Ancora giorni di guerra tra Israele e Hamas. In queste ore migliaia di persone stanno lasciando le proprie abitazioni a Gaza City e si stanno dirigendo a Sud, in seguito all’avvertimento dell’esercito israeliano secondo cui il Nord della Striscia diventerà zona di operazioni militari. Una marcia di almeno 10 chilometri intrapresa da famiglie intere. Chi non dispone di mezzi di trasporto sta procedendo a piedi con i bagagli.
In questi giorni anche i nostri studenti, come noi, vedono coi loro occhi le bombe, le macerie e la morte. Ancora e senza aver mai smesso di vedere anche un altro conflitto più vicino, quello in Ucraina. E’ naturale che si attendano una spiegazione da parte dei loro insegnanti, perché è la scuola il luogo nel quale essi sono istituzionalmente chiamati ad apprendere.
Gli eventi terribili di questi giorni e, più in generale, di questo ultimo anno e mezzo, sono un’occasione importante per rendere più efficace e coinvolgente l’insegnamento e l’apprendimento di concetti cardine di una convivenza civile e pacifica tra i cittadini e tra i popoli. E per parlare perciò anche di nazionalismo e internazionalismo, autocrazia e democrazia, società aperte e chiuse, diritti umani e diritto positivo (quello che Antigone si è rifiutata di rispettare), giustizia, libertà “di” e “da”, bene e male nelle loro diverse accezioni. Vivere insomma la storia, la filosofia, il diritto, la letteratura, la scienza, il patrimonio culturale nel suo complesso non come una arida sequela di nozioni ma come materie viventi, attuali, da capire prima ancora che da studiare.
Sarebbe anche un modo per ridare forza alla relazione educativa: riflettere in classe su questi temi a partire da quanto sta accadendo in Ucraina, nel cuore dell’Europa, e in Palestina sarebbe anche un modo pedagogicamente efficace per dare finalmente corpo e linfa vitale all’ectoplasma dell’Educazione civica.
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