Fuga da Mariupol: 14 in un’auto sola e i nonni restano a morire

di Andrea Nicastro

Altri 20 mila sfollati dalla città sul Mar Nero, 300 mila restano intrappolati. I più anziani lasciano il posto ai giovani, che arrivano senza bagagli e senza memoria

dal nostro inviato


ZAPORIZHZHIA — Una delle ultime auto ad approdare a Zaporizhzhia è stata la loro. Una Mazda CX grigia con il parabrezza piegato verso l’interno in una ragnatela di crac. È arrivata dopo mezzanotte. C’era il coprifuoco, buio pesto. Duecentocinquanta chilometri di autostrada sono diventati 400 di strade sterrate e paesi fantasma per evitare mine e ponti distrutti. Il motore si spegne, esausto come tutti. Escono un bimbo, un adulto, un ragazzino, un adulto e ancora e ancora. C’erano 14 anime in quella macchinetta. Tre famiglie più Sasha, 6 anni. Il papà e la mamma sono rimasti a Mariupol. Non avevano l’automobile per partire. Prendetelo. Portatelo via. Salvatelo. La Mazda col vetro rotto stava partendo, il «corridoio verde» era aperto, per Sasha si è trovato posto. Quattordici invece di tredici. Salvi, però.

Generazioni

I fuggiaschi dall’assedio di Mariupol non hanno bagagli, non hanno portato neppure la memoria. Olga ha provato a convincere i nonni, ma loro, cocciuti, hanno detto no, siamo vecchi, non riusciremmo ad abituarci, andate voi. La voce di Olga si rompe, lo sguardo cerca comprensione per la bugia a cui tutti vogliono credere. La verità è che spesso i nonni sono rimasti per non togliere il posto ai giovani. Dei 160 arrivati con la colonna di lunedì, la più anziana aveva 57 anni. Gli altri erano bambini e genitori tra i 30 e i 40 anni.

Il giorno dopo

Dopo una notte di sonno, i 14 della Mazda grigia sono ancora in uno degli asili di Zaporizhzhia riconvertiti a centro di accoglienza. Gli hanno dato vestiti, pasti caldi, la possibilità di lavarsi per la prima volta da 13 giorni. A 10 sottozero, senza acqua, i vestiti si irrigidiscono, cambiano colore, come la faccia e soprattutto le mani, ma non si puzza di sudore. Anche ieri, però, dopo la doccia, gli occhi vagano persi. Sono le donne a parlare, a sciogliersi in lacrime, a tremare mentre raccontano di quei giorni infiniti. Gli uomini stanno fuori a fumare o al telefono per riconnettere i fili della vita. Per loro non è finita. Non possono lasciare il Paese, devono arruolarsi o partecipare in qualche modo allo sforzo bellico, come se 12 giorni in una città sgretolata e affamata non fossero un obolo sufficiente alla patria. Natalia: «All’inizio non riuscivamo a credere che potesse durare tanto. Adesso finirà, dicevamo. Invece diventava sempre peggio. Quando sentivamo i botti, io e mio marito mettevamo sotto i bambini e ci seppellivamo tutti di coperte. Loro piangevano, non capivano, ma se il tetto fosse crollato, speravamo di proteggerli con i nostri corpi».

In trappola

Il Teatro di prosa dalle colonne bianche e i fregi neoclassici nel centro di Mariupol, spiega Irina, è diventato un rifugio. «Ci sono ancora mille persone là dentro. Mangiano solo quel che portano una volta al giorno i nostri militari». Sono partiti da una città in fiamme, con i cadaveri per le strade. Anche la stazione dei pompieri è stata colpita, così i palazzi bombardati bruciano tranquilli per ore, le fiamme passano da un piano all’altro fino al tetto. Sotto, la gente continua a ripararsi dalle bombe. Superati i controlli russi, ognuno doveva trovare la strada da sé. Lungo le vie secondarie, decine di auto carbonizzate o anche solo crivellate di colpi di chi aveva tentato la fuga nei giorni precedenti. Dentro i cadaveri.

Chi l’ha visto

Nel circo di Zaporizhzhia, un edificio d’epoca sovietica che sa ancora di tigri e cavalli, fa impressione un muro carico di appelli, numeri di telefono, nomi di chi dovrebbe essere già passato, ma non si trova: un chi l’ha visto di Mariupol. Le psicologhe che li ricevono a Zaporizhzhia dicono di poter cercare solamente di rassicurarli. I fuggiaschi si vergognano di aver perso tutto, di essere come mendicanti. In mano hanno i documenti, gli atti di proprietà della casa, il telefonino e il bancomat. Nient’altro. Neppure i bambini hanno portato i loro giochi. I piccoli, appena ne trovano uno se ne impossessano, non lo lasciano più. Per i grandi, invece, è un conforto ritirare qualche soldo, sentirsi di nuovo padroni di qualcosa. Più che affrontare i traumi, adesso, si può solo abbracciarli, calmarli, fargli percepire che sono in un posto sicuro. Forse, visto che la guerra non si ferma.

L’unico ospedale

Da Mariupol ieri sera stavano arrivando altre auto. Molte, forse addirittura mille, a bordo ventimila persone, ma comunque un nulla rispetto ai 200mila o 300mila abitanti intrappolati. Il vicesindaco è riuscito a far uscire una notizia: l’unico ospedale ancora attivo è controllato dall’esterno dai soldati russi. Tra sanitari e malati, 400 prigionieri. Chi ha tentato di uscire è stato preso a fucilate.

16 marzo 2022 (modifica il 16 marzo 2022 | 00:35)

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, 2022-03-15 23:40:00, Altri 20 mila sfollati dalla città sul Mar Nero, 300 mila restano intrappolati. I più anziani lasciano il posto ai giovani, che arrivano senza bagagli e senza memoria, Andrea Nicastro

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