Il piano B di Letta: Pd prima forza. Lo stop a chi vuole aprire al M5S

di Monica GuerzoniIl leader sprona i suoi: ora basta parlare di Calenda. Il duello è con Meloni: ogni voto a Conte va alla destra «Adesso basta parlare di Calenda». Dopo la batosta sul fronte alleanze Enrico Letta sprona i dem a cambiare marcia. Il segretario del Pd ha fretta di archiviare il clamoroso strappo del leader di Azione, per buttarsi nella sfida al centrodestra. Al momento i sondaggi sfornano numeri impietosi per la coalizione guidata dall’ex premier, eppure Letta si dice certo che il Pd sarà il primo partito: «Vogliamo vincere le elezioni e rovesciare questa campagna elettorale cominciata per colpa di Conte con la caduta del governo Draghi». Ma ora per Letta il pericolo è la destra. Se Giorgia Meloni sarà premier il segretario dem prevede «contraccolpi molto pesanti» sui fondi del Pnrr, che sono «vitali per l’Italia». E se Salvini vuole rinegoziare con l’Europa i soldi del Recovery e del Next generation Ue, il leader del Pd avverte: «Su questo non si scherza». A leggere le stime dell’Istituto Cattaneo il centrosinistra sarebbe in grado di conquistare solo 23 dei 147 collegi uninominali per la Camera e solo 9 su 74 per il Senato. Ma anche se la legge elettorale premia chi si coalizza, il leader del Pd non è orientato a cambiare idea sulle alleanze. Crede di aver fatto tutto il possibile per unire e non ritiene utile aprire a un accordo elettorale con il M5S. «Nessun ripensamento sulla linea tracciata dopo la decisione dissennata dei 5 Stelle di far cadere Draghi — è la posizione di Letta —. Ogni voto a Conte è un voto a Giorgia Meloni e chi si professa progressista deve tenerne conto». Uno stop energico a quei dirigenti del Pd che ancora sperano in un’apertura ai 5 Stelle. E i «binari paralleli» di cui ha parlato sul Corriere il responsabile Enti locali, Francesco Boccia? Per il Nazareno, dove la strategia è puntare tutto sulla polarizzazione «Letta contro Meloni», non è una strada da imboccare, ma «semmai una attestazione del fatto che l’avversario comune è la destra». Ora che la coalizione faticosamente costruita è andata in pezzi, al Nazareno l’ordine di scuderia è recuperare il tempo perduto dietro ai «cortocircuiti emotivi di Calenda» e tirare dritto, lasciandosi alle spalle un ex alleato che, per dirla con Letta, «discute con se stesso di se stesso e spesso neppure lui capisce cosa dice e vuole». Il piano B perseguito dal segretario è portare il Pd a essere il primo partito d’Italia, con il sogno a occhi aperti di conquistare il 30% dei consensi: «L’esito del voto non è scontato. Vogliamo vincere e ribaltare il pronostico. Non si inizia un campionato mirando alla zona salvezza». Giovedì Letta presenterà il simbolo elettorale — il marchio del Pd con qualche ritocco — e sabato e domenica presiederà la direzione nazionale. Se Calenda e Renzi uniranno le forze, Letta annuncia che la competizione sarà «aspra» anche con loro. I due, secondo il Nazareno, hanno «una reputazione compromessa a sinistra» quindi non toglieranno voti al Pd, mentre la loro «retorica populista» potrebbe togliere voti al centrodestra. Adesso per Letta l’urgenza è convincere gli italiani che «questa destra non è in grado di governare il Paese» e che devono mettersi «in buone mani», per evitare che l’Italia «finisca come Ungheria e Polonia». Il programma del Pd è costruito su tre grandi assi: lavoro e giustizia sociale, diritti civili e sviluppo sostenibile. Tra le pagine c’è un impegno — annunciato da Letta in tv a Filorosso, condotto da Giorgio Zanchini — sul quale i dem spingeranno moltissimo: «Portare lo stipendio degli insegnanti italiani alla media europea entro il 2027». Quanto al fisco, se la destra vuole la flat tax i dem vogliono tagliare le tasse in base al principio della progressività fiscale. 10 agosto 2022 (modifica il 10 agosto 2022 | 10:13) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-08-10 08:14:00, Il leader sprona i suoi: ora basta parlare di Calenda. Il duello è con Meloni: ogni voto a Conte va alla destra, Monica Guerzoni

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