Il giovane figlio d’arte Fabrizio Mellino ha ricevuto la terza stella Michelin nella giornata di ieri, martedì 14 novembre. Eh sì, è figlio d’arte perché ha scelto di proseguire la stessa strada dei genitori prendendo il timone del ristorante I Quattro Passi aperto a Nerano dal papà Antonio – Tonino – quasi quarant’anni fa.
E il giovane chef a Repubblica racconta che da piccolo non capiva questo lavoro dei genitori e che ha spiegare cosa fosse una stella Michelin fu proprio la sua maestra delle scuole elementari: “Ero ancora alle elementari e una mattina la maestra apre il giornale e mi fa i complimenti. Mi dice ‘Fabrizio i tuoi genitori hanno preso la stella Michelin’. Io e i miei compagni di scuola non avevamo ancora la sensibilità per capire il valore di quel premio. Gli amici le chiesero che cosa fosse una stella Michelin e la maestra ce l’ha spiegato. Allora ho cominciato a capire perché i miei genitori fossero così presi dal loro lavoro tanto che mio fratello Raffaele, che adesso sta in sala, e io abitavamo con i nonni. Ho iniziato a comprendere che stavano costruendo qualcosa di grande”.
Fabrizio racconta pure come ha cominciato a lavorare insieme ai genitori: “Ho iniziato a 14 anni, ma a dire il vero era semplicemente per il desiderio che hanno tutti i ragazzi: comprarmi uno scooter. Mio padre mi ha detto che avrei potuto guadagnarmelo lavorando al ristorante. Lo facevo nei mesi estivi, perché andavo ancora a scuola, e stavo in sala, apparecchiavo e sparecchiavo, aiutavo a riassettare. Così è nata a poco a poco la mia passione”.
L’amore per la cucina è scattato dopo: “Quando siamo stati a visitare l’Institut Paul Bocuse a Lione, dove poi ho studiato per tre anni, è davvero scattata la scintilla. Vedevo che c’era prestigio in quella professione, che c’era orgoglio. E poi durante il triennio in un certo senso vestivo la maglia dell’Italia, c’era la voglia, per tutti noi studenti da diversi paesi del mondo, di farsi spazio in Francia, in una classe molto competitiva e far vedere che anche gli italiani potevano farcela. È stata anche una scuola di confronto con altre culture: con studenti brasiliani, tedeschi, spagnoli. Si parlava solo di gastronomia, con differenze culturali, un grande mix di informazioni, e il grande esempio dei professionisti Mof (vincitori del Meilleur Ouvrier de France). Mentre ancora in Italia il nostro non era considerato un mestiere prestigioso, lì invece ne ho imparato l’orgoglio, l’eleganza, la classe, a partire dal rispetto per la casacca che era una divisa”.
“Questa terza stella è una responsabilità e una gioia che regalo e condivido con i miei cari e la mia regione – conclude lo chef. Non penso che la Michelin sia stata poco generosa e lo dimostrano le tante stelle. È chiaro che fare ristorazione in Campania vuol dire confrontarsi con un turismo internazionale e fare una cucina comprensibile, legata al territorio e raffinata è un equilibrio più difficile da trovare”.
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