogno di entrate diverse dalla pubblicità, ma poi li tratta da ricchi viziati e lancia, come abbiamo raccontato ieri, slogan populisti. Evidentemente scommette sul fatto che chi ha spostato gran parte della sua vita pubblica sulla sua rete difficilmente staccherà la spina. Per andare dove, poi? Tornare da Facebook, avvitata nella spirale di una crisi assai grave? Cercare nuovi lidi rischiando di perdere il grosso dei seguaci nella transizione?

Ma l’imprenditore sta già pensando anche ad altro. Promette che una parte dei nuovi introiti serviranno a ricompensare i produttori di contenuti immessi nella sua rete e il Washington Post pubblica il testo di un progetto chiamato «Paywalled Video» che dovrebbe diventare realtà entro poche settimane: la possibilità per chiunque di postare video a pagamento. Chi li vuole vedere dovrà pagare 1, 2 o 5 dollari che Twitter inoltrerà agli autori col sistema Stripe, trattenendo una percentuale. Un altro passo nella direzione di una trasformazione di Twitter (anche) in piattaforma editoriale.

2 novembre 2022 (modifica il 2 novembre 2022 | 23:20)

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, 2022-11-02 22:21:00, Il nuovo padrone del popolare social tenta di incrementarne gli introiti: ma gli utenti si infuriano (e le concessionarie di pubblicità, che finora ne rappresentano il 90%, si allontanano), Massimo Gaggi

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