di Paola Di Caro
La leader di Fratelli d’Italia: il mio problema è la serotonina, ne ho troppo poca e quindi è come se non fossi mai serena. Intorno a me c’è astio, diventare madre però mi ha reso più sicura. Solo la fobia per gli scarafaggi è rimasta…»
Negli ultimi cinque anni ha avuto la gioia di diventare madre di una desideratissima bambina; la soddisfazione di portare Fratelli d’Italia dal 3 al 22%, per i sondaggi oggi primo partito in Italia; il riconoscimento di guidare il partito Conservatore europeo; insieme l’onere e l’onore di una grandissima popolarità che spazia dai titoli del New York Times all’infinità di meme (insulti compresi) a lei dedicati; perfino un successo editoriale anomalo per un’autobiografia scritta a soli 44 anni, Io sono Giorgia. Quasi tutto, insomma.
Ma a Giorgia Meloni ancora due cose mancano. E su entrambe è difficile che si arrenda: la prima è il riconoscimento da parte degli alleati del suo diritto ad aspirare alla premiership. La seconda è la serotonina. Che c’entrano l’una con l’altra lo si capisce mentre parla per due ore praticamente di tutto, sul divano del suo ufficio a Montecitorio con vista sui tetti mozzafiato di una Roma già afosa, tra un caffè, l’ininterrotto vibrare del cellulare, le sollecitazioni del suo staff — la portavoce Giovanna Ianniello, la segretaria Patrizia Scurti, donne essenziali per lei — a «sbrigarsi, facciamo tardi!» ad uno dei continui appuntamenti che scandiscono la vita di questa donna così granitica nelle sue convinzioni anche ideologiche — «Vesto e uso solo marchi italiani» detta — e insieme a tratti disarmante: «La verità è che mi sono sempre sentita inadeguata. Come se avessi ogni giorno “sfangato” in qualche modo l’esame di maturità. Come se non bastasse mai quello che faccio, e dovessi fare meglio, e meglio, e meglio. Però forse è la mia fortuna: mi fa stare con i piedi per terra, non mi fa perdere il senso delle cose e della realtà. Quello che accade a tanti, quando arriva il “successo”».
Nel suo libro, scritto quando i numeri di FdI erano già in crescita, lei si chiede: «Cosa voglio fare?». La risposta oggi è «il premier»?
«La verità è che io sono un soldato. Non ho mai detto “voglio fare questo”, che fosse il segretario del movimento giovanile, il deputato o il ministro. Mi ci sono ritrovata. E qualunque cosa stia facendo, penso sempre che vorrei essere da un’altra parte».
Però lei sa bene che il momento per provarci è ora.
«Io so che non sono un paria e che non voglio essere considerata come tale. Alle condizioni date, non voglio andare al governo a tutti i costi, ma penso che FdI, Meloni – noi insomma -, possiamo fare un bel lavoro per la Nazione. E penso che non possano esistere dei no pregiudiziali: non siamo inferiori a nessuno. Abbiamo affrontato una pandemia con Speranza alla Salute, una guerra con Di Maio agli Esteri, la tragedia di un ponte crollato con Toninelli alle Infrastrutture: e il problema sarebbe l’inadeguatezza di Fdi? Se fossero gli ultimi governi un parametro di riferimento della capacità e preparazione necessarie, noi potremmo governare a occhi chiusi. Ma noi pretendiamo di più».
I suoi alleati sono gelidi però. Lei ha sempre detto che essere donna non l’ha discriminata in politica, lo direbbe ancora?
«Diciamo che le reazioni che ho avuto io quando gli altri erano molto più forti di me – prima Berlusconi, poi Salvini – sono ben diverse da quelle che percepisco ora, quasi di astio… Non so se si tratti di misoginia, di antipatia, sicuramente c’è una rigidità innaturale. Poi però non credo che quella rigidità arriverà fino al sostegno a una ipotesi di proporzionale, che avrebbe come unico obiettivo – dichiarato – quello di colpire e provare a isolare FdI».
La sua provenienza dal Movimento Sociale è il fattore decisivo?
«No, non lo credo. E non lo crede davvero neanche chi lo dichiara. Chiunque abbia un minimo di senno e onestà intellettuale non può seriamente sostenere che io sia un pericolo per la democrazia. Ho i miei toni, i miei modi. E le mie proposte frutto di lavoro, studi, dati e conoscenza del mondo reale, non di ideologia. Possono essere non condivisibili da tutti, ma sono rispettabili e devono essere rispettati».
E, torniamoci, è donna. Anche madre di una bambina di 5 anni, Ginevra: da quando è nata la crescita sua e di FdI è stata esponenziale: un caso?
«No, non credo. La maternità mi ha cambiata, perché i figli per una madre – e credo anche per i padri – entrano in ogni aspetto della vita e ti fanno capire il valore delle cose. Per una donna poi, sicuramente per me che organizzo, imposto, mi prendo cura di ogni aspetto della vita di mia figlia, le arrabbiature, le tensioni, le insoddisfazioni, le delusioni, si sono tutte ridimensionate. I terrori quotidiani li ho superati, tranne per gli scarafaggi che sono una fobia vera! Sono sempre stata coraggiosa, ma ora sono coraggiosissima. Non voglio perdere tempo, non posso sprecare energie: quando torno a casa la sera e guardo mia figlia, e sta bene, ed è felice, penso: ecco, questo conta. Contano le cose importanti, nella vita di tutti noi. E la fermezza nei comportamenti, la concretezza, il senso dei valori di una madre sì, possono essere un di più in politica. Che manca».
Il vecchio detto «dietro ad un grande uomo c’è una grande donna» vale al contrario anche per lei?
«Certamente sì. Andrea (Giambruno, giornalista e conduttore Mediaset, ndr) è un padre fantastico, presentissimo. Passa a Milano una settimana al mese, ma quando è qui lavora quasi sempre di sera e durante il giorno sta molto con Ginevra. Ci alterniamo, ci aiutiamo, ci completiamo».
Gli chiede consigli, pareri?
«Lo coinvolgo, sì, ma non troppo. Quando siamo assieme cerco di lasciare fuori la politica, di staccare. Non è facile: lui segue tutti i talk, io passo davanti: “Ancora co’ la politica? Ti prego, cambia, non ne posso più!”, gli dico. A volte litighiamo perché nemmeno lo avverto prima di cosa faccio, dove vado: ha saputo che sarei andata a parlare in America due giorni prima, che c’era la Convention a Milano assieme ai giornalisti…».
Lei dice di non essere in competizione con le donne, ma nemmeno così sodale, sembra, con le colleghe. È vero?
«Non ho nessun problema, ci mancherebbe. Anche con le colleghe di partiti avversari: ricordo che Roberta Pinotti quando rivelai di aspettare un figlio mi mandò in regalo delle scarpine da neonato; mi sta simpatica Valeria Fedeli, scherzo spesso con Simona Malpezzi. Non guardo il sesso per entrare in empatia e nemmeno la parte politica per avere stima di una persona. Dovessi “rubare” qualcuno agli avversari sarebbe Roberto Giachetti, persona meravigliosa. E ho sempre avuto grande stima per Fausto Bertinotti, lontanissimo da me, ma crede in quello che dice. E questo conta». Va molto d’accordo anche con Enrico Letta, lei stessa definì il vostro rapporto come quello «tra Sandra e Raimondo».
È il sigillo di un nuovo bipolarismo o addirittura l’ipotesi di una strana alleanza futura?
«Quella volta sbagliai battuta. Avrei dovuto dire “sembriamo Don Camillo e Peppone”, mi vennero in mente Sandra e Raimondo, il che ha provocato letture in chiave da “amorosi sensi”, come se la donna dovesse essere sempre accoppiata a un uomo per contare. Ovviamente no, non esiste alcuna ipotesi di alleanza possibile futura. Sono orgogliosa di aver sempre detto che non governeremo mai col Pd e di averlo fatto. Il confronto con Letta è quello che dovrebbe essere normale in una democrazia matura, certo non la ricerca di una legittimazione, che non ho mai chiesto alla sinistra. E che non serve: chi ti legittima è sempre il voto degli elettori, anche quando scelgono un partito guidato da un comico come Grillo, per citare chi è lontanissimo da me».
Anche Draghi è ancora così distante da lei?
«Di lui penso quello che pensavo prima, anzi un po’ peggio. Perché ha dimostrato che non si governa senza il Parlamento e non si governa senza gavetta, anzi si rischia di perdere l’autorevolezza conquistata: è capace, è intelligente, ma non è miracoloso».
Tra un anno si vota, e lei parte in pole position: cosa direbbe alla bambina insicura, testarda, a volte sola e bullizzata – come racconta nel suo libro – se la incontrasse oggi?
«Difficile… Forse le chiederei “ma perché non sei mai contenta”?».
Oggi lo ha capito?
«Sì, da poco. È scritto nero su bianco, sul test del Dna che ho appena fatto, e che mi permetterà di migliorare con specifici integratori: ho i valori massimi di adrenalina e dopamina, fondamentali per l’eccellenza e la resistenza, ma minimi di serotonina, che permette l’adattamento. È come se non fossi mai serena, come se volessi stare sempre in un altro posto…».
A Palazzo Chigi?
«(Ride) E ti pare che non finivamo lì!».
11 giugno 2022 (modifica il 11 giugno 2022 | 16:20)
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, 2022-06-11 22:44:00, La leader di Fratelli d’Italia: il mio problema è la serotonina, ne ho troppo poca e quindi è come se non fossi mai serena. Intorno a me c’è astio, diventare madre però mi ha reso più sicura. Solo la fobia per gli scarafaggi è rimasta…», Paola Di Caro