I corpi dei morti, i racconti dei vivi: russi senza pietà a Bucha

di Lorenzo Cremonesi

Il presidente Zelensky tra i sopravvissuti: «Noi ucraini trattati peggio degli animali»

DAL NOSTRO INVIATO A BUCHA
A vederli gettati alla rinfusa nella trincea scavata di fresco, questi poveri corpi sembrano cose, manichini dalle apparenti sembianze umane confusi nella terra sabbiosa. I militari ucraini, assieme ai volontari della difesa civile, nelle ultime ore li hanno deposti in sacchi di plastica nera, ma ancora emergono mani rattrappite, unghie annerite di sangue rappreso e stracci di vestiti, giacche strappate. Viene da paragonare tutto questo al modo in cui noi trattiamo i nostri defunti, nelle lenzuola candide dei letti ordinati tra le camere asettiche dei nostri ospedali. Come possiamo confrontarli con i civili torturati e abbandonati ad agonizzare nel dolore? Come possiamo concepire l’idea di donne, vecchi e bambini trucidati a sangue freddo, l’immagine di uomini fucilati con le mani dietro la schiena, o ancora il fetore che emana un massacro insepolto? E, invece, eccoli questi fagotti informi, lerci di guerra, alcuni dei quali sono stati lasciati per settimane a decomporsi sul selciato delle strade sconvolte dalle bombe e nelle cantine dove adesso vengono via via trovati dalle squadre di soccorso.

«Guardate qui intorno»

Li abbiamo visti ieri nei pressi della basilica di Bucha, una decina di sacchi neri appoggiati gli uni sugli altri che attendevano di essere portati via, senza cerimonie, senza nessuno che li piangesse. Quanti sono in tutto? Due giorni fa soltanto qui erano una quarantina, la zona viene via via ripulita. «Se guardate qua attorno forse ne troverete altri. Potrebbero essere ancora centinaia. Occorre cercare tra la terra smossa dei giardini, nelle abitazioni, dentro le cisterne, ma soprattutto nelle macchie di bosco e lungo il fiume», dice Oleg Anatolienko, il poliziotto 43enne di guardia al quartiere della chiesa. Le autorità ucraine sostengono di avere recuperato e identificato sino ad ora oltre 410 cadaveri nella trentina di villaggi attorno a Kiev appena evacuati dall’esercito russo in ritirata verso la Bielorussia.

La ritirata

A dire il vero, sembra piuttosto una rotta. Il Pentagono conferma che almeno due terzi delle forze russe, che componevano l’armata originariamente destinata a conquistare la capitale, negli ultimi quattro giorni sono usciti dai confini dell’Ucraina. Anche qui a Bucha i soldati ucraini non temono contrattacchi, almeno per il momento, possono così concentrarsi sulla ricerca dei morti, sull’assistenza ai sopravvissuti e soprattutto sullo sminamento della regione. «I russi ritirandosi hanno lasciato montagne di proiettili inesplosi e migliaia di mine, molte delle quali innescate come bombe trappola per boicottare la nostra opera di bonifica», aggiunge Oleg.

Parola d’ordine

«Zviak», che in ucraino significa chiodo. Ce la dicono nel primo pomeriggio i volontari che portano cibo e medicine e improvvisamente i posti di blocco sulla strada per Bucha diventano più facili da passare. Si trova 37 chilometri a nord della capitale, arrivandoci non è difficile capire il motivo dell’importanza: è il nodo stradale che arrivando dalla Bielorussia garantisce di imboccare le grandi arterie che conducono facilmente a Maidan. I russi dovevano prenderla, necessitavano dei carri armati per battere la guerra partigiana, fatta di barricate e bottiglie molotov, che li attendeva nella cerchia metropolitana di Kiev. Poco prima c’è la zona dell’aeroporto di Hostomel, dove i russi già la mattina del 24 febbraio avevano paracadutato le loro teste di cuoio per poi puntare sugli uffici del governo di Zelensky. Oggi la sfioriamo appena. E subito dopo ci sono i resti carbonizzati degli edifici belli e delle ville con piscina a far comprendere la vastità prolungata della battaglia: Bucha è ormai un grande campo di macerie. Non c’è costruzione che non sia stata colpita. I palazzi del centro sono inabitabili, le strade deserte, con detriti di ogni genere che ci costringono a continue gimcane per non forare. I pochi civili rimasti si muovono come fantasmi tra i rottami, quasi tutte le auto e i bus ai lati delle strade sono danneggiati dai proiettili, sui sedili e vicino alle portiere macchie di sangue.

I testimoni insistono sulle rapine dei soldati russi. «Telefonavano alle loro famiglie a casa e chiedevano cosa dovessero rubare», racconta Tatiana, 35 anni. «La moglie di uno ha chiesto che lui prendesse il computer di nostra figlia per darlo alla loro». Un uomo mostra le carte di credito ancora sparse per strada. «Ci prendevano i portafogli. Rubavano nelle cucine, volevano vodka e sigarette. Ma qui hanno cercato di portarsi via anche le tegole che usavamo per rifare il tetto». Proprio nella centrale Vokzalna, la via che porta alla stazione ferroviaria, il 56enne Dmytro ha resistito per quasi un mese e mezzo sotto le bombe con il padre Grigory di 85 anni. «I russi sono venuti a prendersi i nostri cellulari. Non siamo mai usciti di casa, troppa paura: dormivamo a terra per evitare le schegge. Tre giorni fa abbiamo guardato per la prima volta fuori dal cancello e sulla strada abbiamo visto quindici persone uccise a colpi di mitra, tutti i nostri vicini che avevano deciso di restare», racconta.

A poche decine di metri da loro si trovano i resti carbonizzati di un’intera colonna blindata russa. Decine di carri armati e mezzi logistici ridotti a ferraglia annerita. Fu il 27 febbraio. I partigiani locali colpirono il tank di testa e quello di coda: gli altri rimasero intrappolati e per i droni e le artiglierie ucraine fu un gioco da ragazzi colpirli uno a uno. Non è da escludere che proprio allora sia iniziata la vendetta: soldati impauriti decisi a prendersela vigliaccamente con i civili. Dietro l’angolo ci sono i resti di un’auto carica di valige devastata dai proiettili, si vedono a terra giocattoli e vestitini. L’accusa di violenze sessuali continua a venire ripetuta.

All’una del pomeriggio arriva in visita il presidente Zelensky. «A Bucha si è consumato un genocidio», dichiara, quindi si rivolge alle madri dei soldati russi: «Anche se avete cresciuto dei saccheggiatori, come possono essere diventati dei macellai? Hanno trattato gli ucraini peggio degli animali».

Uscendo dal centro incontriamo diverse chiazze di sangue, i locali mostrano il luogo dove hanno raccolto gli uomini fucilati con le mani legate e persino la bicicletta dell’anziana la cui foto ha fatto il giro del mondo. A terra c’è ancora la sua borsetta aperta: occhiali da vista infranti, un tubetto di crema per le mani, un barattolo di legumi…

4 aprile 2022 (modifica il 4 aprile 2022 | 22:44)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-04-04 22:43:00, Il presidente Zelensky tra i sopravvissuti: «Noi ucraini trattati peggio degli animali», Lorenzo Cremonesi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Exit mobile version