Hiv, è possibile sospendere la terapia quando il virus è incapace di replicarsi?

di Chiara Daina

L’ospedale Bambino Gesù di Roma e l’Istituto di tecnologia del Massachusetts studiano una procedura diagnostica per caratterizzare a livello molecolare il residuo virale all’interno delle cellule infette

Ad oggi non esiste una cura capace di eliminare definitivamente il virus Hiv dall’organismo. Le persone che vivono con questa infezione devono assumere una terapia antiretrovirale per tutta la vita per tenere sotto controllo il virus evitando che si replichi nel sangue. «Una delle sfide della comunità scientifica nella lotta contro l’Hiv è consentire ai soggetti con un virus incapace di replicarsi di sospendere la terapia» dichiara Claudio Mastroianni, ordinario di Malattie infettive all’Università Sapienza di Roma e presidente della Società italiana di malattie infettive e tropicali. Un obiettivo a cui sta lavorando l’ospedale Bambino Gesù di Roma insieme all’Istituto di tecnologia del Massachusetts (a Boston). Il team di ricercatori, coordinato da Paolo Palma, direttore dell’Unità complessa di Immunologia clinica e vaccinologia dell’ospedale romano, ha studiato l’applicazione di una procedura diagnostica per caratterizzare a livello molecolare il residuo virale all’interno delle cellule infette di adolescenti e giovani adulti nati con l’Hiv (ereditato dalla madre tramite trasmissione verticale), che ha permesso di capire se il virus è dormiente (cioè inattivo) o ancora in grado di moltiplicarsi rapidamente in caso di interruzione della terapia. Questa procedura si chiama leucoaferesi e consiste nel prelevare attraverso un apposito macchinario solamente i globuli bianchi, tra cui le cellule Cd4, presenti nei linfociti T, che ospitano la quantità di virus residuale.

Virus dormiente

«È una tecnica di filtraggio del sangue che permette di raccogliere solo le cellule infette e di reimmettere nell’organismo del paziente tutti gli altri componenti del sangue — spiega Palma —. Sarebbe infatti impossibile studiare le caratteristiche del virus nelle persone sotto terapia dalla nascita, che hanno quindi una frequenza di cellule infette molto bassa, attraverso un prelievo venoso periferico standard perché richiederebbe di prelevare ingenti quantità di sangue». I criteri di selezione dei candidati dello studio sono: «Avere iniziato un trattamento in fase precoce, cioè entro i sei mesi dalla nascita, dimostrata efficacia del mantenimento della terapia e assenza di carica virale riscontrabile nel sangue» descrive Palma. «Al momento — continua il medico — abbiamo testato questo approccio su nove soggetti in cura nel nostro ospedale di età compresa tra 13 e 25 anni e cinque di questi ragazzi presentano caratteristiche virologiche per cui potrebbero interrompere la terapia senza alcun rischio. Nel 2023 estenderemo l’indagine su altri 60 pazienti. Ci aspettiamo di riscontrare circa un 5% di casi con virus dormiente per cui sarà possibile sospendere il trattamento».

Terapia o vaccino

I risultati dello studio verranno presentati nel corso della trentesima edizione della «Conference on retroviruses and opportunistic infections», che si terrà dal 19 al 23 febbraio 2023 a Seattle. «Lo scopo di questa indagine non è tanto quello di applicare la procedura messa a punto a tutti i soggetti candidati, ma capire i motivi per cui alcuni pazienti sono in grado di controllare la replicazione virale senza dover assumere la cura. Se scopriremo questo si potrà identificare una terapia su base immunologica o un vaccino che sia in grado di replicare queste risposte protettive in modo tale che per il resto della vita la persona non sia costretta a prendere i farmaci antiretrovirali» afferma Palma. L’Organizzazione mondiale della sanità stima nel mondo 1,8 milioni di bambini tra 0 e 14 anni affetti da Hiv e circa 150mila nuove infezioni in età pediatrica ogni anno. In Italia nel 2021, secondo gli ultimi dati dell’Istituto superiore di sanità, si sono registrati due nuovi casi tra 0 e 2 anni.

Effetti collaterali

«Se la madre segue una terapia adeguata non trasmette l’infezione al feto — sottolinea Luisa Galli, responsabile delle Malattie infettive dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze e coordinatrice del Registro nazionale per l’infezione da Hiv in pediatria —. Lo studio del Bambino Gesù è molto interessante e molto promettente, perché uno dei problemi allo stato attuale è che in caso di sospensione della terapia il virus inizia a replicarsi e provoca immunodeficienza. Dare la possibilità ai pazienti che hanno una carica virale residuale di interrompere la terapia farmacologica permette loro di avere una qualità di vita migliore e di eliminare gli effetti collaterali nel lungo periodo della terapia, oltre a far risparmiare soldi al Servizio sanitario nazionale». Mastroianni conclude: «È una ricerca sperimentale di base, utile per comprendere i meccanismi di controllo dell’infezione in assenza di una terapia antiretrovirale in particolari condizioni e per esplorare la possibilità di futuri progetti per eradicare completamente l’infezione dall’organismo».

30 novembre 2022 (modifica il 30 novembre 2022 | 21:18)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-11-30 20:18:00, L’ospedale Bambino Gesù di Roma e l’Istituto di tecnologia del Massachusetts studiano una procedura diagnostica per caratterizzare a livello molecolare il residuo virale all’interno delle cellule infette, Chiara Daina

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Exit mobile version