Il mistero della turbina e il ricatto (riuscito) della Russia alla Germania sul gas

di Federico Fubini

Berlino ha acconsentito a un passo indietro sulle sanzioni ma non è bastato: Mosca ha ridotto ancora di più le forniture. Sta alzando la posta, punta ad aprire Nord Stream 2

Martedì scorso Olaf Scholz stava posando in un piccolo centro della Germania nord-occidentale, Mülheim an der Ruhr, per la più strana delle foto. Dietro il cancelliere tedesco, per niente sorridente, si trovava un’opera di alta ingegneria attorno alla quale si sta consumando un giallo internazionale in cui niente è come appare. Perché i governi occidentali si stanno piegando al ricatto russo più di quanto osino ammettere. E il Cremlino sta alzando la posta, per arrivare a un bersaglio politico che va oltre quanto fosse immaginabile anche solo poche settimane fa: l’apertura di Nord Stream 2, la nuova infrastruttura fra Russia e Germania che il 22 febbraio scorso fu oggetto della prima e più simbolica delle sanzioni di Berlino contro Mosca. Ma andiamo con ordine. L’opera di fronte alla quale si è fatto ritrarre Scholz è una turbina A65 e fa parte di una serie che Siemens Energy ha venduto ai produttori russi di gas in quattro modelli più o meno potenti per il gasdotto Nord Stream 1, probabilmente altrettanti per Nord Stream 2 e vari altri fra i quali uno oggi installato illegalmente – contro la volontà del fornitore tedesco – in una rete del gas ucraina nella Crimea occupata.

Il cancelliere era a Mülheim perché quella turbina, appartenente al gasdotto Nord Stream 1 che collega la Russia alla Germania tramite il Baltico, resta bloccata dopo molte peripezie. Gazprom l’aveva rimandata tempo addietro a Siemens Energy per una manutenzione negli impianti di Montreal (ex Rolls-Royce) del gruppo tedesco. In seguito, in giugno, il monopolio russo del gas aveva ridotto le forniture tramite Nord Stream 1 di circa il 40% (da quasi 1,2 miliardi a meno di 480 milioni di metri cubi a settimana): sosteneva di non poter fare di più a causa delle sanzioni europee che impediscono a Siemens di rispedire la turbina A65 in Russia.

A quel punto il governo tedesco, preoccupatissimo, ha convinto quello canadese a concedere un «permesso» che sospende le sanzioni e dovrebbe dunque consentire al pezzo di Siemens di essere rispedito da Montreal alla Germania e da lì all’Oblast di San Pietroburgo (da cui si dirama Nord Stream 1).
La decisione è arrivata da Ottawa la sera di sabato 9 luglio, definita dal ministro delle Risorse naturali come «a tempo» («time-limited»).

Tutto a posto dunque? No, perché Gazprom continua a sostenere che non può comunque ricevere la turbina a causa della burocrazia imposta dalle sanzioni. Il pezzo resta dunque bloccato a Mülheim, in Renania del Nord. Dalla seconda metà di luglio e fino ad oggi, poi, i russi stanno usando quell’argomento per ridurre ulteriormente le forniture di Nord Stream 1 a 270 milioni di metri cubi la settimana – poco più di un quinto del normale – alzando il rischio che la Germania cada in una paralisi energetica e industriale il prossimo inverno.

La tensione nel governo e fra gli industriali tedeschi ormai è molto alta: Berlino ha acconsentito a un passo indietro sulle sanzioni ma non è bastato, perché la Russia sta alzando la posta. Fino a dove? Qui conta sempre di più la parte del giallo della turbina in cui niente è come appare. Perché, in primo luogo, è la sospensione delle sanzioni a non essere come appare. Con ogni probabilità infatti essa non riguarda una sola turbina e un solo momento nel tempo ma – secondo varie persone informate – si estende per ben due anni e copre la manutenzione di sei turbine.

Ciò è sorprendente per varie ragioni. In primo luogo il governo tedesco ha dichiarato di voler interrompere al più presto le forniture dalla Russia, quindi appare contraddittorio che si preoccupi di chiedere e ottenere dal Canada esenzioni sulle sanzioni per la rete di Gazprom fino a metà del 2024.

In secondo luogo Nord Stream 1 ha solo quattro turbine della Siemens, ma l’esenzione dalle sanzioni riguarda ben sei turbine e solleva così l’ipotesi che intenda coprire anche altre infrastrutture del gas fra la Russia e la Germania. La trasparenza in questa vicenda resta bassissima. Il «Corriere» ha chiesto più volte per tre giorni al governo canadese il testo legale della sua «esenzione» e una precisazione sulla sua durata. Un portavoce ha fatto sapere che stava «lavorando alla richiesta», ma non ha mai risposto. Un portavoce di Siemens ha osservato che «qualunque futuro lavoro di manutenzione (nella sede di Montreal, ndr) può essere facilitato» dall’esenzione concessa dal governo di Ottawa. Ma ha risposto con un «no comment» alla richiesta di una conferma sulla durata di due anni della sospensione delle sanzioni.

Neanche il presidente del World Ukrainian Congress, il canadese Paul Grod, ha avuto accesso all’atto di legge del governo canadese: esso resta secretato.

Ora però la palla è nel campo dei russi, perché questa marcia indietro sulle sanzioni di fronte al ricatto sul gas per loro non basta: Gazprom ha ridotto ancora di più le forniture, invece di aumentarle. Il Cremlino vuole di più ed è ormai chiaro a cosa punti. Dopo aver incontrato Vladimir Putin, l’ex cancelliere Gerhard Schröder (che continua a lavorare per Gazprom) ha fatto sapere pubblicamente che tutto sarebbe risolto se solo Berlino acconsentisse ad aprire Nord Stream 2. Prima di lui ha lanciato lo stesso messaggio Mikhail Ulyanov, ambasciatore russo presso le organizzazioni internazionali di Vienna. Su questa richiesta a Berlino si è aperto un dibattito acceso nella Spd, il partito del cancelliere Scholz. Così con il ricatto del gas Putin cerca di ottenere dalla Germania la più plateale delle capitolazioni politiche.

5 agosto 2022 (modifica il 5 agosto 2022 | 15:34)

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