Il populismo poco populista

diario malinconico Mezzogiorno, 23 luglio 2022 – 08:42 Con un’agenda fitta di scadenze interne e internazionali di primaria importanza, che bisogno c’era di far saltare tutto in tempi così improvvisi di Diego De Silva Ad esclusione delle cordate politiche che hanno lavorato per la caduta del governo Draghi, consegnandoci una mortificante serie tv che per giorni ha occupato i nostri teleschermi e depresso i nostri umori insieme a quello che restava di una flebile speranza in una classe politica responsabile, mai come in questa occasione si potrebbe affermare con un minimo di fondatezza che gli italiani (inclusi molti degli elettori avversi a Mario Draghi) volessero che il governo affondato l’altro ieri rimanesse in carica. Non si sono contati gli appelli, le sollecitazioni, le raccolte di firme e gli inviti a restare arrivati da ogni settore del paese (e del mondo) che raccontavano, come mai era successo, di un comune sentire rivolto alla prosecuzione di un mandato politico. Una vera eccezione, per un paese oramai massicciamente votato all’astensionismo. Di più: in molti appelli si percepiva chiaramente la nota del «Ti prego», dell’invito a tornare su una scelta già compiuta, rinunciando alla questione di principio in favore del completamento di lavori in corso che si pensava non potessero essere affidati a mani migliori. A tutt’oggi infatti, semplicemente girando per strada e chiacchierando con chi capita, si coglie uno sgomento palpabile, che affonda la dimensione del presente in una quiete drammatica, come di chi perda un lavoro all’improvviso e galleggi nello scarto fra quanto gli è appena accaduto (di cui non coglie ancora pienamente la gravità) e il futuro che lo aspetta. Con un’agenda fitta di scadenze interne e internazionali di primaria importanza, che bisogno c’era di far saltare tutto in tempi così improvvisi? E perché, a fronte di una dichiarata disponibilità a ricomporre il dissenso e andare avanti almeno per gli impegni più cruciali, questa possibilità è stata così sfacciatamente respinta, generando la formazione di fazioni votate allo sfascio? Sono queste le domande che si pone ogni quisque de populo preoccupato almeno delle sue bollette. Domande che prescindono anche dal merito della crisi (che, per riassumere, è stata un po’ come se gli attrezzisti del tour dei Rolling Stones avessero cacciato Mick Jagger dal gruppo per non aver cambiato la scaletta del concerto come piaceva a loro) e pure dai meriti dei responsabili della stessa (intesi proprio nel senso di curricula, titoli di studio, carriera ecc.), che mettono in crisi – a proposito di quisque de populo – il concetto stesso di populismo. Se populismo è assecondare gli umori più facili e immediati del popolo, quale migliore occasione di populismo poteva presentarsi all’Italia se non questa? Per una volta che il populismo avrebbe potuto scrollarsi di dosso la sua povera reputazione e guadagnarsi l’appello di «responsabile», ha dovuto invece soccombere alla prevalenza degli interessi di una politica che, paradossalmente, non è stata neanche all’altezza di una scelta costruttivamente populista. A sabato prossimo. 23 luglio 2022 | 08:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-07-23 06:43:00, Con un’agenda fitta di scadenze interne e internazionali di primaria importanza, che bisogno c’era di far saltare tutto in tempi così improvvisi,

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Exit mobile version