I beni confiscati alle mafie? La metà non sono ancora utilizzati Buone Notizie oggi in edicola

di Alessandra Coppola

L’allarme del Terzo settore. Critiche sul bando dell’Agenzia per la Coesione: assegnazioni riservate agli enti pubblici e i fondi vanno a finanziare solo ristrutturazioni. Risposta? «Gli Ets possono co-progettare». Borgomeo: «Non è vero, restiamo residuali»

La lezione di Rosarno. Quattro alloggi rimessi a nuovo con fondi europei in una palazzina sottratta alla ‘ndrina dei Pesce, più 16 moduli abitativi edificati su un terreno confiscato: abbandonati, vandalizzati, occupati abusivamente. Il caso del «residence Lamezia», ancora nella Piana, 90 camere ristrutturate e addirittura arredate grazie a un Piano operativo nazionale (Pon) Sicurezza: ancora vuote. Nella migliore delle ipotesi, l’esempio di Noha di Galatina: un recupero con soldi pubblici nel 2009, per arrivare all’assegnazione solo nel 2018.

La via del riutilizzo dei beni confiscati alle mafie è costellata di buone intenzioni, che non sempre vanno a segno. Ecco perché il presidente della Fondazione con il Sud, Carlo Borgomeo, con Buone Notizie parla di «grande occasione mancata». Si riferisce al recente bando dell’Agenzia per la coesione territoriale che – nel quadro del Pnrr – destina 250 milioni di euro agli enti territoriali del Mezzogiorno per la valorizzazione degli immobili sottratti alla criminalità.

Due errori strutturali, segnala Borgomeo. Il primo è nel lungo elenco di cui Rosarno, Lamezia e Galatina sono solo flash: «Si sottovaluta l’esperienza negativa dei Pon Sicurezza in base ai quali i Comuni finanziavano progetti di ristrutturazione, e poi? In un territorio dominato dalle mafie, l’effetto psicologico di un bene recuperato dallo Stato, con dispendio di risorse pubbliche, ma inutilizzato, è devastante». Al rischio di spreco si aggiunge un pericoloso assist alla propaganda mafiosa.

Fondazione Con il Sud

Il secondo punto è quello che ha portato tutto il Terzo settore a protestare, da Libera, all’Arci alle associazioni che da anni hanno esperienza nella gestione (complicata) dei beni confiscati: «Siamo stati esclusi dal bando», sottolinea Borgomeo, benché sia espressamente indicata nel Pnrr la possibilità «di avvalersi della co-progettazione del Terzo settore». A Buone Notizie il direttore dell’Agenzia per la coesione territoriale, Paolo Esposito, chiarisce: «Il bando sostiene di fatto la partecipazione degli enti del Terzo settore sin dalla fase di programmazione dell’intervento. Infatti è attribuito un punteggio specifico e puntuale alle proposte dei Comuni che presentino il progetto in collaborazione con il partenariato istituzionale, economico e sociale e le organizzazioni del territorio».

L’Agenzia ha prorogato il bando fino al 28 febbraio e ha risposto alle critiche con un lungo elenco di Faq (domande e risposte). Il ministero per il Sud è intervenuto a fornire ulteriori spiegazioni, sottolineando la necessita di coinvolgere le associazioni e indicando una preferenza per «progetti destinati a creare centri antiviolenza per donne e bambini o case rifugio, oppure asili nido o micronidi». Infine, lo stesso direttore Esposito ha diffuso poco prima di Natale una nota in cui spiegava che la ragione per cui l’Avviso è stato riservato alle amministrazioni pubbliche sta soprattutto nella necessità di «una tempistica coerente con il Pnrr». Il coinvolgimento di privati, insomma, avrebbe aperto una serie di lungaggini burocratiche.

Il presidente di Fondazione con il Sud la considera «un’argomentazione debole: significa che bisogna comunque spendere quei soldi?». Quanto al punteggio per i Comuni che rispondono al bando coinvolgendo il Terzo settore, Borgomeo indica un limite sostanziale: i fondi non possono essere usati che per la ristrutturazione. Mentre serve che stiano in piedi non solo le mura, ma anche l’associazione che le abita: una quota dei fondi andrebbe destinata alla «start up», all’avvio del progetto di valorizzazione. Si ponga per esempio il caso di un Comune che voglia ospitare in un appartamento ex mafioso un Centro contro la violenza sulle donne: questo bando aiuta a mettere in piedi la struttura, ma – si chiede Borgomeo – con quali soldi si attiva poi il centro? Una proposta, già sostenuta in passato, è stanziare, accanto ai finanziamenti per la ristrutturazione, una quota del Fondo unico della Giustizia (dove confluiscono gli euro confiscati ai mafiosi) da spendere esattamente per sostenere il progetto all’interno del bene, pagare i primi stipendi, dare il via al riutilizzo immaginato ai tempi della legge 109 del ‘96.

Ventisei anni dopo l’Agenzia nazionale per i beni confiscati conta 35mila immobili di cui almeno 17 mila ancora da destinare. Più quattromila aziende che, per una lunga serie di ragioni, quando perdono la proprietà mafiosa si ritrovano senza più la capacità (dopata) di stare sul mercato. Nel caso degli immobili, l’esperienza ha insegnato che non sono sempre in condizioni, o in posizioni, che li rendono di facile riutilizzo. Il dibattito su come valorizzarli al meglio è aperto. Intanto si procede sperimentando. L’Agenzia ha tentato per la prima volta nel 2020 l’assegnazione diretta (senza la mediazione degli enti territoriali) di mille unità immobiliari, invitando il Terzo settore: sono stati solo 160 i progetti presentati. Una gara molto complicata, spiegano dalle associazioni.

Ragionare in sinergia

«Si tratta di una buona prima esperienza – valuta l’avvocato antimafia Ilaria Ramoni, amministratore giudiziario di beni confiscati – che però a mio avviso mette in luce la necessità delle piccole realtà associative di essere supportate non solo nell’effettivo riutilizzo del bene, ma anche nella fase di partecipazione al bando. In quest’ottica, si può anche comprendere che l’avviso dell’Agenzia per la coesione destini i fondi agli enti locali, fermo restando che sarebbe necessario ascoltare le realtà presenti sul territorio e ragionare in un’ottica di sinergia».

Si torna alla via indicata dalla nota del «Gruppo di lavoro permanente sui beni confiscati» creato da Fondazione con il Sud assieme ad Arci e Forum del Terzo Settore, riassunta nella parola «co-progettazione». «Non è – scrive il Gruppo – una mera rivendicazione di spazi e di ruoli da parte del Terzo settore. Essa vuol dire, in concreto, tenere insieme gli interventi di ristrutturazione con quelli di gestione». Quel che sembra emergere da questo bando, concludono, è ancora una volta «una cultura politica che vede il Terzo settore non come un attore di sviluppo ma come un soggetto “residuale” nel quale far convergere due debolezze: le incapacità del pubblico e le non convenienze del privato».

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15 febbraio 2022 (modifica il 15 febbraio 2022 | 00:10)

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Quattro alloggi rimessi a nuovo con fondi europei in una palazzina sottratta alla ‘ndrina…, di Alessandra CoppolaL’allarme del Terzo settore. Critiche sul bando dell’Agenzia per la Coesione: assegnazioni riservate agli enti pubblici e i fondi vanno a finanziare solo ristrutturazioni. Risposta? «Gli Ets possono co-progettare». Borgomeo: «Non è vero, restiamo residuali» La lezione di Rosarno. Quattro alloggi rimessi a nuovo con fondi europei in una palazzina sottratta alla ‘ndrina dei Pesce, più 16 moduli abitativi edificati su un terreno confiscato: abbandonati, vandalizzati, occupati abusivamente. Il caso del «residence Lamezia», ancora nella Piana, 90 camere ristrutturate e addirittura arredate grazie a un Piano operativo nazionale (Pon) Sicurezza: ancora vuote. Nella migliore delle ipotesi, l’esempio di Noha di Galatina: un recupero con soldi pubblici nel 2009, per arrivare all’assegnazione solo nel 2018. La via del riutilizzo dei beni confiscati alle mafie è costellata di buone intenzioni, che non sempre vanno a segno. Ecco perché il presidente della Fondazione con il Sud, Carlo Borgomeo, con Buone Notizie parla di «grande occasione mancata». Si riferisce al recente bando dell’Agenzia per la coesione territoriale che – nel quadro del Pnrr – destina 250 milioni di euro agli enti territoriali del Mezzogiorno per la valorizzazione degli immobili sottratti alla criminalità. Due errori strutturali, segnala Borgomeo. Il primo è nel lungo elenco di cui Rosarno, Lamezia e Galatina sono solo flash: «Si sottovaluta l’esperienza negativa dei Pon Sicurezza in base ai quali i Comuni finanziavano progetti di ristrutturazione, e poi? In un territorio dominato dalle mafie, l’effetto psicologico di un bene recuperato dallo Stato, con dispendio di risorse pubbliche, ma inutilizzato, è devastante». Al rischio di spreco si aggiunge un pericoloso assist alla propaganda mafiosa. Fondazione Con il SudIl secondo punto è quello che ha portato tutto il Terzo settore a protestare, da Libera, all’Arci alle associazioni che da anni hanno esperienza nella gestione (complicata) dei beni confiscati: «Siamo stati esclusi dal bando», sottolinea Borgomeo, benché sia espressamente indicata nel Pnrr la possibilità «di avvalersi della co-progettazione del Terzo settore». A Buone Notizie il direttore dell’Agenzia per la coesione territoriale, Paolo Esposito, chiarisce: «Il bando sostiene di fatto la partecipazione degli enti del Terzo settore sin dalla fase di programmazione dell’intervento. Infatti è attribuito un punteggio specifico e puntuale alle proposte dei Comuni che presentino il progetto in collaborazione con il partenariato istituzionale, economico e sociale e le organizzazioni del territorio». L’Agenzia ha prorogato il bando fino al 28 febbraio e ha risposto alle critiche con un lungo elenco di Faq (domande e risposte). Il ministero per il Sud è intervenuto a fornire ulteriori spiegazioni, sottolineando la necessita di coinvolgere le associazioni e indicando una preferenza per «progetti destinati a creare centri antiviolenza per donne e bambini o case rifugio, oppure asili nido o micronidi». Infine, lo stesso direttore Esposito ha diffuso poco prima di Natale una nota in cui spiegava che la ragione per cui l’Avviso è stato riservato alle amministrazioni pubbliche sta soprattutto nella necessità di «una tempistica coerente con il Pnrr». Il coinvolgimento di privati, insomma, avrebbe aperto una serie di lungaggini burocratiche. Il presidente di Fondazione con il Sud la considera «un’argomentazione debole: significa che bisogna comunque spendere quei soldi?». Quanto al punteggio per i Comuni che rispondono al bando coinvolgendo il Terzo settore, Borgomeo indica un limite sostanziale: i fondi non possono essere usati che per la ristrutturazione. Mentre serve che stiano in piedi non solo le mura, ma anche l’associazione che le abita: una quota dei fondi andrebbe destinata alla «start up», all’avvio del progetto di valorizzazione. Si ponga per esempio il caso di un Comune che voglia ospitare in un appartamento ex mafioso un Centro contro la violenza sulle donne: questo bando aiuta a mettere in piedi la struttura, ma – si chiede Borgomeo – con quali soldi si attiva poi il centro? Una proposta, già sostenuta in passato, è stanziare, accanto ai finanziamenti per la ristrutturazione, una quota del Fondo unico della Giustizia (dove confluiscono gli euro confiscati ai mafiosi) da spendere esattamente per sostenere il progetto all’interno del bene, pagare i primi stipendi, dare il via al riutilizzo immaginato ai tempi della legge 109 del ‘96. Ventisei anni dopo l’Agenzia nazionale per i beni confiscati conta 35mila immobili di cui almeno 17 mila ancora da destinare. Più quattromila aziende che, per una lunga serie di ragioni, quando perdono la proprietà mafiosa si ritrovano senza più la capacità (dopata) di stare sul mercato. Nel caso degli immobili, l’esperienza ha insegnato che non sono sempre in condizioni, o in posizioni, che li rendono di facile riutilizzo. Il dibattito su come valorizzarli al meglio è aperto. Intanto si procede sperimentando. L’Agenzia ha tentato per la prima volta nel 2020 l’assegnazione diretta (senza la mediazione degli enti territoriali) di mille unità immobiliari, invitando il Terzo settore: sono stati solo 160 i progetti presentati. Una gara molto complicata, spiegano dalle associazioni. Ragionare in sinergia«Si tratta di una buona prima esperienza – valuta l’avvocato antimafia Ilaria Ramoni, amministratore giudiziario di beni confiscati – che però a mio avviso mette in luce la necessità delle piccole realtà associative di essere supportate non solo nell’effettivo riutilizzo del bene, ma anche nella fase di partecipazione al bando. In quest’ottica, si può anche comprendere che l’avviso dell’Agenzia per la coesione destini i fondi agli enti locali, fermo restando che sarebbe necessario ascoltare le realtà presenti sul territorio e ragionare in un’ottica di sinergia». Si torna alla via indicata dalla nota del «Gruppo di lavoro permanente sui beni confiscati» creato da Fondazione con il Sud assieme ad Arci e Forum del Terzo Settore, riassunta nella parola «co-progettazione». «Non è – scrive il Gruppo – una mera rivendicazione di spazi e di ruoli da parte del Terzo settore. Essa vuol dire, in concreto, tenere insieme gli interventi di ristrutturazione con quelli di gestione». Quel che sembra emergere da questo bando, concludono, è ancora una volta «una cultura politica che vede il Terzo settore non come un attore di sviluppo ma come un soggetto “residuale” nel quale far convergere due debolezze: le incapacità del pubblico e le non convenienze del privato». La newsletter di Buone Notizie Se volete leggere altre storie di energie positive e buone pratiche ed essere informati sui temi che riguardano il Terzo settore iscrivetevi qui alla newsletter gratuita di Buone Notizie: la riceverete ogni lunedì alle 12. 15 febbraio 2022 (modifica il 15 febbraio 2022 | 00:10) © RIPRODUZIONE RISERVATA, Photo Credit: , , www.corriere.it, %%item_url %%, Corriere, Corriere, Corriere, Leggi di più, , https://images2.corriereobjects.it/methode_image/socialshare/2022/02/13/22651660-8c5a-11ec-a14e-5fea75909720.jpg, Corriere.it – Homepage, Corriere.it – Notizie e approfondimenti di cronaca, politica, economia e sport con foto, immagini e video di Corriere TV. Meteo, salute, guide viaggi, Musica e giochi online , https://www.corriere.it/rss/images/logo_corriere.gif, http://xml2.corriereobjects.it/rss/homepage.xml, Alessandra Coppola

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