Francesco Rosi, il commosso ricordo di John Turturro. «Mi manchi tantissimo…»

di Simona Marchetti

In occasione della mostra «Le Mani sulla Verità. 100 anni di Francesco Rosi», che s’inaugura al Museo Nazionale del Cinema di Torino il 15 novembre, giorno in cui il regista avrebbe compiuto 100 anni, il famoso attore ha voluto rendergli omaggio

Proprio martedì 15 novembre 2022 – giorno in cui Francesco Rosi avrebbe compiuto 100 anni – viene inaugurata al Museo Nazionale del Cinema di Torino la mostra «Le Mani sulla Verità. 100 anni di Francesco Rosi», curata da Domenico De Gaetano e Carolina Rosi, con Mauro Genovese e Maria Procino. Ospitata al piano di accoglienza della Mole Antonelliana, l’esposizione ripercorre la lunga carriera di Rosi – morto a Roma il 10 gennaio del 2015 – e resterà aperta fino al 17 aprile 2023, con ingresso libero. Nato a Napoli e considerato il maestro del cinema verità, il regista ha collezionato premi e riconoscimenti in tutto il mondo, lasciando un ricordo indelebile in chiunque abbia avuto la fortuna di conoscerlo. Prova ne è il commosso ricordo di Rosi fatto da John Turturro per il catalogo pubblicato a latere dell’omonima mostra e curato sempre dal direttore del Museo Nazionale del Cinema e dalla figlia dell’indimenticata regista, con Genovese e Fabio Pezzetti Tonion.

JOHN TURTURRO

Conoscere Francesco Rosi e lavorare con lui è stato uno degli eventi più rilevanti della mia vita. Francesco ed io ci siamo conosciuti lungo un periodo durato cinque anni, dopo l’invito a partecipare al film tratto da La tregua di Primo Levi, che stava adattando.

E siamo rimasti amici intimi.

Scrisse a Martin Scorsese dopo avermi visto in Barton Fink. Scorsese mi scrisse una lettera mentre a Chicago stavo lavorando alla messa in scena del dramma La resistibile ascesa di Arturo Ui, in cui interpretavo una versione di Hitler ambientata a Chicago: una strana coincidenza!

Mi ricordo di avere parlato al telefono per la prima volta con Francesco e di essere andato in libreria per cercare La tregua (The Truce). Era stato intitolato The Reawakening e non l’ho preso. Ho invece comprato La chiave a stella (The Monkey’s Wrench), un libro in cui Levi celebra la gioia del lavoro, la nostra infinita capacità di risolvere i problemi, l’arte del narrare e ciò che rende la vita soddisfacente. Esuberante e selvaggiamente divertente, è il libro che mi ha fatto innamorare di Levi. E sì, ho poi trovato La tregua! Ho iniziato a conoscere Francesco, incontrandolo a Roma, e guardando tutti i suoi film. Scorsese aveva una copia di Salvatore Giuliano che mi ha generosamente proiettato e poi ci fu un’intera retrospettiva al Lincoln Center, dove andai a vedere molti dei suoi film: Il momento della verità, Le mani sulla città, Cristo si è fermato a Eboli, Tre fratelli, Carmen, Il caso Mattei e Lucky Luciano in cui lavorò per la quarta volta con il grande Gian Maria Volontè. I film di Rosi trattano della condizione umana, della politica, della corruzione e del posto che l’uomo occupa nel mondo. Non ha mai smesso di esplorare quel tema.

Mi sovvengono alla mente molte cose quando penso a lui: prima di tutto che non avrei mai letto l’intera opera di Primo Levi se non fosse stato per Francesco. Lavorare con lui è stato come avere una porta aperta su di me, la sua fiducia nel fatto che io potessi interpretare una versione di Primo Levi mi prese davvero alla sprovvista ed egli vide in me qualcosa che nessun altro aveva notato in precedenza. Ho provato a ricambiare quella fiducia, facendo un grandissimo lavoro di ricerca e di preparazione, leggendo tutto ciò che Levi ha scritto, recandomi a Torino, incontrando la famiglia di Levi, intervistando molti sopravvissuti all’Olocausto, guardando documentari, studiando l’italiano, leggendo tutto ciò che potevo sull’argomento e perdendo molto peso nel periodo precedente alle riprese. Tutto ciò è accaduto in un periodo di cinque anni durante i quali abbiamo avuto modo di conoscerci sempre meglio l’un l’altro.

La delicatezza con la quale mi ha diretto e il suo occhio per la composizione – unito a quelli di Pasqualino De Santis e Marco Pontecorvo – è qualcosa che non avevo mai provato a quel livello. Ricordo la sua bocca sensuale in gran dettaglio. E il suo lato birichino.

Ne La tregua voleva che l’attrice polacca Agnieszka Wagner, che intrepreta un’infermiera, mangiasse di fronte a me una fragola in modo stuzzicante; non soddisfatto, le mostrò come fare e ricordo quanto sensuale ed efficace fosse il suo modo di masticare quella fragola, tanto generare un sorriso vergognoso sul mio viso.

Ricordo un altro episodio in cui un attore aveva un problema durante una scena e Franco fu abbastanza duro con lui. Io suggerii a Francesco che quell’attore più si sforzava e più diventava nervoso e che aveva bisogno di rilassarsi, anche perché era difficile per lui recitare in un’altra lingua. Francesco mi disse: “Va bene, dirigilo tu e poi ti dirò la mia teoria”. Provai a far rilassare l’attore e credo che egli fece un po’ meglio. Allora Francesco mi prese da parte e disse: “John, nella vita sono tutti bravi attori?” Io gli risposi: “No, certo che no”. Mi rispose: “Ogni film ha bisogno di un pessimo attore e lui lo è!”. Scoppiammo a ridere. “Sei tremendo!”, gli dissi, e lui rise ancora di più.

Per realizzare il film ha dovuto lottare contro molti e grandi ostacoli.

Per motivi assicurativi era necessario che avesse un regista che lo sostituisse in caso di malattia e ovviamente non approvava nessun nome che gli veniva suggerito; decise di affidarmi quel compito, che fino ad allora avevo diretto un solo film, Mac. “Tu conosci il materiali meglio di chiunque altro, lo farai tu!”. Accettai con riluttanza, scuotendo la testa. Continuavamo ad avvicinarci alla produzione e poi il film veniva posticipato. E alla fine ci siamo arrivati: il primo giorno mi tremavano le gambe, non volevo deludere né lui né Primo Levi.

Ricordo come se fosse ieri che ero su un camion con tutte le comparse, mentre venivamo trasportati in un nuovo campo di transito. Faceva freddo e nevicava. Durante la notte il clima si fece primaverile e la neve si sciolse; dovemmo dunque fare “alla Ėjzenštejn”, realizzare della neve artificiale e spararla verso il cielo dalle trincee che avevamo scavato. È stato un film moto difficile da realizzare. Anche se non sempre, andavamo d’accordo. E mi piaceva. Durante la lavorazione del film, perse due dei suoi più fidati collaboratori: Pasqualino De Santis e Ruggero Mastroianni.

È stata una delle più grandi esperienze della mia vita e penso che mi abbia cambiato come persona. Che abbia cambiato il modo in cui lavoro e quello con cui guardo il mondo. Penso ancora che si tratti di una delle cose migliori che io abbia mai fatto.

Mi ha fatto scoprire molte cose, tra cui Eduardo De Filippo. Se non fosse stato per Franco non avrei mai portato sui palcoscenici di New York e di Napoli Questi fantasmi e non avrei mai realizzato il documentario Passione.

Quando Francesco venne da me per visionare Passione nella sala di montaggio, mi diede numerose grandi idee e quindi tornai indietro e girai scene ulteriori e, su suo suggerimento, inserii me stesso come narratore/guida. Ricordo che venne a trovarmi mentre stavamo facendo il missaggio, di quanto fu entusiasta e quanto significasse, per me e per la mia montatrice Simona Paggi, avere la sua approvazione. Ha significato tantissimo per me vederlo raggiante di gioia ed orgoglio per quello che avevamo realizzato. È qualcosa che non dimenticherò mai. Quando lesse una fantastica recensione del film scritta in un quotidiano dal suo amico e straordinario scrittore Raffaele La Capria me la inviò con orgoglio perché la leggessi.

C’erano tante cose che amo nei suoi film. Di recente ho visto Cristo si è fermato a Eboli e sono stato impressionato dalla sua profondità, dalla semplicità e contemporanea complessità, dal senso dei luoghi e delle persone che esistono in quei luoghi: è davvero straordinario nel suo colpirti profondamente. I suoi film sono visivamente evocativi e impegnativi ma puoi guardarli e riguardarli venendo arricchito dall’esperienza della visione.

Prima di incontralo avevo perduto mio papà e lui è stato quasi un secondo padre o uno zio, se così si può dire. Tra noi c’era un’intesa e mi sarebbe piaciuto molto poter fare qualcos’altro con lui ma purtroppo questa possibilità non si è mai concretizzata.

Sapevo che voleva realizzare Julius Caesar, ne avevamo parlato ed era qualcosa al quale stava pensando. Per lui era difficile pensare in piccolo e io continuavo ad incoraggiarlo: “Pensa in piccolo, ancora più in piccolo. Magari possiamo fare un piccolo film insieme, come Fame di Knut Hamsun o qualcosa di simile”. Ma non l’abbiamo mai fatto.

È stata una persona che ha profondamente arricchito la mia vita ed aiutato la mia educazione, introducendomi – dopo Levi – a molti scrittori italiani, partendo da Cesare Pavese, Natalia Ginzburg, De Filippo e Eco per arrivare a Elena Ferrante e a molti altri.

Ho una grandissima ammirazione per Francesco. Appesa alla parete ho una sua fotografia autografata, in cui tiene in mano un ventaglio della Carmen e indossa una fascia per capelli. È una grande fotografia dei suoi gloriosi giorni di lavoro. Ho cenato numerose volte con lui, la moglie Giancarla e la figlia Carolina e mi sono sempre sentito parte della famiglia: ora è difficile andare a Roma e non vederlo.

È stato unico nel suo genere.

Gli ho voluto bene e ho amato lavorare con lui.

Mi manchi tantissimo Francesco…*

*in italiano nel testo

14 novembre 2022 (modifica il 14 novembre 2022 | 13:14)

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, 2022-11-14 19:30:00, In occasione della mostra «Le Mani sulla Verità. 100 anni di Francesco Rosi», che s’inaugura al Museo Nazionale del Cinema di Torino il 15 novembre, giorno in cui il regista avrebbe compiuto 100 anni, il famoso attore ha voluto rendergli omaggio, Simona Marchetti

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