Fabrizio Moro: «L’unica vera relazione l’ho avuta con la madre dei miei figli. Ultimo? Era meglio se stavo fermo»

di Sandra Cesarale

Il cantautore romano ha appena pubblicato il singolo Senza di te : «Attraverso le canzoni riesco a sentirmi meno solo»

«Adrianaaa!». Rocky Balboa sul ring, battuto (ai punti) da Apollo Creed, grida il nome della moglie. «Mi vengono i brividi ogni volta che vedo Rocky. Quel film è un atto di coraggio. Stallone era come il suo eroe, non se lo filava nessuno, ha sfidato il sistema e vinto tre Oscar».

Si sente un pugile?
«Nel mio lavoro sì. Mio nonno materno tirava di boxe. Da ragazzino, mi svegliava nel cuore della notte per assistere agli incontri in tv. Fra tutti gli sport è quello più vicino all’arte. Ho diversi amici che lo praticano, come Giovanni De Carolis che è stato campione mondiale dei pesi supermedi, c’è tanta poesia in loro. Sul ring prendi cazzotti in faccia, sul palco ti tirano un altro tipo di cazzotti».
Fabrizio Moro, 47 anni, tenebroso cantautore che ama i tatuaggi («Sono stato la cavia di mia sorella»), coltiva il fai da te con un’officina in casa e adora i libri di storia. La sua strada parte dalla periferia romana, attraversa i club da 300 persone («200 erano amici») arriva ai palazzetti e sconfina nel cinema, Ghiaccio è il suo primo film da regista. «Ma non sarà un episodio isolato». Intanto chiuderà l’anno con due concerti a dicembre: a Milano, il 18, e Roma, il 21: «Saranno i grandi show del ritorno». È appena uscito il singolo Senza di te. «Attraverso le canzoni riesco a sentirmi meno solo. L’unica vera relazione l’ho avuta con la madre dei miei figli. La mia storia d’amore è con la musica».

Non è stato un percorso semplice.
«Gli artisti che arrivano dalla periferia si contano sulle dita di una mano. Per me è un punto di forza. Bisogna smettere di pensare che siano luoghi disastrati in cui crescere». Invece? «Ho avuto una bellissima infanzia. Vivevo nelle case popolari di San Basilio, in un appartamento che era un loculo, di 25 metri quadrati: un ingressino, dove dormivamo io e mio fratello, una cucina sulla sinistra, una camera da letto e un bagno. In quel palazzetto abitava tutta la mia famiglia che si era trasferita dalla Calabria. Sono cresciuto lì fino a 12 anni, con cugini e parenti. Quando ci trovavamo per Natale, Pasqua, o la domenica eravamo almeno in 15. Le difficoltà economiche c’erano. Ma ho sempre dato poca importanza ai soldi anche quando non ne avevo».

Non si è mai diplomato.
«Ho iniziato a lavorare dopo la terza media, d’estate, ho frequentato fino al quarto superiore. Ho lasciato, non sopportavo la scuola con le regole, gli orari, i compiti. Ho fatto di tutto. Il primo lavoro nell’officina di mio padre, poi in una serigrafia, in un cantiere dove mettevo le guaine sui tetti e cameriere all’Hotel Parco dei Principi. Qualsiasi difficoltà, stato d’animo o fisico lo attraverso con la sana rabbia e la frustrazione che mi sono rimaste dentro».

La musica è arrivata assieme a una vecchia chitarra.
«Avevo 13 anni, la trovai in cantina, era di mio cugino, aveva solo tre corde e pure di plastica. Ero un bambino sereno ma chiuso, un po’ complessato, fragile. Iniziai a mettere in musica le parole del mio diario e per la prima volta mi sentivo compreso».

La conserva ancora?
«No, ma da qualche parte ho la seconda, me la comprò papà: elettrica, un’Aria Pro II rossa e nera. Subito dopo formai la mia prima punk-band: suonavamo Clash, Sex Pistols, Ramones, poi passammo all’heavy metal con i Megadeth e i Metallica che ho visto per la prima volta in concerto quest’anno a Firenze. Ho pianto, mi hanno dato una potenza che stavo perdendo. Prendo forza dai grandi. Ne ho incontrati di eroi».

Chi?
«Gino Strada che ha sfidato il sistema per i suoi ideali. Il mio vecchio manager Biagio Pagano che non c’è più, aveva un passato poco pulito ma il tempo lo aveva reso saggio e si era messo a disposizione dei giovani. Enrico Morone, il capo del guardaroba al Parco dei Principi. Gli raccontavo che nessuno voleva investire su di me, lui mi esortava a non mollare».

Erano gli anni delle feste in piazza.
«Avevo iniziato molto prima, ai matrimoni, cantavo Baglioni, i Pooh. Era divertente, si mangiava e conoscevo le ragazze. Dopo il mio esordio a Sanremo andai in Puglia, il mio agente non c’era, e mi diedero tutti i soldi in mano, un anno del mio stipendio».

La svolta?
«Con Giancarlo Bigazzi. Ascoltò Pensa e disse: “Questo è il pezzo, lo porto a Baudo. Come si intitola?”. Io, che non lo volevo cantare: “Paolo e Giovanni”, l’avevo scritto per Borsellino e Falcone. Lui: “Che titolo di m… è? Ora si chiama Pensa”».

Gli incontri: Renato Zero a settembre l’ha invitata sul palco del Circo Massimo.
«Mi piace Renato. Ma quando abbiamo fatto le prove era pignolo, fermava l’orchestra ogni tre secondi. Ho sbroccato: “Rega’ io la voce la butto un po’ lì”. Renato mi si è avventato contro: “Non mi far sentire queste cose. Tu devi cantare”. Ho imparato più in quelle due ore di prove che in dieci anni di concerti».

A uno sconosciuto Ultimo ha lasciato aprire il suo tour nei Palasport.
«Era meglio se stavo fermo, è diventato famoso come Michael Jackson (ride). Gli dico: ti invidio, in me hai un fratello maggiore che io non ho mai avuto».

Con Ermal Meta ha vinto Sanremo.
«Siamo più amici che colleghi. È un nerd della musica».

Ligabue.
«Strimpellavo le sue canzoni e sono finito a girare il video della sua Sogni di rock’n’roll. Lo stimo, è uno tosto, ma incute un po’ di timore. Primo giorno di riprese, l’Italia giocava la semifinale dell’Europeo. Liga entra nella stanza:”È la prima volta in vent’anni che mi perdo una partita così importante, vedi di girare un bel video”. Ho pensato: speriamo bene».

Carlo Verdone.
«Gli vojo bene. L’ho conosciuto a un concerto degli Stadio. Ero nel backstage vuoto, aspettavo di salire sul palco, fumavo una sigaretta. A un certo punto si apre una porta e me lo trovo davanti: doveva entrare in scena pure lui. La sua comicità appartiene al mio quotidiano: al bar, a casa, si parla come Carlo».

Con un assegno Siae ha comprato casa a Guidonia.
«L’ho venduta, per ’sta storia delle case sono finito in analisi. Ne ho cambiate quattro in sei anni. Vorrei restare ma ci sono cose che mi mandano in paranoia. A Formello ho scoperto che sopra il mio tetto volavano gli aerei per Fiumicino. Un’altra volta avevo un vicino strano che rompeva quando suonavo. Ora non ci sono traslochi all’orizzonte, abito a Roma, a pochi isolati dalla madre dei miei figli, Libero e Anita».

Nomi importanti.
«Sono legati all’idea di libertà. Ho lavorato tanto per raggiungerla. Oggi sono un uomo libero, realizzato e molto felice».

29 novembre 2022 (modifica il 29 novembre 2022 | 07:27)

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, 2022-11-29 08:23:00, Il cantautore romano ha appena pubblicato il singolo Senza di te : «Attraverso le canzoni riesco a sentirmi meno solo», Sandra Cesarale

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