Gatti: credo nei giovani talenti ma troppi inesperti sul podio

di Giuseppina Manin

Direttore principale dell’Orchestra di Dresda, la più antica del mondo (fondata nel 1548)

A Dresda la domenica mattina o si va in chiesa a cantare o si va al concerto. La sacralità è la stessa in un Paese dove musica e preghiera viaggiano sulla medesima frequenza d’onda. Se l’orchestra della Staatskapelle è un simbolo da quasi 500 anni, a cambiare è solo chi officia al rito. Grande attesa quindi domenica scorsa alla Semperoper per il primo dei tre concerti di Daniele Gatti, 60 anni, prossimo direttore principale dell’orchestra più antica del mondo (fondata nel 1548), sul cui podio sono saliti von Weber, Wagner, Strauss. E ora, dal 2024, a succedere al più «prussiano» dei direttori, Christian Thielemann, tocca a lui, al milanesissimo Gatti, eletto per acclamazione da 150 musicisti entusiasti.

«A Dresda mi lega un ricordo speciale — confessa —. La prima volta arrivai nel 2000 invitato da Sinopoli, allora direttore della Staatskapelle. Avevo 40 anni, l’emozione di dirigere Brahms qui non la scordo. Come non scorderò mai il gesto generoso di Giuseppe». Brahms e Schumann gli autori che lo accompagnano anche adesso. Un repertorio tedesco sui cui s’inoltrerà a modo suo. «Sono gli stessi musicisti a chiedere uno sguardo diverso. È successo anche per le mie altre nomine all’estero, dalla Royal Philharmonic alla National de France al Concertgebouw. Se chiamano un italiano è perché vogliono confrontarsi con un altro modo di fare musica. Io porto il mio vissuto, più libero, più cameristico, meno teutonico. Preservare e rinnovare. Se no la tradizione rischia di diventare polverosa».

Il leggendario suono brunito della Staatskapelle si è formato così, con l’apporto di personalità diverse, tra cui gli italiani Sinopoli e Luisi. «Nel mondo musicale l’Italia non è seconda a nessuno. Abbiamo l’abitudine di pensare che gli altri siano sempre meglio di noi… Rivendico la mia nazionalità con orgoglio e nessun spirito sovranista. Sempre grato al Conservatorio di Milano, dove mi sono formato con grandi maestri, e alle mie orchestre: Bologna, Santa Cecilia, l’Opera di Roma, Maggio Fiorentino. Ho avuto tanto dal mio Paese, vorrei ridarlo con gli interessi».

Visto che a Dresda l’orchestra si sdoppia tra sinfonica e lirica, la sua prima opera, annuncia, «sarà italiana». Titolo da definire, ma si può scommettere su Verdi. Grande amore di Gatti, che a dicembre aprirà la stagione del Maggio con Don Carlo, regia di Andò. «In questi giorni penso con tristezza a Sant’Agata, dove Verdì abitò per mezzo secolo. A fine mese la villa verrà messa all’asta. E chissà cosa accadrà. E in degrado versa anche Palazzo Cavalli a Busseto, dove scrisse Rigoletto. Sembra incredibile che luoghi così emblematici vengano lasciati andare. Lo stato deve intervenire, salvarli è un dovere non solo culturale ma etico». Come è un dovere verso la musica dare alle nuove generazioni le occasioni per crescere. «Da sette anni tengo alla Chigiana delle master class di direzione d’orchestra. I talenti ci sono ma il rischio oggi è di disperderli in fretta. I teatri, nella smania di rincorrere i giovani, invitano musicisti sempre più in erba, non ancora pronti a debutti impegnativi. E così li bruciano. Dirigere un’orchestra richiede maturità, prima devi potere sbagliare e essere protetto nei tuoi errori».

Tra pochi giorni, il 9 novembre, sarà alla Scala. «Tre serate con la Terza di Mahler. Sono felice di tornare nel teatro che mi ha fatto amare la musica da ragazzo. Mancavo da 4 anni». Cosa prova in questo difficile momento della storia? «Non posso sottrarmi all’angoscia, ma noi musicisti viviamo in qualche modo al riparo, in una realtà parallela. Non significa rinunciare alle responsabilità, ma i fantasmi del passato in qualche modo ci proteggono».

24 ottobre 2022 (modifica il 24 ottobre 2022 | 19:18)

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, 2022-10-24 17:18:00, Direttore principale dell’Orchestra di Dresda, la più antica del mondo, Giuseppina Manin

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