Gps, se il sistema del ministero ha tagliato le domande non c’è rimedio

di Carlo Forte

Se il sistema informatico dell’istruzione cancella pezzi della domanda di inclusione nelle Gps, non c’è niente da fare. Anche se ciò comporta l’esclusione dalla graduatoria. A meno che l’interessato non sia in grado di provare il malfunzionamento del sistema. A nulla rilevando che al ricorrente, di fatto, sia precluso l’accesso ai mezzi di prova. Perché il sistema gestisce milioni di operazioni e l’accertamento degli errori non è alla portata dei semplici cittadini. È quanto si evince da una sentenza emessa dal Tar della Basilicata il 3 dicembre scorso (760/2020). Il caso riguardava un aspirante docente, il quale aveva lamentato nel ricorso che, pur avendo compilato la domanda di inclusione nelle graduatorie provinciali per le supplenze, si era visto escludere dalla graduatoria di una classe di concorso. Perché il sistema aveva cancellato una parte della sua domanda.

Prima di adire il giudice, l’interessato aveva anche esperito un tentativo di composizione bonaria della controversia. E aveva presentato un’istanza alla quale aveva allegato una certificazione rilasciata dalla stessa amministrazione scolastica recante i dati mancanti. Ma l’ufficio scolastico aveva rigettato il reclamo. Anche perché il sistema è stato programmato in modo tale da non consentire integrazioni delle domande da parte degli aspiranti docenti interessati. Di qui l’esperimento dell’azione giudiziale che terminava con il rigetto e la condanna alle spese del ricorrente: 1.500 euro + 325 euro di contributo unificato. Non si tratta, peraltro, di un caso isolato. Tant’è che la questione è stata fatta oggetto anche di un’interrogazione parlamentare alla quale la ministra Azzolina non ha ancora dato risposta, pur essendo stata presentata l’8 ottobre scorso. (si veda ItaliaOggi del 3 novembre).

Prima di entrare nel merito della decisione, i giudici amministrativi hanno respinto un’eccezione procedurale, mossa dall’amministrazione convenuta, dichiarando la propria giurisdizione sulla materia. Citando la giurisprudenza delle Sezioni unite, il Tar Basilicata ha spiegato che la giurisdizione del giudice ordinario comprende solo gli atti di gestione delle graduatorie. Mentre, in questo caso, si trattava di «vizi attinenti ad una procedura finalizzata alla sua formazione, avente connotati tipicamente concorsuali». In altre parole, anche le Gps sono comprese nella nozione di concorso. E quindi le relative controversie rientrano a pieno titolo nel perimetro della giurisdizione del giudice amministrativo. Nel merito, invece, i giudici amministrativi hanno ritenuto che a questo genere di controversie non si applichi la normativa sul soccorso amministrativo (art. 6 della legge 241/90), per integrare successivamente le domande incomplete. Perché sebbene la procedura finalizzata alla formazione di una Gps ha «connotati tipicamente concorsuali», secondo il Tar Basilicata, il soccorso amministrativo «non si applica nei procedimenti selettivi» perché ciò violerebbe il principio della par condicio. Affermazione, questa, che contrasta con l’orientamento del Consiglio di stato, secondo il quale, ai candidati dei concorsi va sempre data la possibilità di integrare le domande. Perché ciò è funzionale all’interesse dell’amministrazione di assumere i candidati più meritevoli (si veda la sentenza della V sezione del Consiglio di stato 7975/2019).

Il Tar Basilicata, infine, ha dichiarato che l’onere di provare il malfunzionamento del sistema ricade in ogni caso sul ricorrente. E siccome non era stata fornita tale prova, ha rigettato il ricorso condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese, sebbene sia prassi che la novità della materia giustifichi la compensazione. La pronuncia del Tar pone in evidenza una falla nella normativa sul procedimento amministrativo. Che non prevede espressamente il diritto dei cittadini, che partecipano alle procedure selettive finalizzate al reclutamento nella pubblica amministrazione, di integrare le domande incomplete. Anche se ciò, secondo la giurisprudenza del Consiglio di stato (vedi sopra) confligge con il principio di buona amministrazione, atteso che: «Il danno, prima ancora che all’interesse privato, sarebbe all’interesse pubblico, considerata la rilevanza esiziale della corretta selezione dei dipendenti pubblici per il buon andamento dell’attività della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.)».

Il permanere di questa situazione induce a dubitare della legittimità costituzionale dell’articolo 6 della legge 241/90. Che sembrerebbe in contrasto con l’articolo 97 della Costituzione nella parte in cui non prevede il diritto di invocare il cosiddetto soccorso amministrativo in materia di reclutamento nella p.a. I costi esorbitanti dell’accesso alla giustizia amministrativa, peraltro, scoraggiano i diretti interessati ad esercitare il proprio diritto ad esperire l’azione giudiziale. Tanto più che la riforma del codice di procedura ha gravato le soccombenze in giudizio anche del carico delle spese legali della controparte.

Pietro Guerra

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