Gessen: «Putin vuole dimostrare di essere il destino dell’Ucraina. Ma Kiev è già nel futuro»

di Roberto SavianoL’intellettuale dissidente: la guerra colpa della Nato? È propaganda del Cremlino che viene amplificata. In realtà un uomo solo vuole annientare un Paese Intervistare Masha Gessen significa entrare in contatto con l’intera storia della dissidenza contro il potere di Putin. È l’intellettuale che ha descritto il potere criminale di Vladimir Putin prima d’ogni altro, non ha mai temuto di prendere posizione né ha cercato di schermarsi dietro l’equidistanza. La sua voce e il suo punto di vista sulla guerra sono di fondamentale importanza per capire di cosa sia fatto il cuore pulsante della Russia che ha aggredito l’Ucraina. Quando ho scritto a Masha Gessen per chiedere di rispondere ad alcune mie domande, mi ha risposto di sì e mi ha anche detto che non è una Ms né un Mr, ma Mx. Quindi non signora né signore, il suo sesso non è binario. Perché questo non è un dettaglio e voglio anzi che abbia il giusto risalto? Perché Masha Gessen ha pagato e ha subito discriminazioni in Russia proprio in quanto attivista Lgbtq+. D’ora in poi, nel rispetto della volontà di Masha Gessen di non essere ascritt né al genere femminile, né a quello maschile, per la prima volta in un mio testo, sono felice di utilizzare la vocale schwa, come molto rispettosamente suggerito dalla mia amica e collega scrittrice Michela Murgia. Masha Gessen è unə scrittorə di origini russo-americane, natə a Mosca da una famiglia di origini ebraiche, è statə per molto tempo l’unica persona dichiaratamente gay in tutta la Russia, subendo una duplice discriminazione, in quanto ebreə e in quanto gay. Nel 1981, ovvero all’età di 14 anni, con la famiglia si trasferisce negli Stati Uniti, con il Programma di reinsediamento dei rifugiati degli Stati Uniti, ma manterrà sempre il doppio passaporto che userà quando, dieci anni dopo, deciderà di ritornare in Russia, da giornalista. Scelta che le fa rischiare la vita, il carcere, e una continua persecuzione. Nel dicembre 2013 torna a New York perché le autorità russe avevano cominciato a parlare di togliere i bambini ai genitori gay e Masha Gessen aveva con sé sua moglie e suo figlio. Il politico Milonov propugnò una legge contro la «propaganda omosessuale» verso i bambini e usava i figli di Masha come esempio dei frutti della «famiglia pervertita». Nel giugno 2013 Masha Gessen è statə picchiatə fuori dal Parlamento; dell’incidente hanno detto che «mi sono resə conto che in tutte le mie interazioni, comprese quelle professionali, non mi sentivo più percepitə come unə giornalistə prima di tutto: ora sono una persona con un triangolo rosa (alludendo al simbolo messo sulle divise dei prigionieri omosessuali nei campi di concentramento nazisti)». Da quando lessi Putin. L’uomo senza volto (Bompiani), compresi la potenza della sua scrittura, il coraggio di raccontarci con chi esattamente facevamo affari, a chi avevamo appaltato settori strategici della nostra economia. E poi ancora Il futuro è storia edito da Sellerio e l’appena pubblicato Dove gli ebrei non ci sono, pubblicato da Giuntina, due testi fondamentali per leggere, oltre la propaganda, il Paese che ha messo in discussione un caposaldo dell’Europa del Dopoguerra: la pace. Masha Gessen nel 2012 incontrò Putin al Cremlino; avvenne dopo il suo licenziamento dalla rivista di divulgazione scientifica Vokrug Sveta, la più antica testata russa, una sorta di National Geographic Magazine fondato 30 anni prima. Gessen non aveva mandato alcun giornalista a coprire un evento promosso da Putin sul rispetto dell’ambiente considerandolo pura propaganda. Questo valse il licenziamento e il successivo incontro con Putin. In quell’occasione fu offerto a Gessen un lavoro che rifiutò. Il ritorno negli Stati Uniti avvenne in seguito all’inasprimento dell’atteggiamento del governo russo verso la comunità Lgbtq+. Gessen e sua moglie, temendo di poter perdere l’affido del figlio maggiore adottato nel 2000, chiesero consiglio a un avvocato che suggerì loro di istruire il ragazzo a scappare nel caso sconosciuti si fossero avvicinati e concluse dicendo: «La risposta alla tua domanda è l’aeroporto». Masha Gessen mi parla da New York, la incontro in video, secondo una modalità che il Covid ha ormai reso più che familiare. Mi sento emozionato, dall’altra parte dello schermo una persona minuta, solo apparentemente fragile, che sulle spalle ha deciso di portare un peso enorme, quello del dissenso. Quale soluzione per questa guerra è possibile? «Non c’è soluzione finché Putin sarà vivo. Ci sono molti modi in cui si potrà sviluppare, lo scenario migliore, che non penso sia il più probabile ma è il migliore, è che ci sia una pace negoziata nelle prossime settimane, il che significa che la Russia occuperà una buona parte dell’Ucraina, e l’Ucraina garantirà la neutralità e non entrerà nella Nato né nell’Unione europea. Non credo che l’Ucraina accetterà di demilitarizzarsi del tutto. In questo scenario manterrebbe le sue forze armate, ma molto più limitate assicurando la neutralità e concedendo alla Russia un terzo del Paese, inclusa Charkiv, Mariupol e Cherson. Questo sarà una bomba a orologeria per due motivi: il primo è che determinerà un’insurrezione all’interno del territorio occupato dalla Russia e continuerà ad esserci il terrore lì, così come in Russia. L’altro è che l’ambizione di Putin non è di occupare l’Ucraina, ma di annientarla, quindi anche se potrà sembrare una pace negoziata, sarà solo una tregua finché Putin attaccherà di nuovo. E questo che ho descritto è lo scenario migliore. Quello peggiore è la guerra nucleare». Cosa risponderebbe a chi dice che questa guerra è colpa della Nato? «Rispondo che è una cazzata, che è propaganda del Cremlino e ogni volta che vi si prende parte, la si amplifica. Penso che nella politica interna russa, e nel pensiero di Putin, ci sia un importante evento che è la guerra aerea in Kosovo, che è molto diversa dall’idea di espansione della Nato perché il Kosovo non è membro della Nato, ma sì, quella era una campagna della Nato, e la campagna era guidata dagli Stati Uniti (il primo ministro kosovaro Albin Kurti si è recentemente mostrato preoccupato perché vede la situazione kosovara in continuità con quella ucraina: entrambi gli Stati non fanno parte della Nato ma si sentono affini all’Occidente e non nutrono nostalgie di sorta per il passato. Per di più il Kosovo ha preso parte nel 2021, con 350 soldati, all’esercitazione Nato denominata Defender Europe, ndr). Penso che ciò che è accaduto in Kosovo abbia avuto un ruolo determinante nel creare una storia che premettesse a Putin di fare quello che sta facendo e di alimentare una politica di risentimento (è come se il non detto sia: attenti alla Nato, che pretende di tutelare attraverso la legge internazionale i popoli più deboli, ma poi li ignora, ndr); ciò che è accaduto in Kosovo ha avuto un ruolo importante nel creare il Putinismo e il desiderio della guerra, e ha creato una connessione forte tra la guerra in Kosovo e questa terribile guerra che vediamo. Riguardo al dire che questa guerra è generata dall’espansione della Nato è una cazzata». Ma come siamo arrivati a questa guerra? «Beh, non siamo arrivati noi a questa guerra. È l’azione di un solo uomo. Preferisco partire dal ragionamento e dalla politica che ha portato Putin a iniziarla. Lui ha chiaramente una politica di nostalgia del passato e ci sono un paio di cose che lo hanno portato a focalizzarsi sull’Ucraina. La prima, e penso sia la più importante, è proprio la direzione che l’Ucraina ha preso negli ultimi 30 anni, e in particolare negli ultimi 18, cioè dalla rivoluzione arancione, considerata un affronto al Putinismo». Perché l’Ucraina e non i Paesi baltici? «Perché l’Ucraina, incredibilmente, a differenza di molte altre repubbliche post sovietiche, non è ricaduta nel totalitarismo. Al contrario è rimasta in uno stato transitorio di auto-invenzione nel corso degli ultimi 31 anni. È diventata culturalmente un’entità sempre più nettamente distinta dalla Russia, e non intendo a livello linguistico o per bagaglio culturale in sento stretto, che è ciò che Putin considera cultura. Intendo altro, ovvero il modo in cui si vive e il modo in cui si sviluppa la cultura, di cosa parla la gente, come pensa, come si istruisce. È un Paese molto diverso. Ci sono stati momenti, e non è più una sorpresa, il mondo ormai lo sa, in cui l’Ucraina ha avuto frangenti di coesione culturale incredibili. Mi riferisco in particolare a entrambe le rivoluzioni, la rivoluzione arancione e la rivoluzione della dignità. Le persone, per tre mesi, sono rimaste nelle piazze d’inverno, al freddo estremo e non se ne andavano nemmeno quando venivano attaccati. Anzi, arrivarono altre persone quando chi era in piazza fu attaccato. Arrivarono le madri, e quando aprirono il fuoco, nessuno se ne andò. È diventata la storia del Paese, cioè essere disposti a sacrificarsi per la libertà». Non furono fiaccati… «Un’altra esperienza di grande coesione ci fu dopo l’invasione nel 2014 in Crimea e dopo l’invasione dell’Ucraina orientale. L’esercito della Crimea fu distrutto nei primi giorni di guerra, non erano per niente preparati, ma i giovani presero le armi e tutto il Paese si organizzò per aiutare, per comprare e inviare viveri, e tutto questo è andato avanti per anni. Quindi gli ucraini sanno di essere una nazione unita e di sapersi prendere cura l’uno dell’altro, sanno di essere una nazione indipendente che si sacrifica per la libertà. Questo lo stiamo imparando osservando la guerra. Ma loro lo sapevano già prima, e in fondo lo sa anche Putin. E qui arriviamo alla parte più interessante e cioè che per l’Ucraina storia non significa destino. Un Paese che ha fatto le stesse esperienze della Russia e cioè settant’anni di totalitarismo, oltre tre milioni di persone morte per la sete di potere di un uomo durante il terrore stalinista, la Seconda guerra mondiale — l’Ucraina ebbe in proporzione più morti di qualsiasi altro Paese al mondo — esce da tutto questo come una nazione orientata verso il futuro, capace di auto inventarsi. La Russia, al contrario, è uscita dal secolo scorso incapace di guardare al futuro. Incapace di raccontare una storia nuova, se non quella della sua grandezza passata. Quindi l’esistenza dell’Ucraina è stata ed è ancora un costante promemoria del fallimento della Russia ad andare avanti. È davvero importante per comprendere questa guerra, comprendere anche la volontà di Putin di dimostrare all’Ucraina che la storia è il destino. Putin vuole dimostrare all’Ucraina di essere il suo destino». Serviva davvero questa guerra per comprendere chi fosse Putin? Nel suo libro «Putin. L’uomo senza volto» descrive benissimo l’ascesa di un uomo il cui temperamento, già sin dall’inizio, non prometteva nulla di buono. Nel 2008, in un profilo che di lui scrisse su Vanity Fair lo definì «un aspirante delinquente». «Non serviva che Putin iniziasse questa guerra contro l’Ucraina per sapere che uomo fosse. Il mio libro su Putin è di 10 anni fa, prima della prima guerra in Ucraina, ma dopo la guerra in Georgia. È stato dopo che siamo riusciti a documentare i vari omicidi, inclusi quelli che sembravano essere avvelenamento o conseguenza dall’uso di armi chimiche. All’epoca ci lavoravo solo io, nessun altro indagava. Non riuscivo a dimostrare che tipo di veleno fosse, si è dovuti arrivare a Navalny per confermare che fosse veleno. A quel punto aveva già ucciso Alexander Litvinenko con il polonio, aveva invaso la Georgia, stava iniziando a imprigionare persone e c’era motivo di pensare che fosse responsabile dell’esplosione di quel complesso di case nel 1999 (qui il riferimento è a una serie di attentati in cui persero la vita quasi 300 persone. Le autorità russe accusarono i separatisti ceceni, ma come sostenevano Boris Berezovsky e lo stesso Litvinenko, sembra essere confermato che gli attentati furono orditi dai servizi segreti russi che necessitavano di una giustificazione per l’intervento in Cecenia, ndr). Lo sapevamo 10 anni fa, e lo sapevano i politici europei, il Regno Unito di sicuro lo sapeva. Alexander Litvinenko è morto a Londra, eppure il Regno Unito ha continuato a permettere che i russi benestanti usassero il loro sistema finanziario e immobiliare per accrescere la loro ricchezza. La Germania era consapevole e non solo non fece nulla, ma oltre a dipendere dal gas russo, continuò a costruire il Nord Stream 2. Ma anziché parlare del fallimento morale del passato, parliamo di quello attuale». Cioè? «Ci si congratula con l’Occidente per la solidarietà e per aver imposto sanzioni fortissime alla Russia. Certo questo causa difficoltà ai milionari russi, e mi fa molto piacere perché dovranno spendere centinaia di milioni di dollari di tasca loro per proteggere i restanti milioni. Ma l’impatto principale sarà sulla popolazione più povera. Meno mezzi hanno, più ne soffriranno. I russi che versano in povertà, e cioè metà della popolazione, stanno già soffrendo per gli effetti sull’economia. Fanno già fatica a comprare beni di prima necessità eppure l’Europa non ha ancora smesso di usare il gas e petrolio russo. E il messaggio è: ok, pur di non rinunciare ai propri standard non hanno nemmeno fermato la costruzione del Nord Stream 2, e adesso prendono il gas da un altro regime, quello turco. Non si è disposti a rischiare il disagio degli europei, non si è disposti ad accettare che i prezzi di gas e benzina aumentino di molto in Europa perché questo metterebbe in pericolo le prospettive degli europei. Ma sia i russi che gli ucraini risentiranno in futuro per ciò che sta accedendo adesso e gli ucraini continueranno a morire perché i politici europei non vogliono rischiare. Quindi quel fallimento morale non appartiene solo al passato, ma anche al presente». Ma come è possibile che Putin, finanziatore delle destre populiste e radicali europee, leader ammirato dai partiti xenofobi, utilizzi la retorica della denazificazione dell’Ucraina? Come è possibile che questo racconto regga nonostante l’Ucraina abbia un presidente di origini ebraiche? «Perché l’idea che i russi hanno della guerra è mutuata dalla Seconda guerra mondiale; l’intera identità russa è costruita a partire dalla Seconda guerra mondiale, o come la chiamano i russi: la grande guerra patriottica. Ed è una guerra che inizia nel 1941 — non nel 1939 — e finisce nel 1945. Nel 1941, e cioè quando la Germania nazista invade l’Unione Sovietica. La grande guerra patriottica è servita alla Russia contemporanea per giustificare tutto: il terrore staliniano arrivato prima della guerra, il predominio su mezza Europa arrivato dopo la guerra, la rivendicazione continua contro tutti i Paesi europei. Quando sceglie di combattere una guerra, la Russia deve combattere la Seconda guerra mondiale, che era una guerra contro i nazisti. La cosa incredibile è che oggi gli ucraini stanno combattendo una grande guerra patriottica, quindi sono i russi a comportarsi da nazisti, commettendo un genocidio. Quello che Putin sostiene, cioè che non esiste la nazione ucraina, è un’affermazione genocida. Scrivono ovunque la lettera Z — che è la nuova svastica — ovunque, incluse le porte delle case degli oppositori alla guerra in Russia. Stanno avendo i tipici atteggiamenti da nazisti eppure chiamano gli ucraini nazisti, mentre gli ucraini stanno combattendo la loro grande guerra patriottica». Che ruolo ha la destra ucraina. In Italia si discute del battaglione Azov come se fosse centrale. È così? «L’Ucraina ha un paio di partiti politici di estrema destra. Uno non è nemmeno rappresentato in Parlamento e uno penso abbia un solo seggio. A differenza degli altri Paesi europei, ha una presenza esigua di destra estrema. Il battaglione Azov si stima abbia 400-800 persone e l’esiguità nel numero non è affatto insolita per un Paese europeo che è stato in guerra negli ultimi 8 anni. Non sono unə fan dell’estrema destra, in particolare quella ucraina, dal momento che sono statə quasi uccisə dalla destra estrema ucraina nel 2015; mi hanno seguitə per le strade di Kiev cercando di uccidermi». Quando il patriarca Kyrill ha dichiarato che questa guerra è giusta perché combatte le lobby gay, ho pensato che la comunità Lgbtq+ in Russia ha preso su di sé tutto il coraggio della dissidenza negli ultimi anni, pagando un prezzo altissimo. Con questa guerra la comunità Lgbtq+ subirà pressioni? Isolamento? Che ruolo avrà la comunità in questo momento? «Beh, non direi che la comunità Lgbtq+ sia stato l’unico movimento che si è schierato fortemente contro la guerra. Ci sono stati sicuramente degli attivisti incredibili, inclusi quelli che hanno letteralmente salvato vittime della Cecenia, facendole uscire dal Paese. È stato un impegno enorme. La maggior parte delle persone Lgbt avrebbero preferito essere lasciata in pace e vivere la loro vita borghese, se Putin non avesse deciso di rendere le persone Lgbt il nemico numero uno. Ma è così, e l’ha deciso quasi 10 anni fa, quando ha affrontato le proteste di massa e deciso di screditare coloro che protestavano chiamandoli “queer” (termine utilizzato con accezione negativa, ndr). Ha funzionato, in un certo senso. Denigrare la comunità Lgbtq+ è una pratica orientata al passato, anche in altri Paesi, anche negli Usa è stato così, con Donald Trump. Appena arrivato alla Casa Bianca ha iniziato a fare retromarcia sui diritti Lgbt perché rappresentano un segno di modernità, il cambiamento più recente e più rapido, ecco perché per questa politica “vecchio stile” è importante dire “torniamo al passato, al sentiero immaginario”. Cosa succederà alle persone Lgbt in Russia? Quello che succede a tutti i bersagli. Saranno in maggiore pericolo. Ieri Putin ha definito una categoria di russi traditori, ovvero “quelli che non possono vivere senza foie gras, ostriche e libertà di genere”. Eccola l’immagine perfetta dell’Occidente decadente. È chiaro che le persone Lgbt si sentano vicine agli oppositori della guerra, ai giornalisti indipendenti, a chi è in disaccordo con la politica di Putin e sono di conseguenza presi di mira. La differenza tra persone Lgbt e gli oppositori di Putin è che protestare contro la politica è un’azione, non è la vita. Per molti la protesta è essenziale nella loro vita, ma possono fermarsi, possono decidere di tornare a casa e fermarsi, anche se si è in pericolo. Se sei queer — ma non voglio dover mettere un’etichetta a tutti i costi — sei un bersaglio perenne, sei un bersaglio vivente, il che è particolarmente spaventoso». Qui spesso si fa appello alla pazzia di Putin, a problemi psichiatrici. L’ho trovata sempre molto riduttiva come spiegazione. «Sono un po’ stancə di sentir parlare della pazzia di Putin, anche se dipende da chi parla. Molti miei amici in Russia parlano ora di questa pazzia, ma non l’hanno mai fatto prima. Il motivo per cui ne parlano ora penso dipenda dal fatto che dalla condizione di sanità mentale di Putin dipende l’idea che il mondo ha dell’intero Paese. Lui è chiaramente avido e affamato di potere e loro pensavano che lui non avrebbe agito in modo da mettere a rischio la stabilità della sua struttura di potere. Quindi ora che si comporta in modo tale da mettere in pericolo il mondo e destabilizzare il suo regime, lo chiamano pazzo. Ma non è cambiato nulla, non sono cambiate le sue parole e in fondo Putin non è cambiato nemmeno nelle sue azioni. La guerra in Ucraina dura da 8 anni. La tattica, le strategie attuate verso i Paesi bersaglio sono le stesse. Ho lavorato in entrambe le guerre in Cecenia ed erano proprio così, bombardavano le scuole e gli ospedali, mettevano l’artiglieria fuori dai quartieri residenziali e bombardavano finché non restava nulla. Per me non è nemmeno così interessante leggere i reportage sul campo in Ucraina, perché so già cosa dirà il paragrafo successivo. Conosco questa guerra, l’ho già vista. E se l’ho vista io, l’abbiamo vista tutti. Chiamarlo pazzo adesso significa presumere che ci sia stata una pausa “di qualità” nel suo modo di agire, ma non credo sia così. Tutto ciò che sta accadendo l’abbiamo già visto nella Russia di Putin. Quindi penso che considerarlo sano prima e pazzo ora sia incoerente. Magari, invece, quando i russi dicono che è pazzo, stanno cercando di dire che quel che accade è assurdo, che non riescono a comprendere, quindi definiscono pazzesca la realtà che stanno vivendo. C’è un altro modo di interpretare la definizione di pazzo, che penso sia un’interpretazione che ci piace meno. Quando diciamo che qualcuno è pazzo, lo diciamo perché agisce in un modo che non consideriamo conforme agli standard sociali o costituzionali. Ma chi era pazzo in Unione Sovietica, era perfettamente sano in altre parti del mondo. Quando l’Occidente chiama Putin pazzo, dice che agisce in un modo che l’Occidente considera assurdo, ed è vero. Ma lo rifiuta, rinnega l’intero sistema. E non penso che lui agisca in modo così inaccettabile per gli standard della società russa». Come spiegare la fascinazione che una grossa parte dell’opinione pubblica di destra europea ha verso Putin. Più che una fascinazione, sono stati sostenuti Le Pen in Francia, Salvini e Berlusconi in Italia. Perché questa alleanza tra destra populista e Putin? E perché molti europei vedono Putin come un politico anti sistema? «Conosco meno il supporto a Putin in Europa dell’attrazione verso Putin, ma immagino che la natura sia sempre la stessa. È una coalizione di politici orientati al passato. Sei anni fa ero a Tiblisi per un convegno annuale chiamato Congresso mondiale delle famiglie, lo organizzava un’associazione russo-americana che unisce gli attivisti e politici di tutto il mondo che si battono per quelli che loro ritengono essere i valori tradizionali. Andai perché c’erano due scuole di pensiero dominanti su come funzionasse questa associazione, ma nella realtà dei fatti si trattava di un gruppo politico che vuole tornare a un passato immaginario, unito perché si sentiva assediato, quasi portato all’estinzione. Sono persone tenute insieme dalla paura per il futuro, che però alimenta una politica orientata al passato. È quello che porta la gente a unirsi a un culto totalitaristico, che sia un culto religioso o un regime nazionale, che dà una certezza orientata al passato. Penso sia questa la natura del fenomeno. Ma penso sia anche una sorta di fascinazione che si prova verso le schegge impazzite. È un po’ come quando vedi nel cortile di una scuola un ragazzino che non ha autocontrollo, che in classe si alza e grida alla maestra e ti sembra fantastico. È quello che Trump ha fatto quando l’Ucraina è stata invasa. In un video su YouTube ha detto: “È fantastico, incredibile, è un genio”. È stato quel tipo di reazione per cui vedi qualcosa di così pazzesco che ti affascina e non riesci a smettere di guardarlo e provare ammirazione. 23 marzo 2022 (modifica il 23 marzo 2022 | 09:17) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-03-23 15:30:00, L’intellettuale dissidente: la guerra colpa della Nato? È propaganda del Cremlino che viene amplificata. In realtà un uomo solo vuole annientare un Paese, Roberto Saviano

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