politeia Mezzogiorno, 16 ottobre 2022 – 08:38 È quanto mai necessario dunque che il centrodestra di governo non confermi nelle scelte dei ministri l’immagine nordista che gli viene attribuita di Antonio Polito Quando il governo Meloni nascerà, non vorremmo che la sua punta più meridionale fosse la Garbatella, quartiere del Sud della capitale nel quale è cresciuta e si è formata la futura premier. Lo diciamo perché nelle liste di ministri che circolano, e nelle polemiche politiche interne al centrodestra che accendono, non ci sono molti nomi di esponenti della politica, del lavoro o della cultura meridionali. Anzi, se non abbiamo letto male, ce ne sono solo tre: Edmondo Cirielli, Raffaele Fitto e Antonio D’Amato. Il primo è un politico di non primissimo piano e con una limitata esperienza di governo: tre anni di presidenza della provincia di Salerno, peraltro non memorabili. Il secondo è invece già stato ministro, sia alla Coesione, cioè al Mezzogiorno, seppure per poco più di un anno, sia ai rapporti con le regioni; oltre ad aver ricoperto la carica di presidente della regione Puglia nei primi anni Duemila. Fino a ieri, da parlamentare europeo, è stato uno degli architetti della «svolta» di governo di Giorgia Meloni, avendo portato FdI nel gruppo dei Conservatori europei, e «salvandola» dalle alleanze populiste con Salvini e Le Pen. Il terzo nome non è quello di un politico ma di un imprenditore, e però con un curriculum nella vita pubblica già molto denso, essendo stato presidente della Confindustria nei difficili anni dal 2000 al 2004, presidente della università Luiss, presidente della Federazione dei Cavalieri del lavoro. Cominciamo con il fare un’osservazione numerica: tre ministri provenienti dal Mezzogiorno sembrerebbe davvero pochi. Non ne facciamo una questione di campanile, ma politica. Nell’ultima consultazione l’elettorato meridionale ha espresso una forte critica al sistema politico, sia sotto forma di astensione, qui più alta che altrove, sia sotto forma di voto per i Cinquestelle, esplicitamente declinato quasi come se dalla politica non ci si potesse aspettare più niente se non qualche aiuto, un sussidio, il reddito di cittadinanza. Abbiamo cioè un Mezzogiorno all’opposizione. Che è una rarità nella storia patria. Sarebbe molto preoccupante se questo coagulasse una separazione tra un Nord che ha votato centrodestra e un Sud che ha scelto M5S. È quanto mai necessario dunque che il centrodestra di governo non confermi nelle scelte dei ministri l’immagine nordista che gli viene attribuita, sia per la presenza della Lega sia per la proiezione sempre più settentrionale del voto a Fratelli d’Italia. Da questo punto di vista non giova lo scontro che Berlusconi, nella difesa estrema di Licia Ronzulli, ha provocato con Giorgia Meloni; perché potrebbe indebolire ancora di più la voce di una componente, quella azzurra, che almeno una tradizione di radicamento al Sud ce l’ha (anche se è una storia in gran parte finita). Sappiamo bene che i ministri non possono essere assegnati con le quote, e che la prima ragione di questa scarsità sta nella decadenza di una classe politica meridionale sempre più locale, provinciale, chiassosa ma improduttiva. Sentire ieri il presidente De Luca insultare seconda e terza carica dello Stato, chiamando Fontana un «troglodita» e dibattendo sul modo di vestire di La Russa, ci ha penosamente ricordato il livello del dibattito politico che si svolge oggi a sud del Garigliano. Però, anche considerato tutto questo, resta interesse del governo Meloni dare un segnale al Mezzogiorno di attenzione e serietà, a partire dal numero dei ministri. E, poi, soprattutto, di saper elaborare e presentare una strategia meridionalistica che non sia soltanto la retorica sul Sud al centro del Mediterraneo e dei futuri traffici di gas, perché non è certo questo che dà lavoro e sviluppo. Bisogna inoltre che vengano subito confermate le percentuali di vantaggio che il Pnrr riserva oggi al Mezzogiorno, e tutto questo può essere fatto più credibilmente se viene messo sulle gambe di donne e di uomini del Sud. In questo senso la scelta di Antonio D’Amato darebbe garanzie: sappiamo che la proposta gli è stata fatta e che, a differenza di altre occasioni, l’interessato è consapevole del momento cruciale nella vita del Paese e della necessità che le élite, anche del Mezzogiorno, si mobilitino per uscirne al meglio. Vedremo se l’offerta si concretizzerà, se verrà accettata, e in quale ministero. Ma d’altra parte non vogliamo neanche mettere sulle spalle pur capaci del solo D’Amato il compito di mettersi in marcia che spetta alla società civile meridionale. E ci piacerebbe che altri segnali netti venissero dati. Se non prendendoli dalla politica, che come abbiamo detto offre poco a parte i due nomi di Cirielli e Fitto, nel vasto campo del lavoro, della cultura, della ricerca e dell’università, nel quale invece il Sud può offrire contributi e personalità di assoluto rilievo. 16 ottobre 2022 | 08:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-10-16 06:39:00, È quanto mai necessario dunque che il centrodestra di governo non confermi nelle scelte dei ministri l’immagine nordista che gli viene attribuita,