editoriale
Mezzogiorno, 6 marzo 2022 – 11:13
Un futuro soltanto immaginato
di Sergio Talamo
Lo sgomento non è solo per il trauma dell’aggressione a un bene che è di tutti, la libertà. Non è solo per l’orrore di bambini massacrati mentre giocano o studiano, di un nuovo fiume di disperati che attraversa il cuore dell’Europa, di una strage decisa dalla volontà di potenza di uno solo. C’è, in più, il Risveglio. Per decenni, abbiamo visto la guerra come un fatto di altri mondi, quelli che non avevano capito per tempo, o che erano troppo poveri per capire o che erano stati imprigionati dalla dittatura. Per «noi» valeva un’altra Storia, dove tutto era in discussione ma non la pace. Anche la Jugoslavia dilaniata, cos’era, in fondo, se non un frutto del Muro infranto, quindi una figlia della libertà?
I ragazzi che eravamo vedevano il futuro da Sud. Era solcato dalle nuvole anche allora, e l’aria era densa non solo dei fumi dell’acciaio o del petrolio, ma anche del brivido che quel nuovo benessere fosse passeggero. Era l’illusione di chi abita una cattedrale nel deserto. Le case bianche del Salento, il barocco e lo Ionio, le chiese sveve e i fiorenti porti ci consolavano, ancorandoci alla certezza di una storia solida e contadina. Diventare cittadini italiani, finalmente, ma senza gettare troppo cuore oltre l’ostacolo. Ma i ragazzi che eravamo si sentivano anche loro dalla parte giusta del mondo. Potevano dividersi su idee luminose, potevano farsi sedurre dalla pace come utopia e neppure farsela bastare, perché c’era un tal Sandro Pertini ad ammonire che libertà, pace e giustizia non possono vivere mai l’una senza le altre.
La gioventù, prima del Risveglio, non aveva bisogno della bandiera arcobaleno, perché era già da sola di mille colori, e si poteva permettere quell’angoscia senza ragioni che chiamavamo esistenziale, o il dilemma di una ragazza evaporata con l’estate, o il lampo di un film, una canzone, una partita. Venivamo dopo i giovani della guerra e del dopoguerra, e nei nostri occhi scorreva il lungo racconto della felicità.
Oggi sono i ragazzi che più di tutti respirano la guerra. Capiscono di botto che la retorica sulla pandemia era finta, che la «guerra» del 2020 era un divano con una videochiamata da fare e un pranzo ordinato on line. Ora, più di tutti vivono il trauma di un futuro solo promesso, mentre nell’oggi ci sono sempre l’Ilva che avvelena, la xylella che mangia gli ulivi e i quotidiani bollettini di corruzione e crimine, lavoro nero e sfruttamento. Questi ragazzi sentono rimbombare nella testa il frastuono del caos, regalo di generazioni che si sono illuse, che hanno sprecato, che hanno fallito. Non avranno il tempo di una ricostruzione e di un nuovo boom, il loro dopoguerra è già cominciato.
6 marzo 2022 | 11:13
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