di Francesca Angeleri
Il gallerista è proprietario dell’iconico palazzo di Antonelli: «Vivere un’icona è bello ma anche difficile. È una casa molto complessa, reattiva, non ammette errori. Questo perché non c’è spazio e quello che c’è è tutto calcolato»
«Mi considero un abitante di Torino. Ancora adesso, mi piace scoprirla, ne sono affascinato, anche dai suoi lati più oscuri. Non è facile penetrare nel suo tessuto se non ci sei nato. Si può diventare cittadini di Torino, non dei torinesi». Franco Noero è uno dei galleristi più influenti del panorama italiano, la sua galleria in via Mottalciata ha da poco finito di ospitare una mostra di Robert Mapplethorpe (la quarta a Torino) e si appresta a vivere Artissima, «senza la quale, devo dire, io avrei fatto poco. Ci ha dato tanto e anche noi, sempre, ci spendiamo per Artisisma. La sua ricaduta sulla città è fondamentale ed è un ottimo banco di prova per le giovani gallerie».
Influente, dicevamo, apprezzato ovunque. Noero potrebbe spostarsi, niente è globale quanto l’arte in fondo. Ma Torino è Torino, per chi è nato a Cuneo. È un pezzo di mondo che hai voglia di afferrare. «Mia mamma e mio papà vivono ancora a Cuneo. È una città cui sono molto legato ma è anche difficile, sono dovuto andare via per trovare cosa cercavo. Sono orgoglioso dell’attitudine al lavoro e della serietà della mia provincia che è ancora tutta da scoprire. Non mi capacito di come non ci siano le code per la città vecchia di Saluzzo o di Mondovì che è stupenda e vicina alle Langhe. E al mare».
Due sono i centri fondamentali di Noero in città: il primo è la sua galleria in via Mottalciata 10-il 5 inaugura la personale di Henrik Olesen- cui si è aggiunto lo Sculpture Garden, uno spazio espositivo open air di mille metri quadri situato su ex sito industriale. Il secondo è la sua abitazione, ubicata in un sito iconico della città: la Fetta di Polenta progettata da Antonelli. La comprò all’asta, apparteneva a un gentiluomo torinese, e fino a qualche tempo prima era suddivisa in minuscoli appartamenti. Spesso è venuta gente, durante gli opening, per rivedere la vecchia casa dove abitava o per la curiosità di entrare in uno dei luoghi più particolari della città.
Dopo la recente ristrutturazione, Noero sta pensando a un modo per coinvolgere l’immobile nel tessuto cittadino in modo da renderlo fruibile al pubblico. «Vivere un’icona è bello ma anche difficile—racconta — è una casa molto complessa, reattiva, non ammette errori. Questo perché non c’è spazio e quello che c’è è tutto calcolato». È interessante e curioso pensare a una casa e definirla reattiva, «perché respinge o accoglie. Accetta solo determinate cose. Quando ci trasferimmo con mia moglie, avevamo lasciato una casa che amavamo molto e che era in via Mazzini (la via dove aprì la sua prima galleria). Di tutto quello che c’era in quell’appartamento, solo il dieci per cento ha trovato spazio qui».
Per cinque anni è stata principalmente il luogo dove si facevano le mostre, loro stavano su due piani, che detta così non sembra male: «I due piani, però, erano di 25 e 28 metri quadri. Nel libro del grande scenografo Renzo Mongiardino, si vedono le decorazioni che scelse per questa casa e che noi non siamo riusciti a recuperare. Era stato tutto strappato, rivenduto. Lui la paragona all’Appartamento dei Nani nel Palazzo Ducale di Mantova. A livello visivo, ci sono elementi che sembrano di una grandezza normale, invece è un’illusione ottica perché sono molto più piccoli». La sua stanza preferita è la cucina che è al piano interrato, «mia figlia ha 5 anni e le piace giocare a preparare da mangiare. Amiamo ritrovarci lì tutti insieme».
Vanchiglia è una bella zona, a parte la movida un po’ estrema degli ultimi anni, «non ho nulla contro la vita notturna. È un po’ fuori controllo. La cosa che mi piace di meno, in assoluto, sono gli scarabocchi sulle facciate dei palazzi. Che nulla hanno a che fare con la street art. Per il resto la vita qui è molto piacevole, è un quartiere di persone di grande qualità, lavoratori e famiglie e studenti, è un’ossatura interessante. I rapporti sono semplici, soddisfacenti. Ci sono vecchie botteghe speciali. Ci piace molto».
Di Torino è innamorato lui e anche molto i suoi artisti che qui spesso lavorano, «Simon Starling (che inaugura una mostra alla Pinacoteca Agnelli) un giorno in cui ci imbattemmo in Giulio Paolini per strada mi disse: è come se fossimo a Londra e avessimo incontrato i Rolling Stones».
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31 ottobre 2022 (modifica il 1 novembre 2022 | 16:16)
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, 2022-11-01 15:16:00, Il gallerista è proprietario dell’iconico palazzo di Antonelli: «Vivere un’icona è bello ma anche difficile. È una casa molto complessa, reattiva, non ammette errori. Questo perché non c’è spazio e quello che c’è è tutto calcolato», Francesca Angeleri