Il futuro della democrazia

editoriale Mezzogiorno, 4 novembre 2022 – 08:58 di Aldo Schiavone È stata davvero opportuna l’iniziativa del Corriere del Mezzogiorno, presa attraverso CasaCorriere Festival, di distribuire tra gli studenti di dieci scuole del napoletano un questionario sul loro rapporto con la politica e le istituzioni (se ne è parlato sul giornale di martedì, 1 novembre). È una fotografia che contiene tratti sorprendenti: dai quali, accanto ad alcune conferme (purtroppo), si possono anche ricavare elementi di speranza. Il primo dato potrebbe essere, in certo senso, una non notizia: la lontananza dalla politica della maggioranza dei giovani e dei giovanissimi napoletani (il questionario è stato proposto a ragazze e ragazzi tra i 13 e i 20 anni): il 66 per cento di loro se ne dichiara complessivamente interessato poco o per nulla. Più o meno la stessa quantità di chi simmetricamente ammette di sapere poco o niente circa funzioni e compiti del Parlamento, della Magistratura, dei partiti e così via. Cifre che, se confrontate con le percentuali dell’astensionismo napoletano e meridionale nell’ultima tornata elettorale, non fanno che confermare la precarietà delle condizioni in cui versa la democrazia nel Mezzogiorno: perché senza politica, senza attenzione e informazione — o addirittura passione — dedicata a lei, è la democrazia che muore: tra le due c’è infatti un nesso strettissimo e originario, sebbene ormai quasi del tutto dimenticato. Devo ammettere tuttavia che quel che mi ha colpito è stato il dato opposto, che completa quello appena ricordato: più del 33 per cento di chi ha compilato il questionario si è dichiarato abbastanza o molto interessato alla politica, cui corrisponde un 38 per cento che ritiene di conoscere a sufficienza il funzionamento dei principali meccanismi istituzionali. Numeri che non esito a definire sorprendenti. Capisco bene che non stiamo parlando di un vero e proprio sondaggio (come avvertono correttamente gli stessi organizzatori). E che già aver accettato di rispondere al questionario rivela una certa propensione verso gli aspetti pubblici della vita, e quindi determina una prima selezione. Altrimenti, è molto probabile che le cifre sarebbero state più crude. E tuttavia, sia pure valutati con prudenza, quei dati lasciano capire che oggi, nell’area napoletana, c’è una forte minoranza di giovani che, nonostante tutto, continua a rivolgersi alla politica e a informarsi su di essa coltivando evidentemente ancora qualche speranza. Non dobbiamo deluderli. Sono il futuro della nostra democrazia. Dobbiamo riuscire perciò a nutrire quell’interesse, a farlo crescere ed allargare senza disperderlo, ridando per prima cosa un’anima alla politica. Restituendole — a cominciare da quella di prossimità, nei quartieri, nel Comune, nelle scuole — uno sfondo di idee, di visioni e di progetti, una capacità di suscitare entusiasmi e di mobilitare volontà ed energie senza dei quali non può sopravvivere. Elementi che da troppo tempo le mancano, e che per ora nessuno riesce a indicare come ritrovare. Dobbiamo cioè, in altri termini, ricostruire le basi popolari della politica e della cittadinanza: un problema non certamente solo italiano, ma che in Italia e nel Mezzogiorno si presenta con un’urgenza tutta particolare. Perché più che mai il Meridione ha bisogno di politica — di una politica rigenerata — per riprendere nelle sue mani il proprio destino. Vi sono poi altri aspetti che emergono dal questionario su cui vale la pena di fermarsi. Due, tra loro collegati, dimostrano l’attenzione di chi ha risposto per i caratteri contraddittori della nostra realtà sociale e istituzionale, e rivelano il possesso di un’alta capacità di distinguere. Mentre infatti ben l’87 per cento dichiara di sentirsi in un Paese democratico, la stessa percentuale afferma che l’art. 3, primo comma della Costituzione — quello sull’eguaglianza di fronte alla legge e la pari dignità sociale di tutti i cittadini — non viene in realtà effettivamente rispettato. Dato che si completa con un’altra risposta: ancora più dell’80 per cento tra i partecipanti dichiara di non ritenere che tutti i giovani, nelle diverse regioni del Paese, godano delle stesse opportunità formative: una convinzione che mette in discussione le performances dell’intero sistema scolastico, e che viene confermata, sia pure con percentuali meno veno vicine all’unanimità (61 contro 38), a proposito del sistema sanitario. Giovani dunque che osservano e capiscono, anche quando non hanno gli strumenti adeguati. E che si rendono conto di vivere — nel Mezzogiorno odierno — in un Paese spezzato. Dove a una pratica democratica consolidata e ormai universalmente riconosciuta, corrispondono in modo speculare autentiche macrostrutture di diseguaglianza (sanità, scuola, servizi – questi ultimi oggetto di un’altra apposita domanda che vede percentuali assai simili nella risposta a quella sulla sanità), che vanificano di fatto l’unitarietà della cittadinanza.È un antico interrogativo quello sulla quantità di diseguaglianza tollerabile in una democrazia perché essa possa sopravvivere senza esserne travolta. Ce la portiamo dietro sin dalla Grecia antica. La modernità l’avrebbe riproposta in modo sempre più drammatico, fino agli abissi che si stanno aprendo nell’Occidente contemporaneo. Credo che uno di questi buchi neri riguardi proprio il Mezzogiorno d’Italia, dove si stratificano in un impasto micidiale vecchi e mai sanati squilibri e nuove ingiustizie e frammentazioni. Ragazze e ragazzi — i nativi digitali che ogni giorno non smettono di stupirci — le guardano: forse con apprensione, forse con rancore, forse con indifferenza; ma sanno comunque che si parla di loro, del loro destino. 4 novembre 2022 | 08:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-11-04 07:59:00, editoriale Mezzogiorno, 4 novembre 2022 – 08:58 di Aldo Schiavone È stata davvero opportuna l’iniziativa del Corriere del Mezzogiorno, presa attraverso CasaCorriere Festival, di distribuire tra gli studenti di dieci scuole del napoletano un questionario sul loro rapporto con la politica e le istituzioni (se ne è parlato sul giornale di martedì, 1 novembre). È una fotografia che contiene tratti sorprendenti: dai quali, accanto ad alcune conferme (purtroppo), si possono anche ricavare elementi di speranza. Il primo dato potrebbe essere, in certo senso, una non notizia: la lontananza dalla politica della maggioranza dei giovani e dei giovanissimi napoletani (il questionario è stato proposto a ragazze e ragazzi tra i 13 e i 20 anni): il 66 per cento di loro se ne dichiara complessivamente interessato poco o per nulla. Più o meno la stessa quantità di chi simmetricamente ammette di sapere poco o niente circa funzioni e compiti del Parlamento, della Magistratura, dei partiti e così via. Cifre che, se confrontate con le percentuali dell’astensionismo napoletano e meridionale nell’ultima tornata elettorale, non fanno che confermare la precarietà delle condizioni in cui versa la democrazia nel Mezzogiorno: perché senza politica, senza attenzione e informazione — o addirittura passione — dedicata a lei, è la democrazia che muore: tra le due c’è infatti un nesso strettissimo e originario, sebbene ormai quasi del tutto dimenticato. Devo ammettere tuttavia che quel che mi ha colpito è stato il dato opposto, che completa quello appena ricordato: più del 33 per cento di chi ha compilato il questionario si è dichiarato abbastanza o molto interessato alla politica, cui corrisponde un 38 per cento che ritiene di conoscere a sufficienza il funzionamento dei principali meccanismi istituzionali. Numeri che non esito a definire sorprendenti. Capisco bene che non stiamo parlando di un vero e proprio sondaggio (come avvertono correttamente gli stessi organizzatori). E che già aver accettato di rispondere al questionario rivela una certa propensione verso gli aspetti pubblici della vita, e quindi determina una prima selezione. Altrimenti, è molto probabile che le cifre sarebbero state più crude. E tuttavia, sia pure valutati con prudenza, quei dati lasciano capire che oggi, nell’area napoletana, c’è una forte minoranza di giovani che, nonostante tutto, continua a rivolgersi alla politica e a informarsi su di essa coltivando evidentemente ancora qualche speranza. Non dobbiamo deluderli. Sono il futuro della nostra democrazia. Dobbiamo riuscire perciò a nutrire quell’interesse, a farlo crescere ed allargare senza disperderlo, ridando per prima cosa un’anima alla politica. Restituendole — a cominciare da quella di prossimità, nei quartieri, nel Comune, nelle scuole — uno sfondo di idee, di visioni e di progetti, una capacità di suscitare entusiasmi e di mobilitare volontà ed energie senza dei quali non può sopravvivere. Elementi che da troppo tempo le mancano, e che per ora nessuno riesce a indicare come ritrovare. Dobbiamo cioè, in altri termini, ricostruire le basi popolari della politica e della cittadinanza: un problema non certamente solo italiano, ma che in Italia e nel Mezzogiorno si presenta con un’urgenza tutta particolare. Perché più che mai il Meridione ha bisogno di politica — di una politica rigenerata — per riprendere nelle sue mani il proprio destino. Vi sono poi altri aspetti che emergono dal questionario su cui vale la pena di fermarsi. Due, tra loro collegati, dimostrano l’attenzione di chi ha risposto per i caratteri contraddittori della nostra realtà sociale e istituzionale, e rivelano il possesso di un’alta capacità di distinguere. Mentre infatti ben l’87 per cento dichiara di sentirsi in un Paese democratico, la stessa percentuale afferma che l’art. 3, primo comma della Costituzione — quello sull’eguaglianza di fronte alla legge e la pari dignità sociale di tutti i cittadini — non viene in realtà effettivamente rispettato. Dato che si completa con un’altra risposta: ancora più dell’80 per cento tra i partecipanti dichiara di non ritenere che tutti i giovani, nelle diverse regioni del Paese, godano delle stesse opportunità formative: una convinzione che mette in discussione le performances dell’intero sistema scolastico, e che viene confermata, sia pure con percentuali meno veno vicine all’unanimità (61 contro 38), a proposito del sistema sanitario. Giovani dunque che osservano e capiscono, anche quando non hanno gli strumenti adeguati. E che si rendono conto di vivere — nel Mezzogiorno odierno — in un Paese spezzato. Dove a una pratica democratica consolidata e ormai universalmente riconosciuta, corrispondono in modo speculare autentiche macrostrutture di diseguaglianza (sanità, scuola, servizi – questi ultimi oggetto di un’altra apposita domanda che vede percentuali assai simili nella risposta a quella sulla sanità), che vanificano di fatto l’unitarietà della cittadinanza.È un antico interrogativo quello sulla quantità di diseguaglianza tollerabile in una democrazia perché essa possa sopravvivere senza esserne travolta. Ce la portiamo dietro sin dalla Grecia antica. La modernità l’avrebbe riproposta in modo sempre più drammatico, fino agli abissi che si stanno aprendo nell’Occidente contemporaneo. Credo che uno di questi buchi neri riguardi proprio il Mezzogiorno d’Italia, dove si stratificano in un impasto micidiale vecchi e mai sanati squilibri e nuove ingiustizie e frammentazioni. Ragazze e ragazzi — i nativi digitali che ogni giorno non smettono di stupirci — le guardano: forse con apprensione, forse con rancore, forse con indifferenza; ma sanno comunque che si parla di loro, del loro destino. 4 novembre 2022 | 08:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

Pietro Guerra

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