Grandi (Onu): «In Ucraina dramma colossale, senza casa in 5 milioni. Crisi politica peggiore del post ‘45»

L’Alto commissario Onu per i rifugiati: «Alle frontiere arrivano persone nella disperazione, traumatizzate. Lì si separano e gli uomini tornano indietro: terribile»

dal nostro corrispondente a Berlino
«Noi ci proiettiamo nello scenario peggiore. Ci sono oltre cinque milioni di persone in Ucraina, il 10%-15% della popolazione, che sono state costrette fuori di casa. Di queste, più della metà sono già fuori dal Paese ma a questo ritmo saranno 3 milioni
entro un paio di giorni. Noi continuiamo a esser presenti sul territorio ucraino e possiamo dire che ci sono al momento almeno 2 milioni di persone in movimento verso Ovest, dove i bombardamenti fra l’altro sono in crescendo minacciando tra l’altro anche quelle già sfollate. Un terzo dei 40 milioni di abitanti dell’Ucraina è in una situazione disperata dal punto di vista dei bisogni in conseguenza della guerra.
La cosa più stupefacente è che questo quadro si è materializzato in solo due settimane, non in cinque anni». Filippo Grandi è l’Alto Commissario dell’Onu per i Rifugiati.

È la crisi di rifugiati più grande dalla Seconda Guerra Mondiale.
«Sicuramente. Nei Balcani, anche sommando tutto dalla Bosnia al Kosovo, non si è arrivati a queste cifre e in più successe tutto nell’arco di otto anni».

Lei ha visitato diverse frontiere: Polonia, Moldavia, Romania. Cos’ha visto?
«Difficile anche descriverlo. È un fiume in piena di persone, una valanga di cui non vedi l’inizio e la fine.
È una massa cupa, fatta di esseri umani traumatizzati, soprattutto dalla velocità in cui sono precipitati nella disperazione. Ti raccontano che una settimana fa la loro era una vita normale. Vengono in maggioranza dalle città, è classe media che fino all’altro giorno mandava i bambini a scuola, lavorava. Sono sotto shock. Al confine moldavo mi ha colpito molto il fatto che gli uomini ucraini accompagnano le famiglie fino alla frontiera, poi tornano indietro a combattere. Queste separazioni sono state una delle cose più drammatiche e terribili che abbia mai visto: si lasciano e non sanno se si rivedranno mai più. Quelli che passano sono donne, bambini e anziani, qualche disabile».

Ha parlato di «distribuzione naturale», nel senso che i profughi vanno verso posti dove hanno agganci, parenti o amici?
«Sì. Ed è una fortuna che gli ucraini abbiano tantissime connessioni in Europa, dove ci sono comunità numerose e ben radicate. In questo senso il loro inserimento temporaneo è più facile, non c’è bisogno almeno per ora di grandi centri di accoglienza. Dobbiamo vedere come si sviluppa il movimento. Se i russi continueranno a bombardare, specie le città, spostandosi verso Ovest come avviene in queste ore, vedremo altre ondate di persone in fuga, per esempio dalla zona di Leopoli verso Polonia e altri Paesi. Ma tutto sommato c’è una rete in Europa che rende relativamente meno difficile per gli Stati assorbire i profughi».

Qual è la parte più importante del lavoro vostro e degli altri umanitari in questa fase?
«Dobbiamo restare in Ucraina finché possiamo. Da qualche giorno siamo stati costretti a spostare il nostro quartier generale a Leopoli, a Kiev non era più possibile rimanere. Riusciamo ad aiutare le persone nell’Ucraina occidentale e siamo pronti a intervenire se si apriranno finalmente i corridoi umanitari. Abbiamo potenziato un canale logistico di trasporto dalla Polonia all’Ucraina. Ma possiamo andare solo dove c’è sicurezza. Poi abbiamo già pronti i convogli per entrare a Mariupol o nelle città assediate nel momento in cui si materializzeranno i corridoi, su cui negoziano Mosca e Kiev. Ne hanno parlato ad Antalya i ministri degli Esteri, ma al momento da parte russa la logica di guerra prevale su quella umanitaria».

L’Europa sta reagendo in modo unito, aprendosi all’accoglienza. Dopo anni, abbiamo scoperto che siamo in grado di prendere qualche milione di rifugiati senza problemi.
«Sono molto contento che alla fine l’Europa abbia capito due cose. La prima è che un’emergenza rifugiati colossale, molto più grande di quella del 2015, è gestibile, cosa che l’UNHCR dice da anni. La seconda è che si può fare se gli Stati cooperano come sta accadendo ora. Spero solo che quando questo immane disastro sarà terminato, e non so dire quando, la lezione che l’Europa sta imparando sotto la pressione dell’Ucraina verrà applicata in futuro anche in altre crisi, grandi e piccole. Questo è il modello da seguire: lavoro comune, condivisione, solidarietà. Insieme possiamo far fronte all’impossibile».

È giusta la scelta della «protezione temporanea» offerta dall’Ue?
«Sì, perché consente agli ucraini di muoversi legalmente attraverso l’Unione e favorisce quella distribuzione naturale di cui parlavo prima. Il problema è che se i numeri crescessero ancora e arrivassero persone con meno legami e meno risorse, allora dovrebbe essere l’Europa a stabilire le ripartizioni fra Stati membri. Non è un discorso attuale, ma dobbiamo prepararci. Altrimenti rischieremmo che Polonia e altri Paesi limitrofi diventino quello che Italia e Grecia sono stati per anni: Stati di frontiera che sostengono l’essenziale dell’accoglienza, ma con numeri ancora più drammatici».

Ci sono stati però brutti episodi di discriminazione e respingimenti di rifugiati che venivano dall’Ucraina, ma avevano la pelle scura. L’Economist ha parlato di razzismo. Può confermarli?
«Nei primi giorni ci sono stati episodi di questo genere ad alcune frontiere. Noi non abbiamo potuto esser presenti in tutte sin dall’inizio perché la crisi è precipitata in modo repentino. Ho posto molte domande soprattutto in Polonia, dove questi fatti sono stati riportati. Credo però sia importante che il governo polacco sin dall’inizio abbia detto che non era quella la sua linea e che la decisione era di far passare tutti. Quei casi vanno condannati. È possibile anche che ci siano stati episodi in Ucraina stessa: persone di diversa etnia cui è stato impedito di salire su treni o autobus. Nessuna giustificazione ovviamente. Il razzismo va sempre condannato, anche in contesti così drammatici. Spero però che questa fase sia superata».

Quale è l’anello più debole nelle operazioni per i rifugiati?
«La sfida logistica è senza precedenti. Stiamo chiedendo agli Stati non solo aiuto finanziario, ma anche logistico per trasportare e organizzare. C’è grande solidarietà privata oggi in Europa: cibo, medicine, vestiario. La gente fa a gara a portarli. La vera sfida sarà sostenerla nel tempo. Se i numeri com’è probabile crescono, sarà necessario un forte aiuto pubblico dei governi aumentando ulteriormente l’appoggio internazionale attraverso l’Ue, l’Onu e altri canali».

Quali sono i Paesi che hanno più problemi con la capacità di accogliere?
«La Moldavia è molto esposta, non solo alla crisi dei rifugiati. Se venisse attaccata Odessa, che ha 1 milione di persone, ci sarebbe un’ondata in quella direzione. Ed è un Paese molto fragile, sotto ogni aspetto. L’appello che mi hanno consegnato le autorità moldave è stato accorato: aiutateci. Per fortuna molti di quelli che passano in Moldavia vanno direttamente in Romania».

Cosa succederà?
«La difficoltà di previsione è la cosa più drammatica. Può succedere che ci siano altri 3 o 4 milioni di rifugiati, già una catastrofe. Può succedere che si mettano d’accordo per una tregua: cosa vorrà dire? Che rientreranno alcune persone? Oppure ci sarà un’avanzata completa della Russia in Ucraina e allora non saranno più donne e bambini, ma anche gli uomini a passare le frontiere? Voglio dire che gli scenari sono tutti complessi e difficili da gestire. Su questa scala, le complicazioni per noi sono enormi».

In questo momento la crisi ucraina cattura giustamente tutta la nostra attenzione. Ma non rischiamo di dimenticare cosa succede su altri fronti dell’’immigrazione, come Mediterraneo e Balcani? Lei è in partenza per l’Afghanistan: è un segnale?
«È logico e giusto in questa fase concentrarsi sull’Ucraina. Ma distrarsi dagli altri fronti è il grande timore. Siamo in contatto con governi africani, con quelli di Paesi in crisi e siamo preoccupati che tutte le risorse si spostino verso l’Ucraina. Avevo programmato da tempo il viaggio in Afghanistan e mi sono chiesto se fosse il caso di farlo in questo momento. Ma ho deciso di partire perché è importante dare un segno che almeno noi dell’Onu continuiamo a occuparci anche di altre crisi. C’è comprensione di questo, abbiamo parlato con i nostri interlocutori europei. Ma poi bisogna farlo concretamente, perché le energie assorbite dalla crisi ucraina saranno colossali».

Reggeremo? Come usciremo da questa crisi?

«Mi chiedo come torneremo a parlarci in presenza di una frattura così profonda. Sarà difficilissimo ricucire il dialogo internazionale, che perfino alla fine del 1945 c’è stato. Ci fu dialogo anche nella crisi di Cuba, nel momento in cui si è andati più vicini alla catastrofe. Ho timore che questa sia una divisione senza precedenti. L’architettura del Dopoguerra è ormai rotta e bisognerà reinventarla, se no la pace non la faremo più».

13 marzo 2022 (modifica il 13 marzo 2022 | 20:56)
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, 2022-03-13 19:58:00, L’Alto commissario Onu per i rifugiati: «Alle frontiere arrivano persone nella disperazione, traumatizzate. Lì si separano e gli uomini tornano indietro: terribile», Photo Credit: , Paolo Valentino

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Pietro Guerra

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