Guerra Ucraina, tre mesi dopo come sono cambiati gli obiettivi per Russia, Stati Uniti, Europa e Kiev

di Francesco Battistini, Andrea Marinelli, Stefano Montefiori, Guido Olimpio, Giuseppe Sarcina, Paolo Valentino

Sono passati tre mesi da quando le truppe russe hanno varcato il confine la notte del 24 febbraio ed è cominciata l’operazione militare «speciale» di Vladimir Putin: come saranno, ora, i prossimi tre mesi?

Sono passati tre mesi esatti da quando le truppe russe hanno varcato il confine la notte del 24 febbraio ed è cominciata l’operazione militare «speciale» di Vladimir Putin, un’invasione dell’Ucraina con l’obiettivo — secondo il presidente russo — di «denazificare» il Paese e proteggere la popolazione russofona. Da allora sono passati 90 giorni, durante i quali migliaia di soldati sono morti da entrambe le parti, e i piani dei due contendenti sono mutati più volte adattandosi al campo: quali sono oggi gli obiettivi di Kiev, Mosca, Washington e Bruxelles, oltre a quelli militari?

L’Ucraina

(Francesco Battistini, inviato a Kiev) L’unità contro il nemico non si discute. L’unanimità su come sconfiggerlo, però, è un’altra cosa. Il fronte Ucraina non si spacca, ma un po’ si crepa. E qualche segnale s’intravvede nelle dichiarazioni del presidente Volodymyr Zelensky, talvolta in contrasto con quelle del suo stesso staff. Primo caso: riconquistare militarmente la Crimea costerebbe all’Ucraina «centinaia di migliaia» di morti, dice Zelensky? Macché, spiega meglio la sua viceministra degli Esteri, Emine Dzhaparova, «per noi la fine di questa guerra è la fine dell’occupazione russa sia della Crimea che del Donbass». E ancora: i russi «hanno rispettato le vite dei difensori di Mariupol», aggiunge «Ze», facendo intendere che almeno sui prigionieri di guerra si può aprire una trattativa con Mosca? Il suo capo negoziatore Mikhaylo Podolyak è chiaro, quando esclude qualsiasi tavolo e precisa che non è barattabile «né la nostra sovranità, né il nostro territorio e gli ucraini che ci vivono».

Sfumature, naturalmente, anche se la linea di Kiev è esplicita sul fatto che qualunque dialogo sia subordinato al ritorno dei confini di prima dell’invasione. Più vaga l’opinione sulla Crimea, scippata dai russi nel 2014: gli ucraini non vi rinunciano, a parole, ma Zelensky sa che al momento è difficile metterla sul piatto d’un negoziato, men che meno lanciare un’offensiva per riprenderla. Pure la scena politica interna mostra qualche divisione: dopo tre mesi di quasi silenzio, è tornato a farsi vivo l’eterno arci-nemico di Zelensky, l’ex presidente Petro Poroshenko, il «re del cioccolato», che intervistato dal Financial Times ha ricordato come l’unità degli ucraini abbia «sorpreso» Putin, questo sì, ma «appena finirà la guerra, io sarò prontissimo ad attaccare Zelensky». I sommovimenti di Kiev non sono sfuggiti a Mosca, che ne ha approfittato rapida: l’oligarca filorusso Viktor Medvedchuk, che potrebbe rientrare in uno scambio di prigionieri, dal carcere ha mandato un video in cui rammenta «gli affari passati» tra Poroschenko e i separatisti del Donbass. Una vecchia storia di presunte tangenti e carburante che è già costata all’ex presidente l’accusa di tradimento, da parte della magistratura ucraina, e che ora rispunta per un motivo nemmeno troppo nascosto: sciogliere il fronte ucraino come una tavoletta di cioccolato.

La Russia

(Paolo Valentino, corrispondente da Berlino) La Russia si prepara a una «guerra protratta» in Ucraina. Mosca ammette le difficoltà e le complicazioni dell’avanzata nel Donbass, che però attribuisce a due fattori: il rifiuto di mobilitare un maggior numero di truppe per preservare la stabilità politica interna, dando una percezione di vita normale alla popolazione e l’aiuto militare occidentale, che ha trasformato il conflitto in una guerra Russia-Nato. Secondo il politologo Dmitrij Suslov, che dirige un centro studi vicino al Cremlino, Putin e i capi militari sono tuttavia convinti si poter vincere la battaglia del Donbass anche con questo livello di truppe. Ma per i passi successivi, appare quasi del tutto ormai priva di chance la linea di chi, nel vertice russo, sostiene che una volta conquistate le due aree russofone, bisognerebbe fermarsi e cercare un accordo nei termini della Russia. Prevale invece la posizione di chi vuole una continuazione delle ostilità, con un attacco a Odessa, mirato a tagliare all’Ucraina ogni accesso al Mar Nero. Suslov sostiene che le ostilità potrebbero andare avanti anche per un anno, anche se a un certo punto ci potrebbe essere una «de-escalation» per esaustione di tutte le parti, compreso l’Occidente che è già vicino al limite, tecnico e politico, della sua capacità di rifornire d’armi Kiev. In quello che sembra un accenno di apertura, Suslov tuttavia sostiene che sono stati gli ucraini a lasciare il negoziato, mentre Mosca non ha mai abbandonato la sua posizione, basata sulle richieste di neutralità, demilitarizzazione, riconoscimento della Crimea russa e del Donbass non ucraino.

Il fronte militare

(Andrea Marinelli e Guido Olimpio) I contendenti sono preparati mentalmente ad una lotta prolungata, seppur con esigenze diverse. Mosca procede lentamente, ma senza scadenze prefissate. Diversi gli obiettivi: l’acquisizione di maggior territorio possibile nel Donbass, la protezione delle aree conquistate (con eventuale costruzione di difese stabili), la creazione di punti d’appoggio per possibili nuove offensive (passo però non obbligato), il mantenimento del blocco navale lungo la costa. I russi devono però racimolare altre forze, gli esperti non sono convinti che possano farlo senza ricorrere alla mobilitazione. Il dubbio riguarda anche la tenuta dopo aver lanciato il meglio dei suoi reparti in un’azione dispendiosa: potrebbero presto raggiungere il limite. Un buon numero di osservatori ritiene che il tempo non sia a favore di Putin, in quanto i suoi Battaglioni vincono ma si logorano. Tuttavia non mancano quanti la pensano all’opposto, ritenendo che il trascinamento della guerra d’attrito finisca per danneggiare maggiormente gli ucraini. È stato scritto di tutto sulle carenze belliche della Russia, sul declassamento delle ambizioni, tuttavia le ultime settimane hanno dimostrato che ha corretto — in parte — gli errori ed ha concentrato il proprio dispositivo su mete raggiungibili. Zelensky ha esigenze immediate e di lunga scadenza. Deve innanzitutto evitare un tracollo a est e un possibile accerchiamento, quindi ha il compito non facile di rimpiazzare, a sua volta, le perdite pesanti. Importante è sempre l’assistenza della Nato: artiglieria, missili, corazzati, elicotteri, munizioni-munizioni-munizioni sono indispensabili per frenare l’invasore e, un domani, per provare a riprendersi il «perduto». Non tutto. Nelle ultime ore il presidente è sembrato indicare dei limiti: liberare la Crimea — ha detto — vorrebbe dire un sacrificio enorme di vite.

Gli Stati Uniti

(Giuseppe Sarcina, corrispondente da Washington) L’Occidente continua a spingere. Ieri il ministro della Difesa americano, Lloyd Austin, ha annunciato che circa 20 Paesi si sono impegnati a inviare altre armi all’Ucraina, accogliendo la richiesta di Volodymyr Zelensky. In particolare il capo del Pentagono ha elogiato la «disponibilità» della Danimarca, che consegnerà missili anti-nave Harpoon, e la Repubblica Ceca, pronta a fornire elicotteri, blindati e lanciarazzi. A questo punto Kiev può contare sul sostegno di 46 Stati che si sono riuniti ieri, online, dopo il primo summit nella base di Ramstein, in Germania, organizzato dagli Usa il 26 aprile scorso. Prossimo appuntamento già fissato per il 15 giugno, a margine di un vertice tra i trenta ministri della Difesa della Nato. Sul piano politico-strategico sta prendendo forma una tendenza sempre più chiara. Le prospettive di un negoziato con Mosca restano sempre nebulose. Ma da qualche settimana si parla anche meno di sanzioni. Gli europei sono incastrati nella discussione sull’embargo petrolifero. Gli Usa hanno preso atto che i tempi saranno più lunghi del previsto. Ecco allora che a Washington si dà un’importanza crescente alle forniture di armi e all’allargamento della coalizione disposta a fare da «arsenale» per alimentare la resistenza ucraina. Il Capo di Stato maggiore Usa, Mark Milley, ha ridimensionato le voci, riportate dal Wall Street Journal: il Pentagono non ha ancora deciso se inviare i marines per proteggere l’ambasciata americana a Kiev.

L’Europa

(Stefano Montefiori, corrispondente da Parigi) Un viaggio a Kiev per superare i malintesi e mostrare che la Francia e l’Europa tengono aperto un canale diplomatico con la Russia, è vero, ma continuano a stare senza esitazioni dalla parte dell’Ucraina. È questo ciò che molti si attendono da Emmanuel Macron, che potrebbe andare a incontrare il presidente Zelensky magari entro la fine di giugno, primo dello scadere del semestre di presidenza francese del Consiglio dell’Unione europea. Non c’è ancora niente di definito, ma a Parigi alcuni immaginano anche una possibile visita di Macron a Kiev assieme ad altri partner europei, per esempio l’italiano Mario Draghi i cui ottimi rapporti personali con il presidente francese sono noti. Negli ultimi giorni il dialogo continuo tra Macron e Zelensky, fatto di decine di telefonate in tre mesi di guerra, sembra aver rallentato, e l’Ucraina sembra sempre più perplessa per le attenzioni diplomatiche che la Francia usa nei confronti della Russia. Oltre alle conversazioni in videoconferenza con Putin, Zelensky non ha apprezzato la frase pronunciata a Macron il 9 maggio scorso, sulla necessità di non ripetere gli errori del passato e quindi non umiliare l’avversario. Il presidente francese si riferiva al futuro degli equilibri europei a guerra finita, quando bisognerà ripensare il sistema di sicurezza del continente senza umiliare la Russia (al contrario di quanto fece il Trattato di Versailles con la Germania dopo la prima guerra mondiale). Ma il governo ucraino l’ha presa come una volontà francese di mantenere Putin, oggi, nel novero dei leader frequentabili. Poi la Francia propone la nascita di una «comunità politica europea» che possa accogliere subito l’Ucraina e anche Moldavia e Georgia, visto che per l’ingresso nell’Unione europea «ci vorranno 15-20 anni», ha ripetuto ancora domenica scorsa Clement Beaune, appena nominato ministro per gli Affari europei. Vista da Kiev, Parigi sembra anche troppo prudente. Un viaggio di Macron potrebbe servire a rassicurare gli ucraini.

24 maggio 2022 (modifica il 24 maggio 2022 | 16:54)

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, 2022-05-24 20:41:00, Sono passati tre mesi da quando le truppe russe hanno varcato il confine la notte del 24 febbraio ed è cominciata l’operazione militare «speciale» di Vladimir Putin: come saranno, ora, i prossimi tre mesi?, Francesco Battistini, Andrea Marinelli, Stefano Montefiori, Guido Olimpio, Giuseppe Sarcina, Paolo Valentino

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