Giuseppe Lavazza: «Non è facile seminare a Torino, il terreno è secco da troppi anni. Ma bisogna insistere»

di Luca Iaccarino

E sulla sede storica in via san Tommaso 10: «Sarà una bella sorpresa»

Non c’è imprenditore innamorato di Torino più di Giuseppe Lavazza. Forse non c’è torinese più appassionato di questa città, nella quale l’azienda di cui è vicepresidente – così come il cugino Marco – investe dal 1895. È evidente nei fatti – il grande headquarter in via Bologna, il ristorante Condividere, la Factory a Settimo Torinese, l’adesione a tutti i grandi eventi – ma anche glielo si legge in faccia: quando parla di Torino si appassiona, si infervora. Orgoglioso, ma non cieco, vede tanto ciò che va bene, quanto ciò che va sistemato. Così, prendendo un caffè nella luminosa caffetteria della Nuvola, parte con una analogia agricola, adatta ai tempi: «Non è facile seminare a Torino, il terreno è secco da troppi anni, si è indurito. Ma bisogna insistere a farlo, perché questa città è un setting fantastico, andrebbe curata come un giardino». «Ma come si fa?», gli chiediamo. «È complesso, mi rendo conto, e sono tempi difficili. Ma bisognerebbe occuparsi di Torino un pezzo alla volta, risistemandolo con attenzione».

Aiuteranno i soldi del PNRR?
«Quelli sono benzina: servono, certo. Ma la benzina fa il proprio dovere se il motore è efficiente, se il serbatoio non perde, se lo scappamento non inquina. Io penso che il compito dell’amministrazione sia creare il contesto, le condizioni, ma risistemare Torino spetta a tutti gli attori del territorio. Sono necessari tre elementi: collaborazione, una prospettiva di lungo periodo e un lavoro organico, equilibrato, che faccia crescere la città pezzo per pezzo».

Parlando di quartieri: cosa ne pensa dell’edizione di Terra Madre a Parco Dora?
«È stata sicuramente una scelta coraggiosa, e quell’area ha potenzialità espressive molto forti ma ancora tanti limiti. Io sono molto d’accordo con l’idea di una Terra Madre all’aperto, che permei la città, ma personalmente rimango molto affezionato all’edizione al Valentino, che è un luogo al contempo romantico, aulico e bello grazie a tutto il verde che lo arreda».

Torino ambisce a essere una destinazione per gli appassionati di cibo, lo è?
«Dico sempre: Torino deve essere la vetrina di tutto il Piemonte, dei sapori di Langa, ma anche del Monferrato, dell’Alessandrino… Anche in questo caso ci vorrebbe un piano strategico: il Quadrilatero Romano, San Salvario, Piazza Vittorio sono vocate alla ristorazione, alla somministrazione? Bene, organizziamole come si deve. Abbiamo milioni di metri quadri lasciati dall’industria? Rendiamoli attrattivi per chi produce agroalimentare. Alcuni quartieri hanno immobili con prezzi bassi? Sono ideali per attrarre giovani, studenti, come fece Berlino».

Il tema dell’attrattività riguarda anche il know-how: da anni voi collaborate con grandi nomi della gastronomia, da Ferran Adrià ad Alain Ducasse fino a Davide Oldani (che in questi giorni sono tutti e tre ospiti della manifestazione Buonissima). Cosa insegnano persone così?
«Ad investire sul proprio territorio con passione: tutti e tre hanno costruito, creato scuole, centri ricerca, Oldani ha rivoluzionato il comune dove ha il ristorante, Cornaredo. E i loro territori gliene danno atto: Ducasse in Francia è un’icona, un mito. Anche l’Italia, anche Torino dovrebbero andare orgogliose dei propri alfieri».

Sono in corso le trattative per portare in città la cerimonia dei 50 Best Restaurants: gli eventi sono un volano?
«Certo, come le ATP Finals: gli eventi non solo portano persone da fuori ma spingono questa città a confrontarsi con gli altri, ad alzare l’asticella. Avere 50 Best andrebbe certamente in questa direzione».

Lavazza ha in piedi un grande progetto sulle colazioni: Torino è ancora la città dei bar, come un tempo?
«Oggi investire nei bar è molto difficile, ai problemi del passato si sommano quelli del reperimento del personale. Ma Torino rimane una città in cui ci sono grandi bar, che sono quelli accoglienti, che fanno qualità, che ci tengono. L’unione tra bar e pasticceria, oggi, mi sembra la scelta che dà maggiori soddisfazioni».

Mercoledì alla Centrale Lavazza è stato assegnato a Massimiliano e Raffaele Alajmo – chef e maître del ristorante Le Calandre di Sarmeola di Rubano – il Premio Bob Noto, intitolato al celebre gastronomo e dedicato all’ironia. Lo humor rimane un tratto distintivo dei torinesi?
«Bob era quel tipo di torinese signore e ironico che sa prendere la vita con leggerezza. Ancora ce ne sono persone così, e sono preziose: bisogna sperare di incontrarle, e avere la fortuna di diventarne amici».

La vostra sede storica, il San Tommaso 10, è ora un cantiere. Cosa succederà?
«Posso solo dire che sarà una bella sorpresa».

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27 ottobre 2022 (modifica il 27 ottobre 2022 | 21:22)

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, 2022-10-28 09:44:00, E sulla sede storica in via san Tommaso 10: «Sarà una bella sorpresa», Luca Iaccarino

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