equivoci pacifisti sull’america

di Federico Rampini

Nel fronte dei «pacifisti equidistanti», che non vogliono stare né con la Russia né con la Nato, è scattata la solita sindrome: bisogna trovare le colpe dell’Occidente in questo conflitto. Proviamo a capire quale fondamento abbiano, e perché siano un equivoco

L’America trae vantaggio dalla guerra in Ucraina? Nel fronte italiano dei «pacifisti equidistanti», quelli che non vogliono stare né con la Russia né con la Nato, è scattata la sindrome abituale: bisogna trovare le colpe dell’Occidente in questo conflitto, quindi anzitutto denunciare i benefici che gli Stati Uniti ne ricavano. Sul versante economico: speculerebbero sulle vendite del loro gas all’Europa. Su quello militare: Joe Biden starebbe aizzando l’Ucraina in una «guerra per procura» contro la nemica Russia. Sono argomenti che meritano un esame attento.

L’America è diventata il primo produttore di gas naturale, la cui domanda era già esplosa prima della guerra. Lo stava esportando in Cina, Giappone, Corea. Ora la destinazione geografica di quelle vendite si riorienta in parte verso l’Europa (ma con dei limiti legati all’insufficienza di rigassificatori) e non c’è dubbio che ai prezzi attuali i margini di profitto sono notevoli. Chi ci guadagna davvero? Solo le aziende produttrici di gas, i loro azionisti e top manager. La vasta maggioranza degli americani — e degli elettori — subisce danni: l’inflazione è già all’8%, l’energia è un mercato mondiale e quando i prezzi salgono all’estero rincarano anche sul mercato interno. Il modesto recupero di popolarità di Biden — forse attribuibile alla guerra in Ucraina — sarà cancellato se continua la perdita di potere d’acquisto delle famiglie. Il disagio verrà accentuato dalla stretta monetaria: per combattere l’inflazione la Federal Reserve inasprisce i rialzi del costo del denaro. L’ex segretario al Tesoro Larry Summers, che fu il primo a denunciare il pericolo dell’inflazione un anno fa, oggi teme una recessione dietro l’angolo. Alle elezioni di metà mandato (a novembre) il presidente in carica e il suo partito dovranno rispondere più dei problemi economici interni che della politica estera.

Sul fronte strategico l’idea che gli Stati Uniti ostacolano una soluzione diplomatica e aizzano i combattimenti è contraddetta da alcuni fatti. All’inizio dell’aggressione russa gli americani volevano portare Zelensky in salvo. Se il presidente ucraino avesse accettato una fuga verso la Polonia, il suo governo in esilio avrebbe negoziato da posizioni di debolezza, con concessioni umilianti alla Russia. Gli americani sono stati sorpresi dalla resistenza ucraina. Biden ha sempre escluso un intervento militare diretto, con il timore di una Terza guerra mondiale. Ha dato all’Ucraina meno armi di quante ne chiedesse Zelensky. Da un mese assistiamo alle pressioni quotidiane di Zelensky contro un Occidente che lo aiuta poco e continua a finanziare Putin con gli acquisti di gas. L’escalation verbale di Biden contro Putin — «macellaio», «criminale di guerra» — è stata criticata nel suo stesso entourage, e tuttavia sembra un tentativo di contenere le spinte centrifughe già evidenti dentro la coalizione occidentale. Da un lato c’è la Polonia alla guida di alcuni Paesi dell’Est che vorrebbero fare molto di più contro la Russia; dall’altra l’Italia e altri Paesi frenati da un fronte interno neutralista o filo-Putin.

Chi immagina un vantaggio strategico di lungo periodo per l’America pensa a questo: il risultato finale di questo conflitto sarà una Russia più debole, un’Europa più compatta e più atlantista di prima. In questo scenario sì, è vero, gli Stati Uniti finirebbero dalla parte dei vincitori sotto il profilo geopolitico. La loro posizione è simmetrica e speculare a quella della Cina: le due superpotenze sono distanti dal teatro della guerra, subiscono entrambe dei danni economici immediati, ma se l’esito sarà quello desiderato (o da Washington, oppure da Pechino), o l’una o l’altra ne uscirà rafforzata. Dal punto di vista americano però molte cose possono andare storte. Putin se incattivito da un insuccesso militare potrebbe alzare la posta cercando l’escalation e provocando la Nato, magari con nuove minacce nucleari. Oppure si può andare verso un congelamento del conflitto, che significa ripetere il copione del 2008-2014: dopo la guerra in Georgia e l’annessione della Crimea, Putin si prese lunghe pause per preparare l’attacco successivo. Infine è evidente che le sanzioni economiche hanno un’efficacia limitata, anche perché l’Europa non può emanciparsi a breve termine dal gas russo, né Biden la spinge oltre misura. Il bilancio provvisorio per l’America non è affatto trionfale.

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8 aprile 2022 (modifica il 8 aprile 2022 | 08:32)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-04-08 06:32:00,

di Federico Rampini

Nel fronte dei «pacifisti equidistanti», che non vogliono stare né con la Russia né con la Nato, è scattata la solita sindrome: bisogna trovare le colpe dell’Occidente in questo conflitto. Proviamo a capire quale fondamento abbiano, e perché siano un equivoco

L’America trae vantaggio dalla guerra in Ucraina? Nel fronte italiano dei «pacifisti equidistanti», quelli che non vogliono stare né con la Russia né con la Nato, è scattata la sindrome abituale: bisogna trovare le colpe dell’Occidente in questo conflitto, quindi anzitutto denunciare i benefici che gli Stati Uniti ne ricavano. Sul versante economico: speculerebbero sulle vendite del loro gas all’Europa. Su quello militare: Joe Biden starebbe aizzando l’Ucraina in una «guerra per procura» contro la nemica Russia. Sono argomenti che meritano un esame attento.

L’America è diventata il primo produttore di gas naturale, la cui domanda era già esplosa prima della guerra. Lo stava esportando in Cina, Giappone, Corea. Ora la destinazione geografica di quelle vendite si riorienta in parte verso l’Europa (ma con dei limiti legati all’insufficienza di rigassificatori) e non c’è dubbio che ai prezzi attuali i margini di profitto sono notevoli. Chi ci guadagna davvero? Solo le aziende produttrici di gas, i loro azionisti e top manager. La vasta maggioranza degli americani — e degli elettori — subisce danni: l’inflazione è già all’8%, l’energia è un mercato mondiale e quando i prezzi salgono all’estero rincarano anche sul mercato interno. Il modesto recupero di popolarità di Biden — forse attribuibile alla guerra in Ucraina — sarà cancellato se continua la perdita di potere d’acquisto delle famiglie. Il disagio verrà accentuato dalla stretta monetaria: per combattere l’inflazione la Federal Reserve inasprisce i rialzi del costo del denaro. L’ex segretario al Tesoro Larry Summers, che fu il primo a denunciare il pericolo dell’inflazione un anno fa, oggi teme una recessione dietro l’angolo. Alle elezioni di metà mandato (a novembre) il presidente in carica e il suo partito dovranno rispondere più dei problemi economici interni che della politica estera.

Sul fronte strategico l’idea che gli Stati Uniti ostacolano una soluzione diplomatica e aizzano i combattimenti è contraddetta da alcuni fatti. All’inizio dell’aggressione russa gli americani volevano portare Zelensky in salvo. Se il presidente ucraino avesse accettato una fuga verso la Polonia, il suo governo in esilio avrebbe negoziato da posizioni di debolezza, con concessioni umilianti alla Russia. Gli americani sono stati sorpresi dalla resistenza ucraina. Biden ha sempre escluso un intervento militare diretto, con il timore di una Terza guerra mondiale. Ha dato all’Ucraina meno armi di quante ne chiedesse Zelensky. Da un mese assistiamo alle pressioni quotidiane di Zelensky contro un Occidente che lo aiuta poco e continua a finanziare Putin con gli acquisti di gas. L’escalation verbale di Biden contro Putin — «macellaio», «criminale di guerra» — è stata criticata nel suo stesso entourage, e tuttavia sembra un tentativo di contenere le spinte centrifughe già evidenti dentro la coalizione occidentale. Da un lato c’è la Polonia alla guida di alcuni Paesi dell’Est che vorrebbero fare molto di più contro la Russia; dall’altra l’Italia e altri Paesi frenati da un fronte interno neutralista o filo-Putin.

Chi immagina un vantaggio strategico di lungo periodo per l’America pensa a questo: il risultato finale di questo conflitto sarà una Russia più debole, un’Europa più compatta e più atlantista di prima. In questo scenario sì, è vero, gli Stati Uniti finirebbero dalla parte dei vincitori sotto il profilo geopolitico. La loro posizione è simmetrica e speculare a quella della Cina: le due superpotenze sono distanti dal teatro della guerra, subiscono entrambe dei danni economici immediati, ma se l’esito sarà quello desiderato (o da Washington, oppure da Pechino), o l’una o l’altra ne uscirà rafforzata. Dal punto di vista americano però molte cose possono andare storte. Putin se incattivito da un insuccesso militare potrebbe alzare la posta cercando l’escalation e provocando la Nato, magari con nuove minacce nucleari. Oppure si può andare verso un congelamento del conflitto, che significa ripetere il copione del 2008-2014: dopo la guerra in Georgia e l’annessione della Crimea, Putin si prese lunghe pause per preparare l’attacco successivo. Infine è evidente che le sanzioni economiche hanno un’efficacia limitata, anche perché l’Europa non può emanciparsi a breve termine dal gas russo, né Biden la spinge oltre misura. Il bilancio provvisorio per l’America non è affatto trionfale.

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8 aprile 2022 (modifica il 8 aprile 2022 | 08:32)

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Pietro Guerra

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