Il problema non è lo smartphone a scuola, ma rinsaldare l’alleanza scuola – famiglia

Rieccoci con gli articoli sulla scuola… Ultimamente, si parla di aggressioni, di regole non condivise e non bene accette da ragazzi e relativi genitori, di prevaricazioni sul personale ad opera di noi Dirigenti Scolastici e, persino, di fantasmagorici stipendi da noi percepiti.

Un grande caos che, tra un po’, non farà più neanche notizia, ma che ottiene il risultato di distrarci dai veri problemi che vive la Scuola in termini di sicurezza, di edilizia e di poca considerazione e riconoscimento del compito prettamente educativo della stessa.

Giorni fa, si parlato, ancora una volta, di una violenta reazione nei confronti di personale scolastico e Dirigente, da parte di familiari di una studentessa alla quale è stato vietato l’uso dello smartphone durante le lezioni. Il divieto e controllo dell’utilizzo dei dispositivi telefonici a scuola, spesso, ritorna a far parlare di sé, ma non per condividerne gli aspetti nefasti che lo strumento sta generando, ma per contestarne il contenimento nel suo impiego tra i banchi. Le nuove dipendenze sono sempre più oggetto di momenti di riflessione nelle scuole, rivolti ad adulti ed alunni, dalle classi quinte Primaria in poi.

Personalmente, come Dirigente Scolastico di un Istituto comprensivo di Roma, trovo che la minaccia dell’uso dei cellulari stia diventando molto preoccupante. Il rapporto che i giovanissimi hanno con questo strumento di comunicazione è da annoverare tra le dipendenze che stanno dilaniando le relazioni.

Sono una semplice educatrice, appassionata del proprio lavoro che cerco di fare al meglio, con tutti i miei limiti, ma credo di poter affermare che lo smartphone, sublime mezzo di comunicazione, si stia trasformando, spesso, in uno strumento che inquina il suo scopo precipuo. Tra i ragazzi, è sempre più diffusa la casistica di relazioni, di amicizie o di semplici scambi che degenerano in liti, aggressioni verbali o luoghi di offese e minacce. Spesso, mi aggiro tra i banchi delle aule e mi soffermo a parlare con i miei alunni del più e del meno, mentre osservo piccole sfumature: c’è lo studente che sonnecchia sulla sedia perché ha perso ore notturne di sonno in attesa di una notifica social che non arriva; c’è la studentessa che durante la ricreazione, furtivamente, si è fatta un selfie per immortalare il suo ultimo tatuaggio da postare su Instagram e pensa che io non lo sappia; c’è il ragazzo che non vede l’ora che terminino le lezioni per riaccendere il suo smartphone e rispondere ad una offesa ricevuta e che non vede l’ora di ricambiare, di cui sono venuta a conoscenza… Sì, perché noi, docenti e presidi, sappiamo, stranamente, quasi tutto e, aggiungo, per fortuna.

Con grande delicatezza, occorre tenere altissima l’attenzione sulle dinamiche relazionali dei nostri studenti adolescenti, perché la loro serenità, il più delle volte dipende da questo strumento tecnologico, chiamato smartphone, di cui esiste, sicuramente un utilizzo corretto per tantissimi giovani.

Ma, tanti altri, ne fanno un utilizzo totalizzante e che assorbe la maggior parte della loro giornata e, a volte, della loro nottata.

Del resto, è quello che è capitato anche a noi adulti. Anche i più illuminati, o che crediamo di esserlo, stiamo con lo smartphone tante ore al giorno, ormai anche per lavoro, anche tramite i social.

Si lavora con lo smartphone, si pulisce casa continuando a telefonare e rispondendo a WhatsApp, diventato un “impegno” parallelo a tutto il resto.

Nelle scuole abbiamo il dovere di far comprendere quanto la nostra mente si stanchi in questo modo, sia dal punto di vista psichico che fisico. Non rendiamo più come una volta, anche se apparentemente riusciamo o seguire diverse situazioni contemporaneamente.

All’inizio del fenomeno, ricordo, che qualche anno fa gli interventi a scuola erano mirati a contenere i tempi dell’utilizzo dello smartphone, per preservare la salute. Adesso, i momenti di formazione e di informazione pensati per i nostri ragazzi, sono volti a contenere e gestire i contenuti della comunicazione tra i giovani.

Una circolare che limiti o vieti addirittura, l’uso dello smartphone a scuola credo che, ormai, sia presente in ogni Istituzione scolastica. Addirittura, l’utilizzo corretto dei dispositivi trova una parte di approfondimento nei Regolamenti scolastici e nei Patti di corresponsabilità che le Famiglie siglano con la Scuola. Eppure, è sempre più frequente che qualche adulto trovi assurda tale tutela riservata ai propri figli.

Infatti, si tratta proprio di controllo e di rispetto di una regola che preserva i nostri figli, almeno a scuola, da disagi emotivi per alcune ore della loro giornata. Inoltre, il rispetto di tale regola, è doveroso in momenti in cui la nostra attenzione deve essere rivolta ad altro, come lezioni, interrogazioni, compiti in classe, spiegazioni…

Naturalmente, l’adulto per primo, a scuola, deve dare il doveroso esempio di un utilizzo corretto dello smartphone e, personalmente, la mia circolare in merito a tale uso, è rivolta contestualmente, oltre che ai ragazzi, a noi adulti personale scolastico, tenuti a testimoniare l’ osservanza di un principio educativo. E, si spera, che anche i genitori in ambito familiare, condividano tale posizione.

Il lavoro più arduo che facciamo a scuola, a mio avviso, è quello di lavorare sui e con i genitori, per operare tutti dalla stessa parte, con l’unico scopo di assicurare il benessere dei ragazzi e, posso affermare che, se diventa un obiettivo prioritario, ci si riesce.

E’ un impegno lungo, paziente, che a volte appare infruttuoso ma che paga a lungo termine.

Sono Dirigente scolastico da 16 anni, nello stesso IC e in me è sempre più forte la percezione che le due agenzie educative, scuola – famiglia, si stiano avvicinando a grandi passi, nonostante gli eventi di cronaca facciano credere altro. Dapprima, ci sentivamo parti dello stesso sistema scuola che, sicuramente, condividevano un bene prezioso, i figli, ma con posizioni diverse: la scuola, il sistema educativo per eccellenza pronto a giudicare le famiglie e, queste, a sentirsi sotto osservazione e, di conseguenza, pronte ad opporsi.

Oggi, la consapevolezza delle fragilità dei nostri ragazzi e la loro esposizione a rischi sempre maggiori, ci vede più uniti in un impegno di prevenzione e recupero, nonché di supporto del disagio. Appena veniamo al corrente di una problematica di un nostro alunno, da anni, nell’IC che dirigo, si attiva una rete che aggredisce il problema stesso. In tempo reale, ci si riunisce e, con estrema delicatezza, ma con
fermezza e lucidità si comincia a fare luce su quanto successo.

Dopo un primo sconforto per eventuali insuccessi nel nostro lavoro quotidiano, nelle classi piene di giovani pulsanti e i cui ormoni a mille guidano quasi tutti i loro comportamenti, si legge quanto eventualmente accaduto con un occhiale fatto di dolcezza, comprensione, sofferenza per i nostri alunni, ma anche di rigore e razionale esigenza di intervento.

Dopo i primi consigli di classe straordinari, si ascoltano i giovani e i rispettivi genitori. Ed è qui il lento inesorabile cambiamento che scopro da tempo… Dirigente, docenti e genitori circondiamo il ragazzo in difficoltà tutti compatti ed uniti, fiduciosi che insieme possiamo contenere le situazioni-problema e certi che, insieme, è più facile individuarne la soluzione probabile.

Ed è così che si attiva il percorso, lungo e costante che vede lavorare la scuola e le famiglie affinché, in una situazione di prevaricazione, vengano aiutati tutti, sia il gruppo classe che l’autore di atteggiamenti non adeguati a scapito dei coetanei.

Il percorso citato, infatti, deve assolutamente prevedere l’ascolto ed il supporto del gruppo eventualmente provato da situazioni di conflitto relazionale, senza però mai far sentire solo chi ne è responsabile, attraverso momenti informali in cui i ragazzi si sentano liberi.

Si può tempestivamente organizzare una merenda all’aperto, in un parco durante una giornata di sole, dove dalla condivisione degli spuntini, si passa alla condivisione di un pallone per giocare spensieratamente, per arrivare, infine, alla condivisione delle proprie emozioni. Tutto, nella massima libertà e in un clima reso sereno dall’assenza di giudizi o moniti da parte dell’adulto docente/ dirigente/educatore, magari alla presenza dello psicologo che ci aiuta a scuola nelle ore di sportello e, quindi, figura a loro familiare.

Si deve attivare un percorso in classe che preveda momenti in cui la tensione viene smorzata o ridotta, anche ricorrendo ad orari personalizzati costruiti per quei ragazzi che non “reggono” tempi lunghi di interesse o attenzione, lasciandosi, pertanto, andare a comportamenti complessi. Si deve ricorrere alla competenza di specialisti che sanno affrontare i problemi adolescenziali che ormai sono, sempre più, purtroppo diffusi tra i nostri ragazzi, soprattutto dopo questi ultimi anni connotati dai tragici eventi epidemiologici.

Le scuole sono provviste di sportelli di ascolto psicologico che, mai come adesso, sono chiamati ad una attenzione alta di prevenzione e di individuazione dei fenomeni di disagio in atto, eventualmente, nei gruppi classe, piccoli o grandi che siano.

Ed anche qui, colgo un fondamentale cambiamento… Non solo i genitori sono sempre più disponibili a fornire l’autorizzazione affinché i loro figli possano “farsi una chiacchierata iniziale”, ma a gradire che tale chiacchierata possa evolversi in uno scambio più frequente e strutturato in incontri svolti con sistematicità.

Ma il vero salto di qualità, che sto registrando nella comunità scolastica che dirigo, risiede nella richiesta di accedere allo sportello di ascolto, che perviene da parte dei genitori.

Continua il cambiamento, lento ma incisivo, che ci unisce maggiormente!

*IC G B. Valente – Roma

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, , Pubblicato da Rosamaria Lauricella Ninotta*
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