Il possibile tramonto dello zar

l’editoriale Mezzogiorno, 23 marzo 2022 – 07:51 De Luca si è spinto troppo oltre. Forse, trainato dall’adulazione del «cerchio magico» e dalla convinzione che il suo agire non potesse essere imbrigliato da regole, si è sentito «intoccabile» di Enzo d’Errico Viviamo un tempo ostile, nel quale l’opinione pubblica appare frantumata, dispersa nei mille rivoli dell’individualismo. I social alimentano propaganda e settarismo fino a trasformare la verità in un enigma. Mettere il potere con le spalle al muro, smascherarne le trame e denunciarne i soprusi — compito primario dell’informazione — sembra essere diventata un’impresa da «anime belle» o, peggio ancora, rischia di essere svilita al rango di ossessione privata, derubricata a puerile cocciutaggine in una terra governata, al contrario, da convenienze politiche che smagriscono sempre più lo spessore etico della classe dirigente. Sia chiaro, i giornalisti non sono immuni da responsabilità: l’impigrimento — causato da molti fattori, primo fra tutti la lunga crisi del settore — ha rimodellato l’approccio al mestiere. Talvolta è meglio pratiche indolori alla scrivania, che ficcarsi nei guai cercando notizie scomode. In questo letargo delle coscienze dove nulla desta scandalo e ogni cosa s’impantana nell’acquitrino delle connivenze, il potere locale ha immaginato di muoversi a proprio piacimento senza incontrare ostacoli, oltrepassando talvolta perfino i limiti della decenza. Come ad esempio, la notizia è di ieri, la possibile creazione di un’avvocatura regionale parallela — filiazione diretta della Presidenza — che in un progetto di stampo putiniano ingloberebbe quella istituzionale cancellandone l’autonomia. Accadrà anche questo, vedrete. Sebbene stanchi e ridotti all’osso, però, i quotidiani napoletani non hanno dimenticato la bandiera corsara nella stiva e ciascuno di essi, con la propria modalità, ha puntato la prua sulla gestione della Cultura a Palazzo Santa Lucia e, in particolare, sul caso Scabec, la società regionale che Vincenzo De Luca e i suoi fedelissimi hanno finanziariamente demolito distribuendo prebende e assunzioni a destra e a manca, fino a creare nelle sue casse (pubbliche) un deficit che si aggirerebbe intorno ai tre milioni. Il Corriere del Mezzogiorno se n’è occupato con un’ampia inchiesta, articolata in due puntate pubblicate il 17 e il 18 marzo scorsi. Ebbene, quegli articoli sarebbero ora parte di un’indagine avviata dalla Procura di Napoli che avrebbe condotto la Guardia di Finanza negli uffici della Scabec per acquisire preliminarmente i documenti necessari alla verifica degli atti amministrativi posti in essere durante le varie gestioni della società. Naturalmente spetterà poi alla magistratura valutarne la liceità e appurare eventuali reati, oppure stabilire l’insussistenza di anomalie da perseguire penalmente. Il compito della libera stampa è un altro: non quello di emanare sentenze preventive, bensì di sottolineare i dubbi, evidenziare le crepe, raccontare gli sconfinamenti là dove ce ne siano tracce. E di sconfinamenti, nel caso Scabec, ne compaiono un bel po’. Al punto che, per elencarli di nuovo tutti, non basterebbe lo spazio riservato a questo editoriale: deficit nei conti, personale gonfiato a dismisura, licenziamenti a casaccio, consulenze di ogni genere (comprese quelle legali richieste dall’attuale presidente Assunta Tartaglione, un tempo segretario regionale e poi deputata del Pd, a sua volta consigliere giuslavorista di De Luca), nomine create ad personam senza concorsi né bandi pubblici, contratti di lavoro giudicati illegittimi dall’ennesimo supporto esterno, l’avvocato Raffaele De Luca Tamajo, ma stilati da consulenti legali e amministrativi che sono rimasti al loro posto senza che gli venisse chiesto conto del danno causato. Una lista di incongruenze che il nostro giornale ha rimarcato e che adesso sono oggetto d’interesse della magistratura. Ma c’è qualcosa che supera la vicenda Scabec. E che rappresenta, senza dubbio, il capitolo più interessante di questa storia. Potremmo titolarlo così: Vincenzo De Luca si è spinto troppo oltre. Forse, trainato dall’adulazione del «cerchio magico» e dalla convinzione che il suo agire non potesse essere imbrigliato da quelle antiche e noiose convenzioni chiamate regole, si è sentito elevato al soglio di «intoccabile» avendo ai piedi (per paura o per opportunismo) larghi strati della società campana. Non aveva messo in preventivo che, forzando troppo la mano (a cominciare dall’ipotesi del terzo mandato), sarebbe scattato il segnale d’allarme. Ed infatti, nonostante l’indebolimento dell’opinione pubblica, si è innescata una reazione a catena che oggi evidenzia tutta la debolezza politica del caudillo. Ha resuscitato un’opposizione che veleggiava tra evanescenza e consociativismo: basterebbe leggere l’articolata interrogazione presentata, proprio sulla vicenda Scabec, dal consigliere leghista Severino Nappi alla quale dovranno essere date risposte nel question time di domani. Ha riacceso l’indignazione di un nutrito gruppo di intellettuali (ovviamente da lui sbeffeggiati con epiteti volgari) che ha scritto una lettera di denuncia ad Enrico Letta sortendo un effetto imprevisto: il leader nazionale del Pd ha annunciato che si occuperà della questione, anzi si può dire che abbia già cominciato a farlo costringendo Leo Annunziata, fedelissimo del governatore, ad abbandonare il vertice della segreteria regionale che, probabilmente, verrà affidato a un commissario. La protesta si è poi allargata ben al di là dei confini di Salerno, dove era sbocciata: adesso annovera nomi di caratura nazionale come Aldo Schiavone, Maurizio de Giovanni, Paolo Macry, Nadia Urbinati, Giulio Sapelli, Franco Monaco, Emanuele Felice e tanti altri. Domani, alle 17, i firmatari terranno un’assemblea pubblica al Pan di Napoli. Tutto ciò significa che il vento è cambiato? Mi sembra prematuro dirlo. Il sistema di potere che De Luca ha costruito in questi anni è tuttora ben saldo e può contare sulla fragilità di un tessuto sociale estenuato dalla pandemia prima e dalla guerra poi, costretto per questo a nutrirsi con quei fondi pubblici che Palazzo Santa Lucia distribuisce a suo piacimento. Gaetano Manfredi, alle prese con un Comune ridotto sul lastrico e un Patto per Napoli che tarda a concretizzarsi, non può permettersi strappi istituzionali e difficilmente a breve diverrà un contraltare politico in grado di opporsi ad uno stile di governo che non è certamente il suo. I partiti locali sono fantasmi mossi da ambizioni personali e rancori interni. Dunque, pensare all’inizio di una nuova stagione sarebbe avventato. Meglio scrutare i primi raggi di sole che finalmente intiepidiscono l’inverno del nostro scontento e provare a tener svegli il coraggio e la ragione. Verrà anche il tempo della speranza. E poi, chissà, germoglierà la primavera. 23 marzo 2022 | 07:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-03-23 06:52:00, De Luca si è spinto troppo oltre. Forse, trainato dall’adulazione del «cerchio magico» e dalla convinzione che il suo agire non potesse essere imbrigliato da regole, si è sentito «intoccabile»,

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