Frana di Ischia, il precedente del 1910 nelle pagine storiche del «Corriere»: «Uno spettacolo di desolazione»

di Alessandro Vinci

Già 112 anni fa Casamicciola venne colpita da un’alluvione che generò un fiume di fango e detriti dal monte Epomeo: 13 i morti. Alla base del disastro, anche allora, la fragilità del territorio di origine vulcanica. Il (doppio) reportage di Guelfo Civinini

«Uno spaventoso torrente di fango e di macigni si è abbattuto sull’isola, discendendo con impeto rovinoso che produceva, dovunque passava la rovina». Sembra la descrizione di quanto accaduto a Ischia nella notte tra venerdì e sabato, è invece quanto riferito al Corriere della Sera da uno sfollato di Casamicciola all’indomani dell’altrettanto drammatica alluvione del 24 ottobre 1910: un precedente da più parti rievocato in questi giorni per ribadire come l’isola, a causa delle caratteristiche geologiche del suo territorio, non sia affatto nuova a calamità di questo tipo. Furono 13, all’epoca, le vittime del disastro: un numero sinistramente simile a quello del probabile bilancio finale della frana della scorsa settimana, che finora ha provocato 4 dispersi e 8 vittime accertate.

«Le cause sono le stesse»

Historia magistra vitae, recita il noto adagio latino. Eppure in questo caso il ricordo del dramma non ha portato all’adozione di adeguate contromisure: «Le cause di questo disastro sono le stesse dell’alluvione del 1910, ovvero la fragilità del territorio», ha infatti puntualizzato sull’argomento l’ex sindaco di Casamicciola Giuseppe Conte – professione ingegnere – i cui ripetuti allarmi nei giorni antecedenti all’alluvione sono stati purtroppo ignorati dalle autorità. «Dopo l’alluvione del 1910 furono realizzati dei sistemi di protezione dell’abitato, le cosiddette “briglie” – ha proseguito Conte –, ma da allora non si è più intervenuti con interventi appropriati e con una manutenzione degna di questo nome». Le conseguenze, ora, sono sotto gli occhi di tutti.

A impiegare le stesse parole di Conte anche il presidente dell’Anci Antonio Decaro: «Le cause del disastro di Ischia sono le stesse dell’alluvione del 1910: la fragilità del territorio», ha detto lunedì ai microfoni di Rai Radio 1 . «Stiamo parlando di un paese – ha aggiunto – dove il 90% dei Comuni è esposto a rischio e il 17% del territorio è classificato ad alta pericolosità. Parliamo di 50 mila chilometri quadri e di un milione di cittadini». Inoltre come ha fatto notare Giovannangelo De Angelis, tra i fondatori del Cai a Ischia, che l’area sia da sempre soggetta a determinate dinamiche lo testimonia anche la toponomastica: «Non è un caso – ha infatti raccontato – che l’area appena sopra Casamicciola sia chiamata la zona del “pantano”».

Il monte Epomeo

Stando così le cose, non può stupire come al pari del 1910 la massa di fango e detriti che ha travolto tutto e tutti abbia avuto origine dal monte Epomeo, nei cui confronti l’attenzione dell’uomo è stata largamente insufficiente anche secondo lo stesso De Angelis: «È diventata una zona che non interessa più. Il turismo ha soppiantato l’agricoltura – ha riferito sempre al Corriere –. La manutenzione è un costo, non solo in termini di denaro. Si tratta di zone impervie dove servirebbe un lavoro di forza fisica. Che nessuno ha più voglia di fare». Una negligenza imperdonabile, alla luce di quanto riportato sulla già citata prima pagina del 25 ottobre 1910 (titolo d’apertura: «Ischia, Casamicciola, Amalfi, Torre del Greco e Cetara devastati da un nubifragio»): «Vie, viottoli e tutte le strade sono stati invasi da torrenti di fango vulcanico, che scendevano precipitosi al mare seminando la rovina sul loro cammino. La strada che dal monte Epomeo viene giù diradando sino alla spiaggia, ha facilitato straordinariamente l’opera di devastazione, e col fango sono precipitati per la china grossi macigni. Probabilmente qualche grande frana si era staccata dal monte Epomeo, dando alla furia delle acque nuova forza e nuovo mezzo di distruzione». Anche in questo caso, parole di fatto sovrapponibili a quelle lette nei giorni scorsi.

I reportage di Civinini

Ampio spazio all’alluvione venne poi dato dal quotidiano anche nei giorni successivi, grazie alla presenza sul posto di un inviato del calibro di Guelfo Civinini. Mercoledì 26 e giovedì 27 firmò infatti due reportage che lo videro raggiungere le zone più colpite dal maltempo in compagnia del ministro del ministro dei Lavori pubblici Ettore Sacchi e di quello della Marina Pasquale Leonardi Cattolica. Proprio a proposito di Casamicciola, una volta approdato nel paese scrisse per esempio: «Uno spettacolo triste di desolazione ci stringe il cuore. È un largo lago di fango, dal quale spuntano rottami di ogni specie: tutto intorno poche casette diroccate». Poco più avanti, sempre a quanto riferito da Civinini, «una larga fenditura»: «È il luogo dove prima passava la strada – gli raccontò un contadino – e dove è passato il torrente, facendo profondare la via e i canali di scolo, e distruggendo completamente, oltre alle case che stavano in questa piazza, tre stabilimenti termali. È una rovina irreparabile».

Quanto infine alle cause dell’accaduto, anche un non meglio precisato «signore del luogo» dimostrò di avere piena contezza delle criticità del posto: «Come tutti i terreni dell’isola – disse –, anche il monte Epomeo è friabilissimo; e man mano che l’acqua ne scalzava le creste, asportando il terriccio, i grossi blocchi di tufo, cementati dalla terra, privati del sostegno, cominciarono a precipitare giù dalla montagna, incanalandosi per le insenature naturali nelle quali, per ovviare ai pericoli di una inondazione, erano stati costruiti dei canali di scolo. Ma il volume delle acque è stato questa volta così grande che i canali di scolo, per la troppa pressione, sono scoppiati». Al cospetto di un tale scenario, Civinini non potè quindi che concludere: «Per riparare al danno, e soprattutto per prevenirne la ripetizione, occorreranno lunghi e costosi lavori». Un auspicio del tutto disatteso, perlomeno negli ultimi decenni.

29 novembre 2022 (modifica il 29 novembre 2022 | 17:36)

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