Mezzogiorno, 18 marzo 2022 – 09:45
di Marco Demarco
«Ero un uomo in lacrime all’ultimo saluto del genitore». Sergio Rastrelli è di fronte a me, e dice queste parole trattenendo a stento lacrime nuove. In tempi di giornalismo emozionale sotto accusa, provo disagio a sottolineare una reazione così evidente. Ma è un particolare che può aiutare a capire, e perciò la condivido. Una foto riprodotta su un manifesto «abusivamente» firmato Fratelli d’Italia, ritrae Rastrelli col braccio alzato, nella tipica postura del gesto fascista. E per questa immagine, vecchia di quattro anni, ma non vecchissima; tirata fuori dagli archivi da mano ignota, e per giunta letale come può esserlo un fuoco amico, l’attuale commissario del partito, nipote di Carlo Rastrelli, e figlio di Antonio, si ritrova ora in una assai scomoda posizione. È infatti finito all’improvviso in una polemica che rende perfettamente l’idea di cosa sia, ancora oggi, la destra: capace, con Rastrelli, di ricevere, al suo esordio pubblico, i saluti del sindaco di centrosinistra Manfredi, e di registrare l’assenza del candidato unitario (con Lega e Forza Italia) Catello Maresca.
Carlo Rastrelli, il nonno, fondò con Aurelio Padovani il partito fascista a Napoli, e si sa che la figura di Padovani fu avvolta dal mistero di una morte tragica. Fu fuoco amico? Gli storici ancora se lo chiedono. Antonio Rastrelli, il padre, fu fascista anche lui, e poi tra i fondatori del Movimento sociale, vice-sindaco di Lauro, protagonista della svolta di Fiuggi con Fini, sottosegretario nel primo governo Berlusconi e – lo posso confermare di persona – autorevolissimo e stimatissimo presidente della Regione Campania. Sergio Rastrelli, avvocato, dal carattere forte e dai modi gentili, è invece l’uomo a cui si è affidata Giorgia Meloni nel disperato tentativo di rinnovare anche a Napoli il suo partito. Ed è stato lui, l’altro giorno, a chiedermi di moderare l’iniziativa con cui intendeva lanciare il nuovo corso, quello di un partito conservatore, «necessario», istituzionalmente affidabile, animato da una cultura liberale e anti-dirigista e intransigente sui temi dell’immigrazione e dell’identità nazionale. L’Iniziativa si intitolava «Nostalgia del futuro». Un titolo ossimorico, e dunque potenzialmente ambiguo, faccio notare. Così come sa di ossimoro dichiararsi conservatori ma pronti alle riforme del welfare; identitari, ma «estroflessi», cioè aperti a energie esterne. Tuttavia, ora non è questo il punto. Ora la questione è se uno che si chiama Rastrelli, un erede di tanta storia, può incarnare il rinnovamento. E se può riuscire nell’impresa chi oggi rivendica quel gesto fatale.
È qui che la questione si complica. Se quella del manifesto fosse stata una foto molto risalente nel tempo o manipolata, sarebbe stato tutto diverso. Rastrelli lo sa, perciò accetta di spiegare. «Il gesto – dice – è quello. Ma l’immagine è decontestualizzata, e assolutamente non mi si può attribuire la frase virgolettata messa in evidenza, ovvero che io sarei ‘un vero fascista napoletano’». Allora, come stanno le cose? «Intanto, questi manifesti sono apparsi in città solo la mattina dell’iniziativa convocata per presentare il rilancio del partito, e già questo la dice lunga». E poi? «Solo vigliacchi senza onore, peraltro facilmente individuabili, potevano pensare di strumentalizzare l’ultimo saluto reso al passaggio del feretro di mio padre, esito di una promessa solenne fatta sul letto di morte». Fu lui a chiederglielo? «Sì, fu lui a chiedermi di salutarlo così e di avvolgerlo nella bandiera del Movimento sociale, che infatti fu deposta sulla bara». Vuol dire che il senso che lei consegna a quel gesto è diverso dal senso attribuibile ad altri saluti fascisti che pure ci furono il giorno del funerale? «Il mio fu un gesto privato, intimo, di cui non mi vergogno. Un atto rituale, di rispetto di una realtà familiare».
Ma di quella realtà è grande parte anche il fascismo. «Se mi sento fascista? No. Sono figlio del mio tempo, il fascismo appartiene alla storia. Ma sono un figlio, e quel giorno salutavo mio padre. Il padre, tra l’altro, che mi ha trasferito i valori in cui credo, a partire dal senso dello Stato; che ha sempre servito le istituzioni repubblicane con disciplina e onore; e che per questo ha raccolto la stima incondizionata di tutti, ma soprattutto dei suoi avversari politici». «Io stesso – aggiunge – ho più volte giurato fedeltà alla Costituzione: l’ho fatto da ufficiale dei carabinieri e quando ho indossato la toga». Qui la voce di Rastrelli torna a incrinarsi. Ma è solo un attimo. «Nella mia vita – riprende – ho sempre combattuto a viso aperto la criminalità e il malaffare: non temo imboscate e ricordo a chi mi ha preso di mira che ho le spalle larghe. Quindi vado avanti, più fiero e determinato che mai». Tuttavia, le valutazioni politiche possono essere imprevedibili, e il primo a saperlo è proprio l’uomo che mi sta davanti. In ogni caso glielo chiedo esplicitamente. E se Giorgia Meloni le chiedesse di farsi da parte? «Qualunque cosa dovesse succedere, non pianterò grane. Credo, per contro, che proprio i fatti di cui stiamo parlando confermino l’efficacia dell’opera di bonifica già avviata». L’intervista finisce qui. Ma prima di salutarci ricordo a Rastrelli di averlo messo in guardia dall’usare troppo disinvoltamente la parola nostalgia. «Sì – mi dice -. So bene che la parola nostalgia ne tiene insieme due: nòstos, ritorno, e algos, dolore». E il futuro? Si vedrà.
18 marzo 2022 | 09:45
© RIPRODUZIONE RISERVATA
, 2022-03-18 08:45:00, ,
Powered by the Echo RSS Plugin by CodeRevolution.