di Alessandro Beretta
Lo scrittore Premio Strega torna da Neri Pozza con «L’onda del porto», libro che uscì per la prima volta nel 2005: un viaggio in India tra autobiografia, osservazione e scrittura
Una caldaia non funziona nell’inverno romano, un altro oggetto rotto che entra nel «registro dei guasti» con cui Emanuele Trevi ordina il mondo delle cose che lo abbandonano, costantemente e inesorabilmente, raggiungendo le classi dei «Danni Maggiori» o della «Rottura Conclamata» o, come in questo caso, dell’«Espiazione»: «Il culmine, il segreto iniziatico, il livello di significato più profondo e cabalistico dell’oscuro alfabeto dei guasti».
Mentre il freddo invade la casa, nell’apertura di L’onda del porto (postfazione di Pietro Citati, Neri Pozza, pp. 176, euro 17), riedito dopo l’uscita con Laterza nel 2005, in tv continuano a passare le immagini di devastazione dello tsunami nell’Oceano Indiano del 26 dicembre 2004. Quando a fine gennaio riesce a consultare «il Re delle Caldaie», tecnico sempre impegnato, ormai l’autore sta partendo per l’India, anche per vedere che cosa rimane dopo il disastro: «la Stella dello Sconforto», la spia che segnala il guasto «testimoniando la resa della caldaia a pensieri di inerzia, dimenticanza di sé», lo attenderà.
È un altro mondo quello che Trevi trova a Mullur, in Kerala, dove lo tsunami ha fatto pochi danni, un villaggio che affaccia sul mare e si sviluppa in un bosco di palme. Quella che dovrebbe essere la prima tappa di un viaggio si trasforma in una residenza di settimane, per pigrizia e curiosità, dove il guasto da riparare è più personale, ma «la prospettiva di “ritrovare sé stesso” in un posto come l’India non era nemmeno da prendere in considerazione. Semmai, era interessante l’idea, altrettanto chimerica, di smarrirsi completamente, una volta per tutte». È l’invito a una poetica rabdomante tra autobiografia, osservazione e scrittura, un gesto opposto alla dominante fiction dell’immaginazione che Trevi smonta ironicamente, e che l’autore segue con voce unica in questo diario inusuale: Un sogno fatto in Asia, come recita il sottotitolo.
Alle riflessioni sulla scrittura e sul poema epico Ramayana, si affianca la quotidianità di Mullur dove l’incontro con Vijesh e Vinosh, fratelli di 12 e 11 anni, «che non mi mollano un secondo», diventa fondamentale. La piccola coppia è la spalla dell’autore, tra la ricerca di un sandalo portato via dallo «psicotico bracchetto rubasandali» del villaggio, uno spettacolo di teatro, una cena in cui scopre la miseria dei due, salvi grazie alla scuola fondata dall’italiana Neema, ma anche la loro capacità di riderci sopra. È un bel rapporto che fa pensare a quanto siamo costruiti, in una cultura che crea pregiudizio, noi occidentali. Trevi non segue un metodo, ma è come chi «va in cerca di suggerimenti fortuiti, di chiavi trovate per caso che si infilano nella toppa giusta, della melodia delle coincidenze». Queste chiavi possono essere culturali, come le onde di Hokusai o gli scritti di Nicolas Bouvier, ma l’intuizione con cui le associa cambia il passo. Se nel discorso che rivolge agli alunni della scuola, Trevi dice: «Sono diventato grande senza sapere nulla», mantenerlo nella sua possibilità e apertura è un’arte rara. È solo una tra le affascinanti e possibili conclusioni di un libro che tocca tanti temi, come il rapporto tra l’ignoto e il nostro tentativo di dargli forma con il poco linguaggio che abbiamo, impotente di fronte a fenomeni fuori scala, reali e immaginari, dallo tsunami al sogno di un’onda in cui si specchia il mondo animale che ossessiona l’autore
26 maggio 2022 (modifica il 26 maggio 2022 | 10:24)
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, 2022-05-26 19:54:00, Lo scrittore Premio Strega torna da Neri Pozza con «L’onda del porto», libro che uscì per la prima volta nel 2005: un viaggio in India tra autobiografia, osservazione e scrittura, Alessandro Beretta